L’anniversario: vent’anni fa moriva Domenico Carpanini

di Menandro|

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La sua prima casa politica era stata il Psiup, il Partito socialista di Unità Proletaria, ramo intellettualmente elitario delle tante scissioni del Partito socialista. Ma tra i “carristi”, com’erano etichettati i militanti del Psi della corrente di sinistra che aveva dato vita al nuovo partito, Domenico Carpanini rimaneva autenticamente un riformista. E lo sarebbe rimasto con orgoglio anche nel passaggio al Pci di Enrico Berlinguer, allo scioglimento del Psiup, nel 1972.

Classe 1953, Domenico Carpanini se ne sarebbe andato per sempre il 28 febbraio del 2001, vent’anni fa, in una serata pungente nella sede dell’Ascom, l’associazione commercianti di Torino, mentre si misurava con il candidato della Casa delle Libertà, Roberto Rosso. In gioco, c’era la carica di sindaco di Torino, il suo sogno, costruito con pazienza certosina fin da metà degli anni Ottanta, da capogruppo del Pci in Sala Rossa, durante la giunta “rossa” guidata da Diego Novelli. E, ancora, negli anni successivi, da capogruppo di minoranza del Pci fino al 1992 e dall’anno successivo al 2001, vicesindaco nel governo cittadino di Valentino Castellani, elaborazione primigenia di ciò che sarebbe diventato nel 1996 l’Ulivo di Romano Prodi.

Lo sgomento e la tristezza della città per quella scomparsa improvvisa furono sinceri. E lo si vide ai suoi funerali davanti a palazzo Civico, tra una folla di amici, di militanti e simpatizzanti del Pds (l’erede del Pci, dopo la svolta della Bolognina di Achille Occhetto), di cittadini anonimi che a fatica tratteneva il dolore di aver perduto la certezza che lui sarebbe stato il futuro sindaco di Torino. E con lui, il rafforzamento della continuità politica a sinistra, con l’occhio rivolto ai bisogni della gente, senza cadute o pregiudizi snobistici e senza timore di affrontare con onestà e coraggio il senso vero delle parole per timore di equivoci e polemiche: una su tutte, la parola sicurezza.

Del resto, non era stato facile per Domenico Carpanini, di famiglia operaia, liceo classico al “Cavour”, servizio militare negli alpini alla Caserma Monte Grappa, “migliorista” di rigore, appartenente alla corrente di destra del partito, strappare al Pds e ai suoi alleati la candidatura per il dopo Castellani. Nei suoi confronti si erano sviluppati irrazionali preconcetti e pregiudizi che mal si conciliavano con la stima generale che lo circondava e che riscuoteva tra gli stessi avversari politici. E Carpanini ne soffriva. Una sofferenza che arrivava da lontano. Nel 1992 era stato umanamente ferito dal modesto risultato elettorale alle Politiche nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli che l’aveva escluso dal Parlamento. In piazza Castello, all’epoca quartier generale del Pds, i nuovi vertici si “erano meravigliati” dell’insuccesso, ma a più di uno non era sfuggita l’ipocrisia di chi cominciava a considerarlo un avversario interno da indebolire in prospettiva di inedite soluzioni politiche.

Ma Carpanini aveva resistito. E l’aveva fatto per otto anni nell’unico modo con cui interpretava la politica: con il lavoro concreto, con una lealtà mostrata quotidianamente a Castellani, con un impegno sfibrante, trasformando la città nel baricentro stesso della sua esistenza. Nonostante ciò, dall’autunno del Duemila, dall’inizio delle schermaglie per la candidatura, Domenico Carpanini si era ritrovato a correre in salita, ossessionato dalle ombre di altri candidati costruiti in laboratorio dai maggiorenti della città. A quel clima di perplessità artificiosa, aveva replicato con sarcasmo e ironia, non prima di aver sperimentato le sue taglianti battute con l’aiuto del suo grande amico e primo sostenitore dell’impresa Giuseppe De Maria, numero uno dell’associazione commercianti. Serate indimenticabili attorno al tavolo da poker, in cui il fumo delle sigarette, “amiche” maledette di Domenico, sembrava destinato ad avvolgere soltanto le carte, ma non a prendersi il suo destino.




Posted on: 2021/02/28, by :