La crisi dei migranti non è solo azione alle frontiere
di Davide Rigallo |
| Non sappiamo ancora se quanto sta accadendo in queste ore al confine tra Grecia e Turchia sia una riedizione della crisi europea dei profughi del 2016, ma è indubbio che molti elementi ne stanno ricalcando le dinamiche in maniera drammatica come quattro anni fa. Ferme restando le gravissime responsabilità della Turchia di Erdogan in questa crisi, con le masse di migranti usate spregiudicatamente come strumento di ricatto o merce di scambio verso l’Ue, è l’atteggiamento repressivo tenuto dalla Grecia a destare forti preoccupazioni, sia in relazione al quadro dei diritti fondamentali della persona, sia per le ripercussioni sul sempre più fragile sistema Schengen, pilastro essenziale, non dimentichiamolo, della costruzione europea.
Il comunicato del 1 marzo scorso diffuso dal Consiglio Nazionale per la Sicurezza del governo greco ha surrettiziamente richiamato l’art. 78 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue (TFUE) per dare seguito a una serie di provvedimenti fortemente “securitari”. Tra questi: la chiusura militare delle frontiere (terrestri e marittime) con la Turchia, la sospensione della presa in carico delle domande di asilo, l’incremento delle azioni di rimpatrio, la richiesta a Frontex di un RABIT (Rapid Border Intervention Team, altrimenti detto European Border Guard Team). Gli effetti immediati sono sotto gli occhi di tutti, con i respingimenti violenti da parte della Guardia costiera greca che non esita a usare manganelli e droni contro i migranti.
Sino a questo momento, i provvedimenti messi in atto dalla Grecia (paese dell’Ue, e in quanto tale tenuto al rispetto dei diritti fondamentali e delle procedure comunitarie nell’adozione di strumenti emergenziali) non hanno suscitato prese di posizione nette da parte degli Organi comunitari. Nonostante la visita congiunta dei tre Presidenti Ue alla frontiera greco-turca – David Sassoli per il Parlamento, Charles Michel per il Consiglio e Ursula von der Leyen per la Commissione –, le dichiarazioni ascoltate sino ad ora hanno evitato giudizi diretti verso il governo greco, preferendo sottolineare l’urgenza con cui il paese è chiamato ad affrontare l’emergenza e richiamando la necessità di una politica condivisa a livello europeo sulla materia. Affermazioni che rischiano di suonare scontate, se si considera la mancata riforma del Regolamento di Dublino della scorsa legislatura e i forti dissensi che dividono gli stati Ue sull’accoglienza dei migranti.
L’atteggiamento della Grecia sta richiamando da vicino quello dei Paesi di Visegrad del 2016, con accenti nazionalistici di chiusura che, nella contingenza della crisi, ricadono sui profughi.
La richiesta di un RABIT è emblematica di un orientamento che vede, purtroppo drammaticamente, convergere le linee del governo greco sulle migrazioni con le scelte strategiche dell’Ue in materia di frontiere esterne (queste sì, ampiamente condivise): rispondere, cioè, ai flussi provenienti dalla Turchia con un il rafforzamento militare dei confini, sino a creare vere e proprie barriere e dare corso a interventi di respingimento. Se in queste ore il braccio operativo è nazionale, a stretto giro diventerà comunitario con il coordinamento diretto di Frontex1, l’Agenzia per cui l’Ue ha scelto di aumentare il budget a 428 milioni per il 2020 e a 838 per il 2021, nonché di decuplicare il personale entro il 20272.
Una risposta differente per fronteggiare l’emergenza, per esempio quella di rafforzare strumenti di soccorso e strutture prima accoglienza, non sembra trovare spazio, anche perché includerebbe il riconoscimento del dovere della Grecia di prendere in carico le domande d’asilo. Un dovere a cui il governo ellenico intende sottrarsi, anche a dispetto dei Trattati internazionali che ha sottoscritto. Del resto, il comportamento della Grecia è in linea con l’asse portante della politica migratoria europea: il rafforzamento delle frontiere esterne per aumentare la sicurezza delle nazioni Ue. Senza scardinare quest’asse, soluzioni diverse risultano impossibili.
