La crisi ucraina e la sindrome d’accerchiamento della Russia

di Stefano Marengo |

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Si apre uno spiraglio – l’unico per la verità e dettato dal buon senso – per far cessare i venti di guerra tra Usa e Russia: l’uscita dal raggio militare Nato dell’Ucraina. La proposta è stata annunciata a Londra dall’ambasciatore di Kiev nel Regno Unito Vadym Prystaiko. Ma lo stesso diplomatico ucraino con il classico carpiato politico di “rigore” in circostanze simili, gettato il sasso in piccionaia, ha negato l’affermazione. In altri termini, nel gioco delle parti, in cui si rischia di perdere di vista quali sono gli interessi generali, prodromici a evitare la guerra, a tutto vantaggio di particolari bellicosi o muscolari, si aspetta la reazione degli Stati Uniti, di Joe Biden e del Pentagoni. Putin, e con lui le gerarchie militari che premono da mesi sul Cremlino, ovviamente non potrebbe che essere favorevole alla soluzione ventilata di una Ucraina neutrale, alla creazione di uno stato cuscinetto, di un’area “smilitarizzata” che possa rassicurare la Russia e ridurre al minimo la sua secolare sindrome da accerchiamento, come racconta Stefano Marengo nel suo articolo.
La Porta di Vetro


Quando, tra il 1989 e il 1991, si consumò la disgregazione del blocco sovietico, la transizione per lo più pacifica nell’Europa orientale fu garantita da un patto non scritto, ma nondimeno molto chiaro, tra Russia e Stati Uniti: Mosca non si sarebbe opposta ai cambiamenti di regime in corso all’unica condizione che Washington non si proponesse l’allargamento della Nato alle repubbliche ex sovietiche (stati baltici, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, area del Caucaso) e, in subordine, ai paesi europei dell’ormai ex Patto di Varsavia (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria).

Le intese dopo la caduta del Muro di Berlino

L’accordo era vantaggioso per entrambi i contraenti. Gli Stati Uniti, vinta la guerra fredda, non avevano alcuna ragione strategica per estendere il perimetro dell’alleanza atlantica e rinfocolare le tensioni con Mosca, dilapidando per giunta ulteriori risorse finanziarie. La Russia, che sarebbe comunque rimasta una grande potenza regionale, aveva invece la necessità di veder garantita la presenza di un’area cuscinetto sufficientemente ampia tra il proprio confine e i paesi Nato.

Le esigenze di Mosca erano essenzialmente di carattere difensivo e avevano le loro radici in drammatiche esperienze storiche. Sin dalla campagna napoleonica del 1812 – forse, in realtà, sin dalla Guerra dei Trent’anni – la Russia vive infatti una sorta di perenne sindrome da accerchiamento dovuta al fatto che le propaggini occidentali dello sterminato bassopiano sarmatico forniscono un formidabile vantaggio tattico a chiunque voglia invadere il paese da ovest. È appena il caso di ricordare, d’altronde, che fu proprio attraverso le pianure bielorusse e ucraine che la Germania nazista attaccò l’Unione Sovietica in quella che sarebbe stata la più devastante delle campagne della Seconda Guerra Mondiale.

Interporre più spazio possibile tra sé e ogni potenziale pericolo è quindi per la Russia una questione di importanza vitale, un’esigenza così pressante da aver costituito la pietra angolare della strategia diplomatica dell’URSS in occasione degli accordi di Yalta, quando americani e sovietici si spartirono il mondo in aree di influenza. Se si tiene conto di tutto ciò, si può ulteriormente apprezzare la saggezza della tacita intesa tra Mosca e Washington al termine della guerra fredda.

Il problema, semmai, è che quel patto non scritto resse per pochi anni. Gli Stati Uniti, rimasti unica superpotenza mondiale e perseguendo l’obiettivo di porre le basi per un “nuovo secolo americano”, non tardarono molto a ridefinire i compiti della Nato, che in origine era un’alleanza sorta essenzialmente a scopo di deterrenza, impiegandola come strumento di potenza attraverso il quale, se necessario, bypassare anche il diritto internazionale e le Nazioni Unite. Il nuovo corso, come si sa, fu inaugurato nel 1999 con i bombardamenti su Belgrado decisi da Bill Clinton e raggiunse il suo acme con l’invasione dell’Iraq nel 2003 sotto George W. Bush.

