La grande lezione dell’8 Settembre 1943
di Michele Ruggiero|
|Ad essere avvertita come una nuova immensa Caporetto non era stata la sconfitta di fronte agli angloamericani, bensì quella improvvisa e precipitosa di fronte ai tedeschi”.”1 Quella Caporetto di cui parla Claudio Pavone nel suo “Una guerra civile”, magistrale libro sull’interpretazione della Resistenza italiana, riporta il comune sentire dell’epoca sull’8 Settembre del 1943, una data che rappresentò il crollo dello Stato e delle caste che lo sostenevano. L’8 Settembre, con il rocambolesco annuncio dell’armistizio e dell’uscita dall’Italia dalla guerra, nebulizzò il governo Badoglio nato da una squallida messinscena della monarchia sabauda e dell’oligarchia militare per sfuggire alle proprie responsabilità, dopo aver liquidato il 25 luglio Benito Mussolini e il fascismo.
Fu l’ennesima manovra di cinico opportunismo nello stile preferito da re Vittorio Emanuele III sempre pronto a dare dignità regale anche alle più sordide manovre pur di ricavare il massimo al minimo prezzo per la sua dinastia. Un cinismo sempre pagato a caro prezzo dal popolo italiano, come aveva dimostrato l’arrendevolezza alla Marcia su Roma delle camicie nere, il 28 ottobre del 1922. E nel 1938 con la firma posta alla leggi razziali contro l’ebraismo, che anni dopo avrebbe aperto i cancelli dei campi di concentramento a migliaia di italiani di origine ebraica.
Ma con l’8 Settembre, i Savoia e l’intero apparato di potere commisero l’errore fatale di svendere un “gioiello di famiglia” condiviso con gli italiani: la resistenza agli austroungarici dopo lo sfondamento, appunto, di Caporetto avvenuto nell’ottobre-novembre del 1917. Una resistenza diventata la “leggenda del Piave”, sinonimo (anche scremato dall’abbondante retorica) di capacità e di mobilitazione collettiva, di diventare autenticamente popolo pur sofferente per le sue numerose ombre, dalle fucilazioni di centinaia e centinaia di soldati alla riduzione delle libertà parlamentari e all’inasprimento della disciplina militare nelle fabbriche.
L’assenza di ordini dello Stato maggiore delle Forze armate a soldati, avieri, marinai, divenne nei giorni successivi, man mano che si ingrandiva la reazione spontanea – su tutte il sacrificio della Divisione Acqui a Cefalonia – contro i nazisti, il manifesto emblematico della viltà di un’intera classe dirigente incapace di scrivere il riscatto. La fuga dei Savoia a bordo della corvetta “Baionetta”, il cui nome eroico si scontrava con il messaggio opposto e contrario inviato dalla Monarchia alle classi subalterne, fece sì che quelle stesse classi subalterne si ritrovarono, paradossalmente, padrone del loro proprio destino, forse per la prima volta nella storia d’Italia.
Fu una palingenesi. Da quell’8 Settembre, dalle ceneri dello Stato e dalla disintegrazione dell’apparato militare nacque la Resistenza, venti mesi di lotta al nazifascismo, da cui gli italiani trassero la forza per liberarsi dell’ignavia monarchica e conquistarsi una nuova e democratica Costituzione.
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Fu l’ennesima manovra di cinico opportunismo nello stile preferito da re Vittorio Emanuele III sempre pronto a dare dignità regale anche alle più sordide manovre pur di ricavare il massimo al minimo prezzo per la sua dinastia. Un cinismo sempre pagato a caro prezzo dal popolo italiano, come aveva dimostrato l’arrendevolezza alla Marcia su Roma delle camicie nere, il 28 ottobre del 1922. E nel 1938 con la firma posta alla leggi razziali contro l’ebraismo, che anni dopo avrebbe aperto i cancelli dei campi di concentramento a migliaia di italiani di origine ebraica.
Ma con l’8 Settembre, i Savoia e l’intero apparato di potere commisero l’errore fatale di svendere un “gioiello di famiglia” condiviso con gli italiani: la resistenza agli austroungarici dopo lo sfondamento, appunto, di Caporetto avvenuto nell’ottobre-novembre del 1917. Una resistenza diventata la “leggenda del Piave”, sinonimo (anche scremato dall’abbondante retorica) di capacità e di mobilitazione collettiva, di diventare autenticamente popolo pur sofferente per le sue numerose ombre, dalle fucilazioni di centinaia e centinaia di soldati alla riduzione delle libertà parlamentari e all’inasprimento della disciplina militare nelle fabbriche.
L’assenza di ordini dello Stato maggiore delle Forze armate a soldati, avieri, marinai, divenne nei giorni successivi, man mano che si ingrandiva la reazione spontanea – su tutte il sacrificio della Divisione Acqui a Cefalonia – contro i nazisti, il manifesto emblematico della viltà di un’intera classe dirigente incapace di scrivere il riscatto. La fuga dei Savoia a bordo della corvetta “Baionetta”, il cui nome eroico si scontrava con il messaggio opposto e contrario inviato dalla Monarchia alle classi subalterne, fece sì che quelle stesse classi subalterne si ritrovarono, paradossalmente, padrone del loro proprio destino, forse per la prima volta nella storia d’Italia.
Fu una palingenesi. Da quell’8 Settembre, dalle ceneri dello Stato e dalla disintegrazione dell’apparato militare nacque la Resistenza, venti mesi di lotta al nazifascismo, da cui gli italiani trassero la forza per liberarsi dell’ignavia monarchica e conquistarsi una nuova e democratica Costituzione.
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