La morte del Cesare degli Agnelli

di Michele Ruggiero|

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Che il suo destino professionale fosse legato ad una inarrestabile ascesa lo si potrebbe dedurre, reinterpretando anche in maniera scontata l’inizio della sua nutrita biografia: il suo primo lavoro, un’azienda di ascensori… Un movimento rigorosamente sempre verso l’alto, che lo ha portato per circa cinque lustri ad essere il manager numero uno d’Italia. Del resto, le ambizioni di Cesare Romiti, che si è spento all’età di 97 anni, erano già contenute negli stessi nomi che lo raccomandavano. Uno su tutti: Enrico Cuccia, dominus di Mediobanca e personaggio leggendario della finanza italiana e internazionale del Novecento.

Fu Cuccia a raccomandarlo alla famiglia Agnelli che, alle prese con la prima grande crisi della Fiat, desiderava distinguere il proprio nome dalla proprietà aziendale. Romiti, che aveva gestito bene alcune aziende di Stato, tra cui l’Alitalia, era ritenuto un uomo di carattere (spigoloso), prima ancora che un manager. Un uomo affidabile e con una grinta fuori dal comune che all’epoca, anni Sessanta-Settanta, non ancora come oggi sotto il tallone della mediocrità e degli yesman, era considerata un titolo di merito.

E nel 1974, fu proprio su di lui che la Famiglia fece leva e quadrato per evitare che la Fiat cadesse nell’orbita di Carlo De Benedetti. Era il tempo del famoso triumvirato al potere formato da Umberto Agnelli, Carlo De Benedetti e, appunto, Cesare Romiti. I primi due, amici di vecchia data, erano stati compagni di scuola. Si stimavano. Ma, quando fu chiaro al gruppo ristretto del mondo economico e della società che Carlo De Benedetti possedeva almeno il 15 cento delle azioni Fiat (rastrellato già l’anno prima, con perfetta scelta di tempo quando era presidente dell’Unione Industriale di Torino) e, soprattutto, l’ambizione di andare oltre il ruolo di amministratore delegato di corso Marconi, la reazione della Famiglia scattò implacabile. Cesare Romiti ne divenne il braccio armato e l’ombrello sotto il quale ripararsi con una ricostruzione dei fatti che ha resistito nel tempo: tra De Benedetti e Romiti uno era di troppo. In realtà, erano di troppo due padroni.

Romiti si rivelò poi decisivo nell’estromissione di Vittorio Ghidella, l’uomo dei successi di mercato della Fiat degli anni Ottanta (la Uno su tutti), destinato a sostituirlo nel ruolo di amministratore delegato. Fu uno scontro duro, senza esclusione di colpi (bassi), quasi una spy-story, in cui si celavano interessi corposi e divergenze di vedute anche tra Umberto e Giovanni Agnelli. Alla fine del 1988, dopo un anno di “guerriglia” interna, Ghidella alzò bandiera bianca. Da quel momento, cominciò il “dominio” strategico di Romiti sulla Fiat. Fu un periodo d’oro per i dividendi, nutriti dalle sue acrobazie finanziarie dei bilanci; meno, molto meno, per l’avvenire progettuale dell’azienda. E ciò, a differenza di quanto ci si è abituati a dire, fa parte della stessa storia.




Posted on: 2020/08/18, by :