La politica sanitaria in Italia. Parte sesta

di Gian Paolo Zanetta|

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Come abbiamo visto nella parte quinta, è alla fine del Novecento che prende concretamente avvio la riforma del Titolo V della Costituzione che avrebbe dovuto portare, nelle intenzioni del legislatore, al cambiamento, in senso federalista dello Stato, con l’introduzione di norme che attribuivano maggiori responsabilità, competenze e risorse alle Regioni. Il tutto, nella convinzione di poter dare concretezza ad un processo politico e normativo che da anni oscillava tra forme di decentramento e forme di devoluzione. Un’oscillazione tutta giocata in sterili discussioni accademiche che nella sostanza impediva, attraverso la valorizzazione delle autonomie locali, di scalfire le prerogative di uno Stato da sempre centralista ed accentratore. Un segnale importante lo diede il trattato di Mastricht del 1992, più volte ricordato unicamente per il limite posto al rapporto debito-Pil e per le regole imposte ai bilanci degli Stati Membri. In realtà il trattato introdusse il principio di sussidiarietà come principio cardine di un nuovo rapporto tra Unione Europea, Stati membri e loro articolazioni territoriali: non solo per ragioni economiche, ma anche di equità, il più equilibrato modello istituzionale si ottiene attraverso una redistribuzione dei poteri di entrata e di spesa tra i diversi livelli di governo sulla base dei principi di sussidiarietà, responsabilità e solidarietà. Per il principio di sussidiarietà lo Stato deve delegare ai vari livelli inferiori le funzioni che essi possono esercitare meglio a vantaggio della generalità degli associati. L’Unione Europea ed il nuovo ruolo delle Regioni rappresentarono il connubio fondamentale per l’avvio del federalismo ed il superamento dello Stato accentratore.

L’introduzione di sistemi compensativi tra regioni ricche e meno ricche

Lo snodo innovativo e propulsore fu individuato nel cosiddetto “federalismo fiscale”, da anni oggetto di approfondimenti teorici, ma tradotto, auspice il ruolo governativo della Lega Nord, in strumento giuridico, finanziario e fiscale atto a garantire che i tributi percepiti in una data regione rimanessero nella stessa al fine di finanziare i servizi pubblici resi ai cittadini. Sistemi compensativi avrebbero riequilibrato lo sbilancio tra regioni ricche, dove maggiore era l’introito tributario, e regioni meno ricche, dove l’introito non risultava sufficiente. In proposito, il prof. Tommaso Padoa Schioppa, nel testo del 1993 “Il federalismo economico e la Comunità Europea” sosteneva che “[…] Il significato del principio di sussidiarietà è allora questo: la produzione di ogni dato bene pubblico dovrebbe essere attribuita al livello di governo che ha la competenza per l’area in cui quel bene è pubblico”.
E particolarmente pregnante, rispetto al ruolo attribuito al processo di revisione fiscale, è quanto affermato nel 1994 dai professori Giulio Tremonti (non ancora ministro delle Finanze ed Economia con i governi Berlusconi) e Giuseppe Vitaletti nel volume “Il federalismo fiscale”: “È ottimo il livello di governo in cui il bene è finanziato da chi vota, prodotto e gestito da chi è votato.” La convergenza delle forze politiche condusse poi ad una condivisa proposta di riforma costituzionale che modificava l’assetto dell’articolazione delle autonomie locali e che, dal punto di vista legislativo, poneva sullo stesso piano Stato e Regioni.
Ma è con la legge Costituzionale n.3 del 18 ottobre 2001 che entrano nella Costituzione, a pieno titolo, principi di sussidiarietà, di autonomia finanziaria degli enti locali, di nuovo potere legislativo in capo alle Regioni, partendo dal presupposto che garantire un maggior coinvolgimento e controllo da parte delle realtà regionali, significasse un migliore e più corretto utilizzo delle risorse pubbliche e, di conseguenza, favorisse comportamenti virtuosi dei vari livelli di governo, responsabilizzasse i percettori di imposte quali anche erogatori di servizi, assicurasse una maggiore corrispondenza tra carico fiscale locale e servizi erogati.

Centralismo mascherato e incompleto decentramento regionale

I dubbi su tale riforma furono molti. Già nel 2001, la prof. Nerina Dirindin scriveva:

“Lo stato sociale e il sistema fiscale del nostro Paese sono stati recentemente interessati da un processo riformatore di carattere strutturale avviato con l’obiettivo di favorire il riequilibrio di bilancio e più in generale dell’economia italiana. All’interno di tali processi, il riordino del SSN e l’avvio del federalismo fiscale costituiscono due innovazioni potenzialmente in grado di modificare in modo sostanziale l’assetto del sistema sanitario e della finanza regionale. Per quanto, infatti, il federalismo fiscale sia stato giudicato una semplice attuazione tardiva dell’articolo 119 della Costituzione (nella versione del 1948 precedente la modifica), la piena responsabilizzazione delle Regioni sul finanziamento della sanità pubblica apre prospettive ancora completamente da esplorare”.1

Il risultato di tale riforma è sotto gli occhi di tutti: in realtà, si è sempre più rafforzato, anche surrettiziamente, il ruolo dello Stato nella duplice veste di ingordo esattore nei confronti del cittadino e di gestore incontrollato delle risorse pubbliche, riscrivendo un nuovo centralismo, in netto contrasto con la citata legge Costituzionale n.3; dall’altro lato, però, le Regioni hanno progressivamente disatteso il concetto di leale collaborazione istituzionale, limitando il proprio ruolo ad una defatigante conflittualità nella suddivisione dei fondi. E per quanto riguarda la materia specifica, paradossalmente, il comune denominatore tra Stato e Regioni è stato quello di dimenticare le strategie, la programmazione e i piani sanitarie. in realtà la riforma costituzionale, dopo una prima fase, non ha prodotto effetti concreti: lo studio dei costi standard, che doveva essere la chiave di volta della trasformazione federalista, non è sfociata in proposte concrete: il riparto delle risorse da destinare alle singole regioni, infatti, è avvenuto sempre secondo i tradizionali meccanismi che hanno regolato il finanziamento del SSR e pertanto il governo della spesa è rimasto in mano allo Stato attraverso il ruolo centrale del Ministero dell’Economia e delle Finanze. In conclusione il federalismo fiscale non ha trovato attuazione ed oggi assistiamo ad una ripresa delle tematiche regionaliste sotto la veste dell’autonomia differenziata. Ma di questo parleremo successivamente.



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1Ragiusan, Rassegna giuridica della sanità, n.211/212.


Posted on: 2020/07/21, by :