La politica dell’accoglienza è anche una politica di doveri

di Antonio Pennino|

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L’Italia ha accolta circa 5 mila afghani in fuga da Kabul. Si tratta dell’evacuazione più numerosa effettuata da un Paese dell’Unione Europea. L’ultimo esodo di 58 afghani a bordo di un C-130 è avvenuto ieri, ultimo degli 88 voli effettuati dall’Aeronautica militare dalla presa del potere in Afghanistan dei talebani.

Il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, ha dichiarato che siamo il primo paese UE per accoglienza dei profughi afghani. Facciamo perciò qualche osservazione al riguardo. La gente afgana che stiamo portando nel nostro Paese, al pari di altre nazioni, è costituita da donne, bambini e uomini, secondo una priorità che ci riporta anche ad una galanteria di antica memoria. Ritengo che questi siano le famiglie dei “collaboratori” del contingente internazionale, e di quello italiano in particolare, anche se il dubbio della presenza di “non amici” infiltrati tra questi non può essere completamente escluso. Questa migrazione appare una educazione cavalleresca, frutto anche di un accordo stipulato forse solo con una stretta di mano, dove il rappresentante del contingente internazionale assicurava un “passaggio” da Kabul a Roma – nel nostro caso – di fronte ad una eventuale deterioramento della situazione.

Fin qui direi che il tutto è più che condivisibile. Un vecchio adagio suggerisce che l’amico si scopre nel momento del bisogno. E nella fattispecie la necessità qui è fuori discussione. È dall’arrivo sul suolo italiano che deve però iniziare il supporto reale con l’inserimento nella nostra società. Un aspetto molto importante che tocca più campi: l’integrazione culturale, l’integrazione sociale e la realizzazione personale o familiare. Escludere uno di questi potrebbe costituire una sconfitta e la generazione di un insoddisfatto che potrebbe trasformarsi in un “non amico”. Come avviene per quelli che pur facendo parte di una società dalla sua origine non si realizzano.

Integrazione culturale significa condividere che le donne vanno a scuola come gli uomini, che a casa si mangia tutti intorno allo stesso tavolo, che una figlia si sposi con chi ama, che la cultura è laica, che una donna possa uscire senza essere accompagnata da un parente, e così via. Integrazione sociale vuol dire un sostanziale e consensuale coinvolgimento nel sistema delle istituzioni, delle norme e dei valori indicati dalla nostra Costituzione. Quindi l’integrazione sociale riguarda il funzionamento del sistema sociale e la sua legittimità. Un esempio per comprendere di cosa stiamo parlando: una donna che denuncia una violenza deve avere un numero di testimoni maschi definito per legge nella maggior parte dei paesi musulmani. Nel Pakistan di Musharraf si urlò da una parte alla blasfemia e dall’altro ad un grande passo avanti quando i testimoni maschi furono portati da cinque a quattro. Infine, la realizzazione familiare e professionale che si concretizza con la possibilità di usufruire dei servizi del nostro paese e dall’altro nell’avere un lavoro per il sostentamento proprio e della famiglia.
br> Quindi il trasporto da Kabul a Roma non esaurisce l’impegno, l’atterraggio all’aeroporto di Fiumicino conclude una fase, per alcuni versi la più semplice anche se così non è stato – come potrebbe raccontarci il gen. Portolano, Comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, che ha guidato l’operazione -, ma ne avvia una nuova e molto più complessa, da non condurre come quella che ha riguardato il collocamento nel mondo del lavoro dei fruitori del reddito di cittadinanza.

Ai profughi è fondamentale trovare un alloggio, creare le condizioni per insegnare loro le nostre regole, favorire il concreto inserimento dei figli a scuola, offrire un lavoro o reali opportunità di lavoro, giusto per semplificare. Sottolineo che si deve, non che si dovrebbe. Sembra poco, ma è la chiave di volta per continuare a rispettare quel patto che abbiamo stipulato con loro, per far sì che entrambi le parti continuino ad essere dei gentiluomini.




Posted on: 2021/08/29, by :