La voglia di licenziare? Un virus da combattere come il Coronavirus

di Pietro Terna|

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Ricordiamo Domenico Modugno che canta “Volare oh, oh”, ritornello che portò al travolgente successo del brano presentato a Sanremo nel 1958. Un altro ritornello è “Licenziare oh, oh”, rovinoso invece che travolgente. Eppure lo si sente spesso, anche nei momenti meno adatti, quando chi ha responsabilità di rilievo pubblico, responsabilità politiche o associative, di categoria o sindacali, deve riflettere a lungo prima di alimentare il pessimismo che porta alla rinuncia.

Se io fossi il Presidente di Confindustria chiamerei a raccolta gli esponenti delle imprese più significative, per settore, capacità di innovazione, rilievo associativo, di dimensioni e regioni diverse, e chiederei a tutte quelle imprenditrici e a quegli imprenditori la sottoscrizione di una dichiarazione semplice e diretta: un’azienda sana e competitiva non assume o licenzia per capriccio, ma per effetto di valutazioni molto ponderate sul proprio futuro. Non esiste imprenditore sano di mente che rinunci a cuor leggero a collaboratori che si sono formati facendo parte della squadra che dà forza e struttura alla sua azienda. Mi sembra molto importante in questo momento spiegare che, una volta superato il blocco dei licenziamenti, i casi di riduzione del personale che registreremo saranno limitati a situazioni da tempo deteriorate. Chiedere per le imprese maggiori la possibilità di licenziare è un pessimo segnale.

La battaglia contro il virus può ora essere vinta e nel mondo la ripresa è molto forte, tanto che i prezzi delle materie prime e dei trasporti (i noli) stanno crescendo rapidamente. Non è una fiammata di breve periodo: l’Espresso dell’Economist del 27 maggio1 titola “Boom boom boom boom: capital expenditure” con l’indicazione che “In America le spese di capitale delle aziende stanno aumentando ad un tasso annuo del 15%”. Certo esistono aziende, già in difficoltà nel 2019, su cui la crisi pandemica ha pesato moltissimo. In quei casi si tratta di adottare piani di ricollocazione del personale, tutto o in parte se un ridimensionamento può salvare l’azienda, mettendo in moto strumenti innovativi che siano gli stessi che dobbiamo sempre più imparare a utilizzare per i disoccupati.

Serve grande attenzione alle assunzioni in generale, anche dei non giovani, mobilitando personale degli uffici e delle agenzie del lavoro, tra cui i cosiddetti navigators, poco e male utilizzati e ora a fine mandato: occorre visitare le imprese, da quelle piccolissime alle maggiori, per accertare le esigenze di personale, sempre presenti e sempre denunciate dalla ricerche ricorrenti da cui risulta che “le imprese non trovano x e y”, anche se, a ben guardare, le stesse ricerche mostrano che le quelle imprese non fanno nulla di concreto per cercarli.

Chi visita l’impresa deve poter offrire un servizio integrato dalla individuazione dei candidati, alla formazione necessaria, a premi per le assunzioni con riduzioni contributive o in altra forma, alla proposizione dell’apprendistato, il tutto in collaborazione con le associazioni delle imprese e con tutti gli operatori, anche privati, attivi nel collocamento. In sintesi, una Pubblica amministrazione che crea e aiuta a creare occasioni di lavoro. Per i più giovani, deve valere il collegamento scuola-lavoro, cercando il massimo successo formativo, con il concorso di tutti per la creazione di occasioni di lavoro sempre più qualificate, in quanto uniche a offrire un futuro con la competizione mondiale e soprattutto con l’innovazione a 360° che attende le nuove generazioni. Questa è una prospettiva di azione, attuabile anche in tempi brevi, molto più coraggiosa e ricca di prospettiva che chiedere a gran voce di poter licenziare.

Infine ci sono le novità del decreto cosiddetto “Sostegni bis” che chiama in causa industria e edilizia con l’esonero dal contributo addizionale sulla cassa integrazione per periodi successivi al primo luglio. Certo l’uso dell’ammortizzatore sociale blocca i licenziamenti sino al 31 dicembre 2021: una strada concreta per rendersi conto del cambiamento del quadro economico, salvando le imprese.

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