La catastrofe climatica è prossima, interessa a qualcuno?

di Stefano Marengo|

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Mentre i segnali della crisi ecologica diventano sempre più inequivocabili e annunciano un futuro disastroso, le élites del potere politico ed economico continuano a cullarsi in una placida inerzia. A qualche sporadica dichiarazione di principio non corrispondono mai azioni conseguenti. Il bilancio di questa estate, dal punto di vista ambientale, è allarmante. Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e, soprattutto, Germania nordoccidentale sono stati colpiti da quella che è già stata ribattezzata “alluvione del secolo”. Nel sud Italia si sono registrati picchi di temperature superiori ai 48°C, una soglia che non era mai stata raggiunta in Europa. Nel frattempo, in ogni continente, roghi e incendi su grande scala hanno divorato immense regioni boschive, a partire dai grandi “polmoni verdi” dell’Amazzonia, dell’Africa equatoriale e della Siberia.

Mentre tutto ciò accadeva, a inizio agosto è stato pubblicato il sesto rapporto IPCC1 sul cambiamento climatico. Un documento che, nelle sue conclusioni, non lascia adito a dubbi. Nelle condizioni attuali, dice l’IPCC, sarà impossibile rispettare i termini degli accordi di Parigi, ossia il contenimento del surriscaldamento globale entro il limite di 1,5°C nei prossimi decenni. Nello scenario migliore – ossia lo scenario che si realizzerà se agiremo immediatamente e con radicalità – le temperature medie saliranno almeno di 1,8°C; in quello peggiore, i modelli predittivi ipotizzano invece un aumento del riscaldamento pari a 5,7°C. In entrambi i casi, la prospettiva è di un futuro contrassegnato da ondate di calore e siccità sempre più intense, scioglimento dei ghiacci artici e innalzamento del livello degli oceani, scomparsa di flora e fauna specifiche, eventi meteorologici sempre più estremi.

La cosa sconcertante è che il rapporto IPCC è sostanzialmente caduto nel vuoto. I media, in molti casi, lo hanno ignorato. Nessun serio dibattito è stato avviato a livello di opinione pubblica. Le classi dirigenti politiche ed economiche, fatte salve alcune dichiarazioni di circostanza, si sono trincerate nel più assordante silenzio. Ma questo silenzio, in fondo, è più eloquente di tante parole e certifica ancora una volta che, per dirla con una nota espressione attribuita da alcuni a Slavoj Zizek, da altri a Fredric Jameson, “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”.

Viviamo in un’economia che, nell’inseguire i feticci del profitto e della crescita perpetua, sta letteralmente consumando il mondo e compromettendo la possibilità stessa della vita sulla terra. Eppure le élites del potere ancora proclamano che “non c’è alternativa” a questo modello di sviluppo, in un’inerzia che è la vera cifra ideologica della nostra epoca. Tutt’al più ci si profonde in qualche vago richiamo alla necessità di introdurre elementi di sostenibilità nell’attuale sistema economico, lasciando tuttavia impregiudicate le sue dinamiche fondamentali. Si tratta, anche in questo caso, di pura retorica: la logica del capitale è quella di un’infinita, eterna hybris, una tracotanza che lo conduce ad infrangere ogni limite, il che lo rende essenzialmente incompatibile con ogni idea di misura e sostenibilità.

C’è un solo limite che il capitalismo non può superare: quello di un mondo che è in quanto tale finito. Più proverà a superarlo, consumando risorse e inquinando, più ci condurrà verso la fine della presenza dell’umanità nel mondo stesso. È questo il piano inclinato su cui l’umanità sta scivolando ogni giorno più velocemente, mentre le nostre classi dirigenti, sonnambule e inette, appaiono incapaci di adottare con urgenza le misure radicali necessarie per invertire l’inerzia. Che fare allora? Forse solo una rivoluzione ci può salvare. Una rivoluzione che non avrà i tratti della conquista del “sole dell’avvenire”, ma quelli di un “freno d’emergenza” azionato sull’orlo della catastrofe.

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1L’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. È stato istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dall’United Nations Environment Program (UNEP) come uno sforzo da parte delle Nazioni Unite per fornire ai governi di tutto il mondo una chiara visione scientifica dello stato attuale delle conoscenze sul cambiamento climatico e sui suoi potenziali impatti ambientali e socio-economici. Migliaia di scienziati di tutto il mondo contribuiscono al lavoro dell’IPCC, su base volontaria. La review è una parte essenziale dell’azione dell’IPCC, per garantire una valutazione oggettiva e completa di informazioni aggiornate in: https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/biodiversita/documenti/intergovernmental-panel-on-climate-change-ipcc-report




Posted on: 2021/09/05, by :