Interventi riabilitativi nella salute mentale: ritardi e potenzialità

di Chiara Laura Riccardo |

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È difficile scoprire qualcosa di nuovo, ma è ancor più difficile darne attuazione. Partendo da ciò che ci dice la letteratura, rispetto ai tempi necessari affinché le acquisizioni della ricerca scientifica si traducano nella pratica clinica dei servizi psichiatrici ci scontriamo con un dato piuttosto difficile da metabolizzare: il tempo medio che impieghiamo è di ben 17 anni (Morris et. al, 2011). Cioè, sappiamo cosa dobbiamo fare, ma ci vogliono anni per farlo. Fenomeno questo, che nella riabilitazione psichiatrica assume aspetti non più accettabili dall’attuale società.

Oggi è ormai nel pensiero di molti professionisti competenti il fatto che molti dei programmi di salute mentale abitudinariamente erogati nei servizi purtroppo non provvedono all’attuazione delle pratiche evidence-based per il trattamento delle patologie psichiatriche.

L’eterno dilemma: introdurre l’evidenza o adattarsi all’esistente?

In questa cornice, l’interrogativo che spesso assale il professionista della salute mentale è: guardare indietro restando ancorati a ciò che c’è nella propria comfort-zone, oppure muoversi in avanti sperimentando e introducendo metodologie di intervento al passo con le evidenze? È ormai riconosciuto che, il crescente interesse verso la salute mentale e la riabilitazione psichiatrica, ambiti a lungo pervasi da pratiche scarsamente validate sul piano scientifico, ha permesso di accrescere le evidenze di efficacia circa le tecniche riabilitative e i benefici acquisiti dai pazienti grazie ad esse.

Non possiamo dunque non ammettere che l’aumento dell’enfasi internazionale sull’efficacia clinico-riabilitativa di determinati interventi nell’ambito della salute mentale e sui costi nelle politiche sanitarie, ha aperto alla necessità di offrire servizi e prestazioni di qualità basati sull’utilizzo delle migliori evidenze. Certamente l’adozione nei servizi di una pratica basata sull’evidenza non è senza problemi. Intraprendere la strada che volge alle evidence based practices significa saper integrare l’esperienza clinica individuale con la migliore evidenza scientifica disponibile, reperita attraverso una ricerca sistematica, e questo si traduce nell’avere tempo da dedicare allo studio e alla costruzione di una nuova “struttura concettuale e istituzionale” (Carozza, 2014).

Le nuove generazioni di professionisti formati e specializzati in riabilitazione psichiatrica e che oggi operano nei servizi di salute mentale, devono avere il coraggio di richiamare l’attenzione degli amministratori delle aziende pubbliche e private alla responsabilità di promuovere e allocare risorse umane ed economiche solo verso trattamenti ed interventi appropriati che si sono dimostrati capaci di produrre un cambiamento positivo in termini di esito per i pazienti. Questo non vuol dire che solo la classe dirigente delle aziende e dei servizi è la responsabile dell’avvenuto o mancato processo di modernizzazione delle pratiche riabilitative, ma bensì che anche grazie al singolo professionista che con iniziativa e coraggio promuove l’introduzione di interventi supportati dall’evidenza, si può elevare la qualità e la credibilità delle prestazioni nei confronti dei cittadini più fragili.

Per un approccio più dinamico e coerente

Fare la differenza nei servizi di salute mentale oggi significa proporre nuovi schemi organizzativi, diversi da quelli utilizzati nel passato, e in parte anche trasformativi di quelle che sono le ormai “consolidate prassi operative” diventate la quotidiana routine. Spesso i professionisti del settore rilevano come, nonostante gli sforzi, vi sia ancora molta distanza tra la teoria e la prassi, tra le metodologie d’intervento studiate nei manuali e quelle messe in pratica nei servizi.

È alla “forma mentis” di alcuni professionisti che ci si deve rivolgere superando l’atteggiamento del “tanto abbiamo sempre fatto così, perché cambiare?”. Atteggiamento che blocca l’evoluzione sia in termini operativi che di formazione e non è più ammissibile che in salute mentale alcuni ancora ritengano che non si possa valutare con metodi scientifici l’efficacia degli interventi, nonostante i numerosissimi studi controllati e le revisioni sistematiche presenti in letteratura.

Ciò che ogni professionista nel proprio contesto di lavoro deve cercare di fare è non abbandonare l’approccio trasformativo e la motivazione al cambiamento delle prassi riabilitative e soprattutto non cadere nella “trappola” dell’adattarsi ad attività legate a consuetudini, non più coerenti con le nuove situazioni generare dal coronavirus, solo per facilitare l’inserimento e la convivenza con la nuova realtà lavorativa “mascherando” tale scelta con il timore che la troppa tecnica azzeri la componente umana del percorso di cura. Non esiste affermazione più errata: la letteratura stessa conferma che la tecnica non si sostituisce al rapporto umano, bensì essa risulta essere efficace solo in virtù di questo rapporto.

Un modello uniforme di intervento nel Paese

L’approccio evidence-based in salute mentale e riabilitazione psichiatrica è una sfida costante che certamente deve essere guidata da vertici aziendali capaci di esprimere una leadership lungimirante, valorizzante la qualità professionale e d’investire risorse economiche nella consapevolezza che i costi sostenuti oggi verranno ampiamente ammortizzati domani in termini di riduzione della spesa sanitaria. L’auspicio è dunque quello di poter presto osservare, uniformemente diffuso in tutta Italia, un modello di servizi di salute mentale orientato ad una riabilitazione evidence-based, dove tutti coloro che necessitano di interventi riabilitativi specifici li possano ricevere, superando così le disparità territoriali di accessibilità e promuovendo in tutti i contesti l’equità nella cura.

Forse così daremo forma concreta a quanto la President’s New Freedom Commission on Mental Health ha immaginato per il prossimo futuro, un futuro dove “tutti quelli con una malattia mentale guariranno e saranno aiutati a vivere indipendentemente, lavorare, studiare e partecipare pienamente alla loro comunità”, promuovendo nelle persone lo sviluppo di risorse e abilità per meglio gestire il proprio disturbo, accedere alle risorse sociali e progettare il proprio futuro.




Posted on: 2021/05/04, by :