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1https://frontex.europa.eu/media-centre/news-release/frontex-to-launch-rapid-border-intervention-at-greece-s-external-borders-NL8HaC”
2Provisional Draft Estimate of the Agency’s Revenue and Expenditure, including the Provisional Establishment Plan for 2021 – EUROPEAN BORDER AND COAST GUARD AGENCY – BUDGET 2021
Posted on: 2020/03/04, by : admin
Il comunicato del 1 marzo scorso diffuso dal Consiglio Nazionale per la Sicurezza del governo greco ha surrettiziamente richiamato l’art. 78 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue (TFUE) per dare seguito a una serie di provvedimenti fortemente “securitari”. Tra questi: la chiusura militare delle frontiere (terrestri e marittime) con la Turchia, la sospensione della presa in carico delle domande di asilo, l’incremento delle azioni di rimpatrio, la richiesta a Frontex di un RABIT (Rapid Border Intervention Team, altrimenti detto European Border Guard Team). Gli effetti immediati sono sotto gli occhi di tutti, con i respingimenti violenti da parte della Guardia costiera greca che non esita a usare manganelli e droni contro i migranti.
Sino a questo momento, i provvedimenti messi in atto dalla Grecia (paese dell’Ue, e in quanto tale tenuto al rispetto dei diritti fondamentali e delle procedure comunitarie nell’adozione di strumenti emergenziali) non hanno suscitato prese di posizione nette da parte degli Organi comunitari. Nonostante la visita congiunta dei tre Presidenti Ue alla frontiera greco-turca – David Sassoli per il Parlamento, Charles Michel per il Consiglio e Ursula von der Leyen per la Commissione –, le dichiarazioni ascoltate sino ad ora hanno evitato giudizi diretti verso il governo greco, preferendo sottolineare l’urgenza con cui il paese è chiamato ad affrontare l’emergenza e richiamando la necessità di una politica condivisa a livello europeo sulla materia. Affermazioni che rischiano di suonare scontate, se si considera la mancata riforma del Regolamento di Dublino della scorsa legislatura e i forti dissensi che dividono gli stati Ue sull’accoglienza dei migranti.
L’atteggiamento della Grecia sta richiamando da vicino quello dei Paesi di Visegrad del 2016, con accenti nazionalistici di chiusura che, nella contingenza della crisi, ricadono sui profughi.
La richiesta di un RABIT è emblematica di un orientamento che vede, purtroppo drammaticamente, convergere le linee del governo greco sulle migrazioni con le scelte strategiche dell’Ue in materia di frontiere esterne (queste sì, ampiamente condivise): rispondere, cioè, ai flussi provenienti dalla Turchia con un il rafforzamento militare dei confini, sino a creare vere e proprie barriere e dare corso a interventi di respingimento. Se in queste ore il braccio operativo è nazionale, a stretto giro diventerà comunitario con il coordinamento diretto di Frontex1, l’Agenzia per cui l’Ue ha scelto di aumentare il budget a 428 milioni per il 2020 e a 838 per il 2021, nonché di decuplicare il personale entro il 20272.
Una risposta differente per fronteggiare l’emergenza, per esempio quella di rafforzare strumenti di soccorso e strutture prima accoglienza, non sembra trovare spazio, anche perché includerebbe il riconoscimento del dovere della Grecia di prendere in carico le domande d’asilo. Un dovere a cui il governo ellenico intende sottrarsi, anche a dispetto dei Trattati internazionali che ha sottoscritto. Del resto, il comportamento della Grecia è in linea con l’asse portante della politica migratoria europea: il rafforzamento delle frontiere esterne per aumentare la sicurezza delle nazioni Ue. Senza scardinare quest’asse, soluzioni diverse risultano impossibili.
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1https://frontex.europa.eu/media-centre/news-release/frontex-to-launch-rapid-border-intervention-at-greece-s-external-borders-NL8HaC”
2Provisional Draft Estimate of the Agency’s Revenue and Expenditure, including the Provisional Establishment Plan for 2021 – EUROPEAN BORDER AND COAST GUARD AGENCY – BUDGET 2021
Posted on: 2020/03/04, by : admin