La presa di Kabul e i misteri sui colloqui di Doha

di Antonio Pennino* |

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La dissoluzione dell’esercito afghano e la “marcia su Kabul” dei talebani pone qualche riflessione di fronte all’amarezza di aver assistito al ritorno della teocrazia islamica in Afghanistan dopo vent’anni di sacrifici della coalizione internazionale e dell’alleanza atlantica in particolare. Avevano ragione i pakistani quando dicevano che il presidente dell’Afghanistan non era altro che il sindaco di Kabul. Anche se l’ultimo, Ghani, si è dimostrato molto meno, riparando come un fulmine negli Emirati.

Questa rapida capitolazione del Paese ha dimostrato che il controllo del territorio era esclusivamente nelle mani del contingente internazionale. I soldati di Kabul non lo hanno difeso e non hanno speso una “goccia di sudore” per farlo. Certo, da un lato i talebani con la determinazione di una rivoluzione teocratica e sociale e dall’altro delle forze armate in una comoda condizione che si è dissolta come il ghiaccio al sole. Perché ? Sicuramente perché gli afghani, in generale, non hanno il concetto di nazione, direi di Patria, al quale sono educati molti popoli. Le forze armate, poi, non avevano il senso della difesa delle “libere istituzioni”, uno dei tre compiti fondamentali delle nostre.

La ricostruzione di un Paese non si esaurisce con un intervento di contingenti militari, richiede investimenti importanti di risorse, non solo finanziarie. Il contingente militare serve a creare la sicurezza fisica, il controllo del territorio, la protezione delle attività istituzionali e sociali. Alla sua azione va affiancata una strategia politica di ricostruzione delle strutture istituzionali per avviare riforme come quella scolastica, quella sanitaria, quella della giustizia, giusto per citarne alcune. La ripresa della funzionalità dello stato riveste il primo passo per dare risposte concrete alla popolazione.

Il contingente militare internazionale ha portato avanti, in questi vent’anni, una forte politica di supporto alla popolazione, con le sue strutture di cooperazione civile-militare. Ha, infatti, scavato pozzi e creato reti per il rifornimento idrico dei villaggi, ha creato ambulatori con proprio personale per fornire assistenza sanitaria ai villaggi, ha creato scuole e reti elettriche. In sintesi ha investito per dare alla popolazione condizioni di vita migliori, per contrastare la rivoluzione teocratica sbandierata dai talebani. E questo lo hanno certamente compreso quelle donne che hanno lanciato drammaticamente i loro pargoli al di là di quel filo spinato che le divideva dalla libertà.

Ma ciò non sembrerebbe sufficiente a giustificare la “marcia su Kabul”. Cosa è accaduto o cosa è stato deciso, visto che non c’è stata neanche la parvenza di una benché minima scaramuccia, nei colloqui tra americani e talebani a Doha? Biden ha gestito un passaggio “indolore” del potere senza coinvolgere gli alleati? Questo mi sembra essere il grande interrogativo.

*Generale di Brigata Esercito Italiano




Posted on: 2021/08/20, by :