L’allargamento della Nato

Il punto, per quanto ci riguarda, è che questo inedito indirizzo strategico imposto dagli USA condusse in quegli stessi anni all’allargamento dell’alleanza atlantica ai paesi dell’Europa orientale. Si iniziò proprio nel 1999 con l’adesione di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, mentre nel 2004 aderirono Estonia, Lettonia e Lituania (ossia tre ex repubbliche sovietiche) insieme a Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia. Nel frattempo, anche l’Unione Europea si era riposizionata su una linea affine a quella della Nato e tra il 2004 e il 2007 procedette all’incorporazione dello stesso blocco di paesi dell’est.

In anni più recenti, poi, sia l’UE che l’alleanza atlantica hanno avviato quello che viene chiamato “dialogo intensificato” con l’Ucraina e la Georgia, ossia due ex stati membri dell’URSS che per giunta condividono migliaia di chilometri di confine con la Russia. Tutti questi fatti comprovano che il patto non scritto tra Washington e Mosca al termine della guerra fredda è stato completamente disatteso da parte euroamericana, il che non solo ha determinato un comprensibile risentimento da parte del Cremlino, ma, ancora peggio, ha ridestato nei russi i fantasmi della sindrome da accerchiamento. È di conseguenza abbastanza facile capire perché, già nel 2014, Putin decise di intervenire in Crimea e nel Donbass, ossia nelle regioni ucraine a maggioranza russofona, e perché Mosca ancora oggi continui a minacciare azioni belliche qualora non venisse davvero interrotto il percorso di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e, soprattutto, alla Nato.

Beninteso, in questa sede non si tratta di concedere troppo credito a un leader come Putin o avallare le politiche di potenza russe. Si tratta piuttosto di comprendere che, sulla questione ucraina, Mosca ha dalla sua parte tutta una serie di buone ragioni storiche, politiche e militari per pretendere che si ritorni allo spirito delle tacite intese post guerra fredda. In altre parole, è più che opportuno che tra i confini russi e quelli europei e della Nato venga ricostituita una vasta area cuscinetto capace di salvaguardare le esigenze di sicurezza di tutte le parti in causa.

A confermarlo, d’altra parte, è l’insensatezza, oltre che la pericolosità, della strategia contraria, ossia quella che l’occidente ha seguito negli ultimi vent’anni: che senso può mai avere, infatti, andare a provocare Mosca sulla sua soglia di casa? A chi mai potrebbe giovare una situazione di tensione perenne, per non menzionare l’ipotesi di un disastroso conflitto aperto? Davvero si sta coltivando l’illusione di ridimensionare un colosso come la Russia, che in quanto tale, piaccia o no, avrà sempre un peso enorme sullo scacchiere internazionale? Sarebbe consigliabile una maggiore Realpolitik.

L’ibrida posizione dell’Unione Europea

Va infine notato che, in questo contesto generale, l’Unione Europea è venuta ad occupare una posizione che, in fin dei conti, appare doppiamente insensata. L’UE, infatti, è l’attore politico che più di tutti avrebbe interesse a mantenere buone relazioni con la Russia, eppure nel corso degli anni si è trovata a ricalcare puntualmente le orme della Nato. Con l’allargamento a est, poi, sono entrati nel recinto comunitario paesi il cui primo obiettivo di politica internazionale non è il rafforzamento dell’integrazione comunitaria, ma la stipula di alleanze in funzione antirussa, cosa che li conduce, in definitiva, a privilegiare i rapporti con gli USA.

Ne consegue che l’Unione, oggi, si trova non solo ridotta ad esercitare il ruolo di pedina in strategie elaborate oltreoceano, ma nell’impossibilità politica di elaborare una strategia propria capace di riscuotere il consenso di tutti i paesi membri. Il vicolo cieco in cui è stato condotto il progetto di difesa comune lo testimonia. Infatti, delle due l’una: se questo progetto collimasse con la strategia della Nato, ne sarebbe un inutile doppione; se invece se ne distinguesse perseguendo obiettivi originali e irriducibili a quelli dell’alleanza atlantica (come appunto garantire una relazione di pacifica coesistenza tra Europa e Russia), occorrerebbe mettere in questione l’esistenza della Nato stessa, cosa che molti a est non sono affatto disposti a fare.

Insomma, anche le tensioni tra occidente e Russia ci restituiscono l’immagine di un’Europa che, per sopravvivere, va ripensata nelle sue strutture e nei suoi indirizzi politici fondamentali.




Posted on: 2022/02/14, by :