La grande scommessa: riuscirà il Pnrr a battere le rigidità del sistema?
di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |
I finanziamenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono (per ora) un collante per partiti diversi. Ma il denaro può essere l’unico strumento per rilanciare l’economia e disegnare una nuova società? La domanda si fa largo, ogni qual volta si osserva, infatti, che logica e buon senso vengono sopraffatti da atteggiamenti ieratici che anziché sbloccare la situazione ne ingigantiscono i contrasti, compromettono la funzionalità e la produttività del sistema. Le rivendicazioni e le ragioni sono legittime e ben argomentate, ma è sempre opportuno considerare che se si dovesse inceppare la funzionalità del sistema nel suo complesso, le ragioni sono destinate a perdere di significato.
Prima di dire su che cosa si è pro o contro e nel prossimo futuro come investire i soldi del PNRR occorrerebbe interrogarsi su che cosa si vuole, ossia sulle finalità ultime verso cui indirizzare la società. L’obiettivo comune, almeno per la stragrande maggioranza della popolazione, si concretizza in una giustificata volontà di tornare a crescere e muoversi liberamente, senza l’incubo di contrarre il Coronavirus. Però è anche d’obbligo ricordare che la pandemia non è l’unica patologia che affligge l’umanità. Ogni giorno milioni di persone muoiono per altre cause, ma nessuna di essere è menzionata dai mass media, anche se lo studio delle cause sia sotto un profilo clinico, sia per gli effetti economico sociali che inducono specie nelle società povere, meriterebbe attenzione.
Agli onori della cronaca sono invece salite le interminabili discussioni sulla validità degli strumenti per contrastare la diffusione del virus. Argomento ancora di estrema attualità, in quanto gli indicatori segnalano andamenti altalenanti, mentre in altri Paesi del Terzo mondo, ma anche in Russia e nel Regno Unito, il problema è ben lungi dall’essere risolto. Tralasciando le soluzioni a buon mercato, tanto facili quanto inutili, occorre esaminare quelle possibili, conciliando il buon uso delle risorse disponibili con la necessità di tornare a vivere senza vincoli e troppo restringenti. Per esempio, in Israele, dove hanno appena superato la terza ondata, le autorità non si ritrovano a fare la conta dei morti. Infatti, è stata la prima nazione ad avviare una campagna vaccinale di massa (ad oggi la terza dose è già stata somministrata a 3.400.000 persone su una popolazione di poco più di 9 milioni), ma nonostante ciò il governo non ha intenzione di allentare le misure di protezione, mascherine comprese, per tutto l’inverno (scontata, di conseguenza, l’opportunità di analizzare con estrema attenzione i dati da loro elaborati).
In pieno lockdown non sono state poche le imprese che hanno visto aumentare i loro fatturati (tra gli altri le ditte di giochi di società e l’Italia ha fatto segnare il record di esportazione di vini di qualità). Ed oggi, in una fase di ripresa sorretta anche dal PNRR, occorrerebbe ragionare su come sfruttare le opportunità che la situazione espansiva offre, senza ricercare impossibili ritorni al passato, ben sapendo che i maggiori costi deriveranno dalle resistenze passive: quelle derivate da un invecchiamento della popolazione lavorativa, da una carenza di servizi di supporti e, last but not least, chi si ritrova in mezzo al guado, o senza Green pass o in attesa di conoscere i tempi della pensione.
Ad ascoltare i dibattiti quotidiani, l’analisi sul modello sociale da realizzare dopo i picchi pandemici, non risulta l’argomento principale: anche le organizzazioni imprenditoriali, forse distratte dal farsi riconoscere una parte consistente dei finanziamenti, non sembrano porre l’accento sul fatto che l’Italia è già all’ultimo posto in Europa per produttività e per eccessi burocratici (oltre al cuneo fiscale più elevato) e ulteriori appesantimenti potrebbero rallentare le possibilità di sviluppo ipotizzate dal PNRR. Eppure i costi di produzione, prima con il lockdown, ora con la necessità di mantenere elevata la soglia di attenzione, non possono non crescere, ma senza un’attenta valutazione del fenomeno si rischia di compromettere le possibilità di ripresa.
Non giovano a questo proposito le dichiarazioni del ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione Renato Brunetta, che associa la sospensione dello smart work con una ripresa dei consumi metropolitani. Sicuramente i bar e i negozi del centro ci guadagneranno, non così la viabilità per i congestionamenti delle città, con conseguenti blocchi della circolazione, anche in assenza di manifestazioni per le vie del centro o nei porti… L’esaminare quali lavori e quali lezioni possono essere effettuati on line, senza ricreare assembramenti sembra interessare poco o si scontra contro muri ideologici. Ci sono lavori, attività ed insegnamenti che possono più proficuamente essere assolti con modalità alternative e, se si vuole perseguire il progresso, devono essere sperimentate (anche perché le statistiche di oltre oceano rilevano una maggiore produttività in presenza di smart work: anzi le agenzie immobiliari adattano le abitazioni ad ospitare un locale idoneo a tale scopo, perché ciò agevola la vendita).
Logica vorrebbe che le attività debbano essere svolte laddove risultano maggiormente convenienti e funzionali, anche se può risultare complesso identificare oggettivamente la soluzione. All’opposto, il ricorso a prove di forza su chi riesce ad imporre la propria volontà sembra più un isterico esercizio muscolare messo in atto dalle varie componenti burocratiche che governano la nostra società di cui non conosceremo però mai il risultato per la tutela della privacy.
Posted on: 2021/11/15, by : admin