Le bizzarre italiche interpretazioni sul Mes
di Daniele Viotti|
| Con una metafora di grande effetto Filippo Sensi, ex portavoce di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, ha definito la “vicenda MES” come la Brexit dell’Italia. Credo che intendesse indicare, più che la rilevanza dell’argomento, la misura del tempo speso (e forse sprecato) nel nostro Paese a discutere di MES. Esattamente un anno fa, da La Porta di Vetro, scrivevo il primo articolo mettendo in guardia dall’inconsistenza di certi argomenti usati contro il MES. Il punto, e tornano le argomentazioni di Filippo Sensi, è che quella discussione sta ritornando esattamente tale e quale quella di un anno fa a pochi giorni dal voto in Parlamento per autorizzare le modifiche europee al Meccanismo di stabilità.
Una discussione, come spesso avviene nel nostro Paese, surreale e completamente scollegato dalla realtà che confonde le modifiche delle regole di un Fondo con la sua adozione, che mette insieme uno strumento che affonda le sue radici nel tempo, con uno dal nome quasi simile ma creato in occasione delle conseguenze della pandemia, con regole differenti e scopi ben definiti. Una discussione, infine, che dovrebbe coinvolgere solo la burocrazia e i tecnici del “settore” e non avere dignità di dibattito pubblico sul quale creare le solite fazioni in cui amiamo ormai dividerci e combatterci.
Citarsi è sempre un peccato, farlo due volte dovrebbe essere doloso, ma vorrei rimandare ancora a all’intervento dello scorso anno, perché l’ultimo punto che sollevavo in quella occasione era la necessità di concentrarsi sul Bilancio Pluriennale che era in piena discussione e che, quello sì, avrebbe avuto ricadute enormi sulle nostre università, sui nostri centri di ricerca, sulle nostre amministrazioni territoriali e sulle nostre imprese. E purtroppo, anche in questo caso, siamo ancora al punto di partenza. O meglio: saremmo al punto di arrivo, ma la curva che ci distanzia dal traguardo sembra una parabolica senza fine. Al Bilancio pluriennale si è aggiunto, per le note vicende e come abbiamo commentato più volte anche in questa sede, l’ormai famoso Recovery Fund. Tuttavia se strumento, regole e numeri sono ormai decisi mancano ancora il “sì” di Ungheria e Polonia che hanno posto il veto perché non vogliono accettare il “minimo sindacale” di norme sullo stato di diritto che il Parlamento Europeo ha giustamente voluto introdurre come condizione per accedere ai generosi fondi.
Però, nella bizzarra politica italiana, si cede allo stanco tentativo delle minoranze – e di minoranze della maggioranza – di buttarla in caciara su nomi, ruoli, squadre piuttosto che di concentrarsi tutti insieme nel tentativo di dissuadere con ogni mezzo Ungheria e Polonia dalle loro insensate rivendicazioni. Mentre scrivo arriva la notizia che anche oggi la discussione sulla Brexit ha allungato la sua agonia con una nuova “fumata nera” nella telefonata tra il Premier inglese e la Presidente della Commissione Europea. Speriamo invece che mercoledì, almeno in Italia, termini la litania sul MES. E che termini perché si è capito che il voto del Parlamento italiano sarà solo un voto tecnico e non una cessione di potere e sovranità all’Europa.
Posted on: 2020/12/07, by : admin
Una discussione, come spesso avviene nel nostro Paese, surreale e completamente scollegato dalla realtà che confonde le modifiche delle regole di un Fondo con la sua adozione, che mette insieme uno strumento che affonda le sue radici nel tempo, con uno dal nome quasi simile ma creato in occasione delle conseguenze della pandemia, con regole differenti e scopi ben definiti. Una discussione, infine, che dovrebbe coinvolgere solo la burocrazia e i tecnici del “settore” e non avere dignità di dibattito pubblico sul quale creare le solite fazioni in cui amiamo ormai dividerci e combatterci.
Citarsi è sempre un peccato, farlo due volte dovrebbe essere doloso, ma vorrei rimandare ancora a all’intervento dello scorso anno, perché l’ultimo punto che sollevavo in quella occasione era la necessità di concentrarsi sul Bilancio Pluriennale che era in piena discussione e che, quello sì, avrebbe avuto ricadute enormi sulle nostre università, sui nostri centri di ricerca, sulle nostre amministrazioni territoriali e sulle nostre imprese. E purtroppo, anche in questo caso, siamo ancora al punto di partenza. O meglio: saremmo al punto di arrivo, ma la curva che ci distanzia dal traguardo sembra una parabolica senza fine. Al Bilancio pluriennale si è aggiunto, per le note vicende e come abbiamo commentato più volte anche in questa sede, l’ormai famoso Recovery Fund. Tuttavia se strumento, regole e numeri sono ormai decisi mancano ancora il “sì” di Ungheria e Polonia che hanno posto il veto perché non vogliono accettare il “minimo sindacale” di norme sullo stato di diritto che il Parlamento Europeo ha giustamente voluto introdurre come condizione per accedere ai generosi fondi.
Però, nella bizzarra politica italiana, si cede allo stanco tentativo delle minoranze – e di minoranze della maggioranza – di buttarla in caciara su nomi, ruoli, squadre piuttosto che di concentrarsi tutti insieme nel tentativo di dissuadere con ogni mezzo Ungheria e Polonia dalle loro insensate rivendicazioni. Mentre scrivo arriva la notizia che anche oggi la discussione sulla Brexit ha allungato la sua agonia con una nuova “fumata nera” nella telefonata tra il Premier inglese e la Presidente della Commissione Europea. Speriamo invece che mercoledì, almeno in Italia, termini la litania sul MES. E che termini perché si è capito che il voto del Parlamento italiano sarà solo un voto tecnico e non una cessione di potere e sovranità all’Europa.
Posted on: 2020/12/07, by : admin