In ricordo di Adriana Zarri, eremita cristiana in dialogo con il mondo

di Marco Travaglini|

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“Non mi vestite di nero:è triste e funebre. Non mi vestite di bianco: è superbo e retorico. Vestitemi a fiori gialli e rossi e con ali di uccelli. E tu, Signore, guarda le mie mani. Forse c’è una corona. Forse ci hanno messo una croce. Hanno sbagliato. In mano ho foglie verdi e sulla croce,la tua resurrezione. E, sulla tomba,non mi mettete marmo freddo con sopra le solite bugie che consolano i vivi. Lasciate solo la terra che scriva, a primavera,un’epigrafe d’erba. E dirà che ho vissuto,che attendo. E scriverà il mio nome e il tuo,uniti come due bocche di papaveri”.

Adriana Zarri, scrittrice, teologa, eremita, se ne andò nella notte tra il 17 e il 18 novembre 2010, a 91 anni. La frase riportata è l’epigrafe che aveva scritto per se stessa e che venne pubblicata cinquant’anni fa nel volume “Tu. Quasi preghiere”. Sulla sua tomba nel cimitero canavesano di Crotte, una frazione di Strambino, dove si trova il suo eremo di Ca’ Sassino, venne seminato del trifoglio nano, in obbedienza alla richiesta di Adriana di avere “un’epigrafe d’erba”. Anche la sua salma venne composta rispettando il suo pensiero, come dissero gli amici più cari: “Le abbiamo messo una gonna con roselline molto delicate, una camicetta chiara ed un gilet che richiamava il colore tenue delle roselline. In mano un ramo e poi la Bibbia aperta al brano della Samaritana come ci aveva chiesto”.

Dal settembre del 1975 Adriana Zarri si era trasferita in quella “vecchia cascina solitaria, dove contava di trascorrere i restanti anni della mia vita nella preghiera e nel silenzio”. Una decisione, quella di praticare l’eremitismo, comunicata agli “amici carissimi” con una lettera spedita da Albiano d’Ivrea il primo settembre di quarantasei anni fa. “Qualcuno dice che mi sono “ritirata” in un eremo; e io puntualmente reagisco. Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine. E lo preciso puntigliosamente per rispondere all’obiezione che concepisce questa solitudine come un tagliarsi fuori dal contesto comunitario. E invece no. L’isolamento è un tagliarsi fuori, ma la solitudine è un vivere dentro”.
Così puntualizzò nel suo “Un eremo non è un guscio di lumaca”, un libro che, come scrisse Rossana Rossanda nella prefazione, è “da leggere in silenzio, da ascoltare”. Lo è perché la voce che vi echeggia, forte e chiara, è quella “di un eremita che parla al mondo”. Perché dentro quelle pagine“ ci sono tanti suoni: lo stormire degli alberi, il gracidare delle rane, il rumore dell’acqua, le parole degli amici. E colori: il giallo di un limone, il rosso di un gatto, il bianco della neve che fiocca. C’è l’amore per il mondo e per la sua bellezza. C’è la voglia di capire e lottare, di raccontare e sentire”.

Rossana Rossanda, giornalista tra i fondatori del Il Manifesto e morta il 20 settembre dello scorso anno, era legata alla Zarri da un’amicizia trentennale e più volte aveva sottolineato come “dal silenzio del suo eremo” faceva scaturire parole nuove e incisive “che richiamano ad una fede essenziale o, per chi come me non è credente, a ritrovare una dimensione nuova all’agire per l’uomo”. Adriana Zarri, nella sua vita intensa, è stata tante cose. Dirigente dell’Azione cattolica prima e giornalista poi, teologa conciliare già prima del Vaticano II e scrittrice, anima nomade (visse in diverse città italiane, soprattutto a Roma) e poi eremitica, tra Albiano, Fiorano e, infine, Strambino. Nei suoi eremi, Adriana pregava, coltivava, si dedicava agli animali (amava moltissimo i gatti), accoglieva quanti passavano, e scriveva. La sua è stata una voce profondamente cattolica e profondamente dissenziente (collaborava sia all’Osservatore Romano che al Manifesto), prima laica ammessa nel direttivo dell’Associazione teologica italiana nel 1969.

Così venne ricordata sul quotidiano edito nella Città del Vaticano: “Adriana Zarri è stata una donna libera, legata forse solo a un senso del sacro restituito dall’intreccio tra fede nuda,giustizia sociale, Vangelo,femminismo e amore per gli indifesi, i deboli e i perseguitati”. Un bel ritratto, in linea con lo stile di vita sobrio ed austero e l’atteggiamento esigente nei confronti della sua chiesa, amata e contestata per amore. Dei suoi inediti ricordi di vita, recuperati da articoli e carte personali, sono stati raccolti e pubblicati, postumi, in “Con quella luna negli occhi” ma è “Un eremo non è un guscio di lumaca” il libro al quale Adriana Zarri lavorò con passione fino alla sua conclusione, potendone vedere le bozze definitive. Bozze che teneva ancora vicine sul suo comodino quando, la notte tra il 17 e il 18 novembre 2010, la sua “vita si è compiuta”.




Posted on: 2021/11/18, by :