La Memoria della Liberazione non si negozia
di Davide Rigallo |
|Con puntualità cronometrica, anche in questo 25 Aprile deprivato dalla fisicità delle manifestazioni pubbliche, si ripropone contro la Festa della Liberazione l’accusa di essere una ricorrenza “divisiva”, incapace di esprimere i valori dell’unità e della concordia nazionale. In sintesi, la celebrazione è accusata di essere discriminatoria verso coloro che nei valori della lotta di Liberazione non si riconobbero allora, pur subendo il prezzo altissimo della guerra. Le argomentazioni che possono dimostrare l’infondatezza di quest’accusa sono molteplici. Basterebbe riandare alla “filologia” stessa della ricorrenza che la definisce festa della Liberazione del territorio nazionale dall’occupazione dell’esercito tedesco, per comprendere quanto sia impossibile riconoscere quale elemento di unità nazionale chi sostenne allora, con o senza consapevolezza, il fascismo della Repubblica di Salò e gli scherani di Hitler e del nazismo. In maniera più diretta, si potrebbe anche rispondere che l’unità nazionale è possibile solo nel riconoscimento della sua democrazia, ossia della conquista più importante della lotta di Liberazione.
Ma l’argomento forse più forte che si può opporre è che la memoria della Liberazione non è un metro per giudicare, oggi, scelte e azioni compiute oltre 75 anni fa, ma un patrimonio comune di valori e principi a cui riferirsi sempre per la tutela della democrazia e dello Stato di diritto nel nostro Paese. A che pro, dunque, screditare una conquista assunta da tutti come garanzia di convivenza, per di più in un periodo di grandi emergenze sociali e grandi incertezze sul piano dei diritti? Il discredito della lotta di Liberazione si inserisce, in realtà, nel capzioso conflitto che sussiste tra memoria e politiche della memoria. I confini tra le due cose sono purtroppo porosi, con il rischio frequente di non distinguerle con precisione. Ambedue – inevitabilmente – guardano al passato in relazione al presente, ma con finalità alquanti differenti. La memoria individua e restituisce alle generazioni un insieme di valori morali e politici che ritiene fondanti e per questo necessari per il presente.
Ben diversamente, le politiche della memoria usano invece le interpretazioni dei fenomeni storici, ora esaltandoli, ora denigrandoli, per interessi di parte, spesso funzionali a tattiche specifiche (alleanze, conflitti, complicità) o a rapporti di forza che escludono l’incidenza di valori, diritti e altri principi fondamentali dal proprio raggio d’azione. Le “narrazioni” manipolate sono il loro strumento principale; la presa sulle coscienze il loro scopo ultimo. Infine, va detto per onestà intellettuale, le politiche della memoria possono rispondere a ideologie anche molto diverse: Resistenza e Liberazione non fanno eccezione1, anche se, nel corso degli anni, la loro svalutazione si è formata nel crogiuolo polemico di formazioni che si rifanno, direttamente o indirettamente, all’eredità fascista.
A ben riflettere, oggi, il rischio maggiore che corre la memoria della Liberazione non viene da stantie accuse di “divisività”, ma dal distacco che purtroppo alcune forze politiche stanno maturando verso la sua funzione di garanzia democratica. Il prevalere delle politiche della memoria sulla memoria è un segno preoccupante di questo scollamento: mancando la capacità di interpretare nel presente la funzione della lotta di Liberazione, si riduce il fenomeno storico a materia per faziosità pretestuose.
La crisi ideologica delle grandi famiglie politiche tradizionali sta purtroppo accompagnando questo processo. È un gioco a cui non bisogna cedere se non si vuole lasciare spazio a pericolosi rigurgiti autoritari, magari espressi in forme più mascherate e striscianti, ma dalla facile presa. In un periodo storico quanto mai incerto, in cui troppi indizi lasciano intravvedere una nuova stagione di crisi per le libertà fondamentali della persona e per gli assetti democratici degli stati, la funzione della memoria della Liberazione, della sua lotta e dei suoi risultati non può essere in alcun modo accantonata, ma viceversa deve essere utilizzata per misurare (e preservare) la salute democratica del nostro paese. Per l’unità e la concordia nazionale non vi può essere impegno più condivisibile.
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Ma l’argomento forse più forte che si può opporre è che la memoria della Liberazione non è un metro per giudicare, oggi, scelte e azioni compiute oltre 75 anni fa, ma un patrimonio comune di valori e principi a cui riferirsi sempre per la tutela della democrazia e dello Stato di diritto nel nostro Paese. A che pro, dunque, screditare una conquista assunta da tutti come garanzia di convivenza, per di più in un periodo di grandi emergenze sociali e grandi incertezze sul piano dei diritti? Il discredito della lotta di Liberazione si inserisce, in realtà, nel capzioso conflitto che sussiste tra memoria e politiche della memoria. I confini tra le due cose sono purtroppo porosi, con il rischio frequente di non distinguerle con precisione. Ambedue – inevitabilmente – guardano al passato in relazione al presente, ma con finalità alquanti differenti. La memoria individua e restituisce alle generazioni un insieme di valori morali e politici che ritiene fondanti e per questo necessari per il presente.
Ben diversamente, le politiche della memoria usano invece le interpretazioni dei fenomeni storici, ora esaltandoli, ora denigrandoli, per interessi di parte, spesso funzionali a tattiche specifiche (alleanze, conflitti, complicità) o a rapporti di forza che escludono l’incidenza di valori, diritti e altri principi fondamentali dal proprio raggio d’azione. Le “narrazioni” manipolate sono il loro strumento principale; la presa sulle coscienze il loro scopo ultimo. Infine, va detto per onestà intellettuale, le politiche della memoria possono rispondere a ideologie anche molto diverse: Resistenza e Liberazione non fanno eccezione1, anche se, nel corso degli anni, la loro svalutazione si è formata nel crogiuolo polemico di formazioni che si rifanno, direttamente o indirettamente, all’eredità fascista.
A ben riflettere, oggi, il rischio maggiore che corre la memoria della Liberazione non viene da stantie accuse di “divisività”, ma dal distacco che purtroppo alcune forze politiche stanno maturando verso la sua funzione di garanzia democratica. Il prevalere delle politiche della memoria sulla memoria è un segno preoccupante di questo scollamento: mancando la capacità di interpretare nel presente la funzione della lotta di Liberazione, si riduce il fenomeno storico a materia per faziosità pretestuose.
La crisi ideologica delle grandi famiglie politiche tradizionali sta purtroppo accompagnando questo processo. È un gioco a cui non bisogna cedere se non si vuole lasciare spazio a pericolosi rigurgiti autoritari, magari espressi in forme più mascherate e striscianti, ma dalla facile presa. In un periodo storico quanto mai incerto, in cui troppi indizi lasciano intravvedere una nuova stagione di crisi per le libertà fondamentali della persona e per gli assetti democratici degli stati, la funzione della memoria della Liberazione, della sua lotta e dei suoi risultati non può essere in alcun modo accantonata, ma viceversa deve essere utilizzata per misurare (e preservare) la salute democratica del nostro paese. Per l’unità e la concordia nazionale non vi può essere impegno più condivisibile.
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1Sono note infatti le “narrazioni” che gruppi eversivi di sinistra hanno fatto della lotta partigiana,vedendovi surrettiziamente la premessa storica della “lotta armata” degli anni Settanta.
Posted on: 2020/04/23, by : admin
Posted on: 2020/04/23, by : admin