La pandemia ombra: effetti psicologici da Covid-19

di Fausto Fantò|

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Con un po’ di fatica, si comincia a prendere coscienza delle complicanze che il Coronavirus sta generando e genererà sul comportamento delle persone e della collettiva nel suo complesso e, soprattutto, che gli effetti saranno tanto più deleteri, quanto più noi oggi sottovalutiamo il problema. Come già richiamato nell’articolo apparso su la Porta di vetro on line il 22 novembre1, l’allarme lanciato dal Segretario generale dell’ONU, il portoghese Antonio Guterres, e i ripetuti interventi dell’OMS dovrebbero farci riflettere su come la nostra collettività non regge più gli stress cui viene sottoposta. E la proposizione di posizioni fortemente contrapposte non aiuta certamente a migliorare la situazione: ormai non vi sono più opinioni che accettano il dubbio quale strumento per seguire processi razionali. O si è a favore dei vaccini, per cui essi dovrebbero essere resi obbligatori, oppure si diffida della rapidità con cui le aziende, che normalmente impiegano più di 10 anni a sintetizzare un vaccino, in quest’occasione sembrano aver impiegato 10 mesi. Non è questa la sede per stabilire qual è la verità, ma di analizzare come questi estremismi tendano ad inficiare la fiducia del singolo individuo verso il sistema e, di conseguenza, determinano il loro comportamento.

Constatare come un soggetto reagisca in modo diverso, se non contrapposto, davanti gli stessi input, induce a pensare ad un fallimento dell’azione di educazione sanitaria condotta in questi anni. Mai come oggi, nella storia recente, si registrano le reazioni più contradditorie: c’è chi davanti ad uno semplice starnuto (purtroppo non infrequente in questo periodo) invoca l’intervento di tutte le disponibilità previste dal sistema; al contrario, c’è chi se ne guarda bene dal dirlo per paura delle conseguenze. Ancora. Assistiamo a persone che si barricano in casa senza avere nessun contatto anche con i propri affetti, e chi, viceversa, incurante dei rischi reali, si sposta in luoghi frequentati senza nessuna protezione. Tuttavia sono sempre meno le persone che, senza allarmismi, accrescono le modalità di ridurre i contatti rispettando tutte le possibili forme di prevenzione. Ed anche fra gli stessi operatori i comportamenti appaiono sempre più difformi: le prescrizioni, in assenza di consolidate esperienze clinicamente condivise, appaiono quanto mai contrastanti, così come le modalità di ricorre al ricovero, in assenza di linee guida, appaiono diverse da paziente a paziente e da ospedale ad ospedale. Così pazienti di situazioni simili vengono sottoposti a iter di cura alquanto differenti.

I bisogni reali di pazienti e cittadini

Si è persa dunque la capacità di effettuare diagnosi a vantaggio di uno schematismo e di un condizionamento subito dall’opinione dominante che influenza in modo altrettanto impressionante il comportamento sia dei pazienti, sia degli operatori sanitari. La paura generata dal nemico invisibile e l’oggettiva difficoltà ad affrontare le singole situazioni inducono a comportamenti irrazionali che a loro volta generano altre inefficienze che finiscono per tradursi in sprechi che rischiamo di dover pagare quando finiranno i finanziamenti speciali. Non si può più ignorare che chiunque chieda l’aiuto al singolo medico o al sistema è condizionato da un retroterra culturale che trascende dal reale bisogno, ma che è dettato dall’ambiente culturale che lo circonda. Allora, di cosa abbiamo realmente bisogno? Ora, premesso che tutti noi vorremmo domani mattina svegliarci e scoprire che il Coronavirus non esiste, si tratta di dover convivere con il virus e immaginare che cosa hanno bisogno, oltre alle cure, i nostri pazienti.

In primo luogo di sicurezza. Purtroppo i messaggi ricevuti in questi mesi sono stati non univoci ed hanno spesso generato paure ed ansie che a loro volta si sono tradotte in angoscia soprattutto nei soggetti più fragili (pensiamo agli anziani per esempio, ma anche ai soggetti provati da stress lavorativo o da violenze di vario genere). Inoltre, maratone televisive con improvvisati “esperti” o “esperti” promossi sul campo (mediatico…) hanno soltanto accresciuto i timori, con il risultato da far dimenticare qualsiasi altro sintomo di patologie preesistenti (nell’ambito geriatrico purtroppo tanti anziani affetti da iniziale demenza sono rimasti segregati per mesi senza vedere nessun famigliare e/o poter scambiare qualche parola con un vicino di casa, determinando conseguenze sia sul quadro cognitivo che comportamentale irreversibili). Per esempio, chi non ricorda l’appello delle società scientifiche cardiologiche ed oncologiche sui dati relativi ai pazienti che non hanno ricevuto le cure adeguate e quanti sono stati “abbandonati” al loro destino?

In secondo luogo, è doveroso reclamare una maggiore affidabilità. Comportamenti affidabili da parte non solo della classe medica e sanitaria in generale, ma anche da chi gestisce la “cosa” pubblica. Certo non ha giovato il rimbalzo di responsabilità tra potere centrale e poteri locali con scelte a dir poco discutibili, che hanno nociuto a creare un clima di serenità e trasparenza nei rapporti socio-sanitari. Terza esigenza, l’ascolto. Pensare che per ascoltare l’altro possa essere sufficiente sentire che cosa dice, è un errore comune, che ci porta a prestare attenzione solo al significato letterale delle parole, senza riconoscere l’importanza dell’ascolto come mezzo di comunicazione e, in campo medico, come strumento indispensabile per la cura della persona.

Guardiamo con capacità critica anche alle complicità del sistema

Nessun paese al mondo ha trovato una soluzione efficace, ma nonostante ciò ogni giorno sui giornali e sui telegiornali appaiono soggetti che riportano soluzioni risolutive che sistematicamente vengono smentite, nel volgere di pochi giorni, dalla realtà dei fatti. Anche la politica, che dovrebbe governare il sistema nel suo complesso, non sembra essere in grado di imboccare una strada precisa e finisce per dilaniarsi in risse verbali dove le critiche mosse nei confronti della maggioranza da chi sta all’opposizione in una regione, sono le stesse sollevate a parti invertite. Il guaio è che l’opinione pubblica si accalora nel tifare per una delle due parti, anziché dimostrare di avere una maturità politica in grado di analizzare le situazioni e formulare delle ipotesi risolutive, anziché compiacersi di chi sta spendendo le risorse oggi disponibili in operazioni di limitata portata come riempire i magazzini o coinvolgere personale non qualificato (generando un consumismo sanitario inconcludente).

Soluzioni miracolose non esistono (e chi li propone non risponde alle reali conoscenze acquisite): velocemente il mondo sanitario sta migliorando le potenzialità di intervento, ma quello che non si riesce a migliorare (anzi si registra una pericolosa regressione) è l’incapacità di gestire il sistema. Probabilmente dovremo convivere a lungo con il virus e con le conseguenze che la pandemia sta producendo, vuoi sul singolo soggetto, vuoi sull’intera collettività. Ed è questo, non il gioco del colore giallo, rosso ed arancione, su cui bisognerà soffermare la nostra attenzione sia come professionisti che come cittadini, inevitabilmente interessati a ciò che sta succedendo nella nostra società.

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