La prima cinica notte della guerra del Golfo: 17 gennaio 1991

di Germana Tappero Merlo|

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Trent’anni fa, giovedì 17 gennaio 1991. La prima guerra del Golfo e la mia prima guerra ‘in diretta’. A tarda notte, la CNN annunciò: “Something is happening outside… the skies over Baghdad have been illuminated” (“Qualcosa sta accadendo là fuori… I cieli sopra Baghdad si sono illuminati”). Ma anche in Italia, pressoché in contemporanea, un allora Emilio Fede, a capo della redazione di Studio Aperto, sbaragliò la concorrente Rai nell’annunciare, con un urlato “Hanno attaccato!”, che l’offensiva Desert Storm, contro Saddam Hussein e per la liberazione del Kuwait, da parte della coalizione internazionale su mandato dell’ONU e a guida Usa, a cui anche l’Italia partecipava, era finalmente iniziata. Il coinvolgimento emotivo e il grande timore dell’opinione pubblica internazionale furono intensi, con sospetti di estensione del conflitto al di fuori di quei confini. Ricordo l’ansia per le razzie di cibo nei supermercati e di benzina ai distributori nostrani nei giorni che precedettero quell’attacco, di cui si ipotizzava l’avvio allo scadere dell’ultimatum dell’Onu a Saddam Hussein perché si ritirasse da quella disgraziata e folle invasione.

L’attenzione pubblica e il coinvolgimento emotivo in Italia, poi, erano ai massimi livelli e sarebbero cresciuti a dismisura con la cattura dei due nostri piloti Bellini e Cocciolone, poi percossi e torturati, con i loro umilianti interrogatori da parte dei carcerieri, filmati e trasmessi dalle tv di tutto il mondo. Ed era solo l’inizio di una campagna militare breve, ma intensa con un apporto iconografico che anticipava l’era di internet. Fu infatti il primo conflitto iper-mediatico del dopoguerra, sebbene le informazioni di quanto stava avvenendo passassero rigorosamente dal controllo del comando militare US. Non si dovevano infatti permettere gli errori di comunicazione commessi con la guerra in Vietnam: l’opinione pubblica doveva essere indirizzata e non lasciata emotivamente in balia di immagini non controllate. I giornalisti sul campo non avrebbero più raccontato ciò che era accaduto dopo giorni: ne erano testimonianza in diretta tv. Da cronisti potevano, quindi, diventare critici analisti di un operato e riferirlo. Tutto troppo vincolante la condotta politica e soprattutto quella militare delle forze sul terreno, fino a comprometterla, secondo alcuni.

Fu quindi l’inizio di quell’embedded journalism che riferisce di una guerra attraverso i bollettini redatti dall’ufficio stampa dei comandi militari sul campo, anche se spiegati ai cronisti attraverso briefing comuni, con tanto di carte e bacchetta. Una pratica che sarebbe stata corretta con l’avvio della seconda guerra del Golfo, nel 2003, e via via confermata e perfezionata con i conflitti a seguire. Nel ‘91 qualcosa sarebbe comunque ancora sfuggito a quel controllo e alla censura. Oppure, peggio, sarebbero state costruite immagini ad hoc, alcune maldestramente, e quindi smascherate (come nel caso del cormorano imbevuto di petrolio), da cui un effetto boomerang sulla politica. Da allora la diffidenza dell’opinione pubblica su quanto sarebbe stato narrato ufficialmente dei conflitti seguenti. Ecco perché a fianco di un giornalismo embedded avrebbe preso l’avvio (molto pericolosamente) il giornalismo indipendente in zone di guerra. Parecchio stava quindi cambiando e lo si sarebbe visto di lì a poco, con la drammaticità delle scene provenienti dal lungo conflitto nell’ex Jugoslavia e poi, negli anni, in un sanguinario crescendo, in tutti gli altri che seguirono. E con il nuovo millennio, ancora un’altra, ennesima grande svolta.

Dall’attacco dell’11 settembre 2001 a tutti i conflitti seguenti, sino a quelli siriano-iracheno e libico, passando dalle atrocità sui prigionieri da parte dell’ISIS, la loro copertura mediatica, con immagini cruente, ripetutamente riproposte anche in rete, avrebbe cambiato la percezione e la sensibilità di fronte a tanta sofferenza, tanto che quella massa di immagini paiono ora averci totalmente immunizzato dall’orrore dei conflitti moderni. Diffidenza verso i decisori politici e i comandi militari, saturazione emotiva sino all’indifferenza verso quelle atrocità e i loro ragguardevoli numeri di vittime e di supplizi: ecco cosa è successo in trent’anni di guerre raccontate nell’era della grande comunicazione. E tutto iniziò quella notte del 17 gennaio 1991.

A quel tempo, lavorare con le scarne informazioni che arrivavano da quel fronte, fare analisi e previsioni di conduzione militare strategica senza l’ausilio di un più moderno internet e con censura militare imposta dal comando Usa, fu un’impresa titanica, faticosa e complessa. Si ipotizzava. Si faceva ricorso a quanto studiato come storia militare, anzitutto americana, mettendo insieme le competenze in materia di dotazioni di armi, comando, controllo e intelligence delle diverse parti contrapposte, lo studio della morfologia di quel territorio e soprattutto la conoscenza delle sue guerre passate. Ma erano semplici ipotesi, le mie, da neofita analista. D’altronde non vi era la massa di esperti, o più o meno tali, che in seguito avrebbero imperversato su internet e nei programmi tv, in particolare dopo l’11 settembre 2001.

E guarda caso molti di costoro erano (e sono) proprio giornalisti che, dimenticato il ruolo da cronista, si erano riciclati (e là sono rimasti) nell’analisi strategica, invadendo un campo professionale non loro. Pericolosa deriva dell’informazione e dell’analisi stessa. Un fenomeno tutto italiano che, per fortuna, si sta ridimensionando con una giovane generazione di analisti militari. Perché l’analisi necessita della volontà della politica ad erigere una cultura di intelligence con una forma mentale imparziale al fine di conoscere certi fenomeni, prevedere e, soprattutto, prevenire. Obiettività ed equilibrio sono i fondamentali, ma non sono sempre prerogative del giornalismo.

Nel 1991, c’eravamo l’ex. gen. Luigi Caligaris ed io, appunto: l’anziano uomo sul campo e la giovane analista. Genuine comparsate in tv che non si dimenticano, come quando andai ospite al riguardo presso l’allora ‘Maurizio Costanzo Show’ a commentare le decisioni del gen. Herbert Norman Schwarzkopf jr.(morto il 27 dicembre del 2012) al comando della più osservata campagna militare dal secondo dopoguerra, appunto Desert Storm, con tanto di cartine e bacchetta. Ora tutto è drammaticamente e cinicamente diverso. Troppi conflitti, molti dei quali nemmeno narrati, perché tanto quell’orrore non farebbe alcuna differenza sull’opinione pubblica mondiale o perché il far conoscere o meno un conflitto è subordinato agli opportunismi politici del momento. Troppe informazioni, quindi, per voler spiegare tutto, ma finire con il non dire nulla o non far sapere nulla. Il pubblico si è adattato così a questo caos informativo, elaborandolo e creando quindi proprie verità che crede esaustive ed assolute, sino però a neutralizzare logica, sentimenti ed addirittura humana pietas. E tutto ciò, purtroppo, è una fra le tante dimenticate e ciniche eredità di quella notte di trent’anni fa.




Posted on: 2021/01/16, by :