Le prigioni del cardinale e la lotta contro la pedofilia di Papa Francesco
di Luca Rolandi |
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Dopo qualche settimana dalla clamorosa sentenza, credo possa essere utile tornare ad uno dei casi più emblematici della Chiesa cattolica, nelle sue più alte gerarchie, durante il tempo del papato di Bergoglio. Nei primi giorni di dicembre il cardinale Geroge Pell, prossimo agli 80 anni, che stava scontando una condanna a 6 anni per pedofilia in Australia, è stato rilasciato e liberato dalle accuse pesanti di molestie sessuali. Il porporato di 78 anni, ex capo della Segreteria per l’Economia del Vaticano, ha vinto il ricorso presso l’Alta Corte australiana che ha deciso il suo proscioglimento. Era rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Barwon, stato di Victoria, in seguito alla sentenza emessa a dicembre del 2018 che lo ha riconosciuto colpevole di molestie sessuali nei confronti di chierichetti nella cattedrale di Melbourne 20 anni fa, accuse rispetto alle quali si è sempre dichiarato innocente.
Il proscioglimento ha rimediato ad “una seria ingiustizia”, ha detto il cardinale, commentando la sentenza in una nota, diffusa prima del suo rilascio. Pell ha poi aggiunto che il suo processo “non è né un referendum sulla Chiesa cattolica, né un referendum su come le autorità della Chiesa in Australia affrontano i casi di pedofilia”.
Secondo la sentenza la giuria del processo avrebbe dovuto nutrire un ragionevole dubbio riguardo l’effettivo coinvolgimento del prelato nei fatti ascrittigli. I fatti risalgono alla metà degli anni Novanta. La condanna, che suscitò grande scalpore essendo Pell uno degli uomini cui Papa Francesco aveva affidato il compito di una gestione più limpida delle risorse finanziarie della Chiesa, al dicembre di due anni fa. Il proscioglimento, si legge nella sintesi del dispositivo, presa all’unanimità. Esiste infatti una “significativa possibilità che una persona innocente sia stata riconosciuta colpevole perché le prove fornite non soddisfacevano sufficienti prerequisiti” di attendibilità.
Il Papa nel giorno della sentenza, durante la messa a Santa Marta, ha pronunciato una frase che può essere letta come in relazione al caso di Pell. Francesco ha invitato a pregare per quanti sono rimasti vittima di una sentenza ingiusta, motivata dall’accanimento. “In questi giorni di Quaresima”, ha detto il Pontefice all’inizio della celebrazione della messa a Santa Marta, trasmessa in streaming, “abbiamo visto come i dottori della legge si siano accaniti contro Gesù, come lo abbiano giudicato con accanimento. Chiedo di pregare per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per accanimento”. Dei primi cinque mesi (27 febbraio – 13 luglio 2019) dei tredici in carcere, il porporato – tornato ad ottobre a Roma – offre un dettagliato resoconto in “Prison Journal: the Cardinal makes his appeal”. Un libro, anzi, un diario che raccoglie riflessioni, meditazioni spirituali e dettagliate osservazioni della routine carceraria, di colui che fino al 2017 è stato uno degli uomini più potenti della Curia romana e che, nemmeno due anni dopo l’aver lasciato Roma per difendersi nel processo in Australia, si è dovuto spogliare delle vesti color porpora per indossare una tuta arancione da galeotto. Il volume è il primo di una collana edita da Ignatius Press, casa editrice dei gesuiti negli Usa, i cui ricavi dovrebbero essere utilizzati per pagare le spese legali del cardinale. La pubblicazione è uscita il 15 dicembre. Vatican Insider-La Stampa ha letto in anteprima il volume in lingua inglese 350 pagine divise per settimane, venti per l’esattezza, con una minuziosa ricostruzione di luoghi e situazioni in cui vengono citati nomi, cognomi, orari, documenti. L’introduzione è a firma di George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II ed esponente di spicco della Chiesa conservatrice statunitense, che esordisce: «Questo diario della prigione non avrebbe mai dovuto essere scritto». Insomma, le prigioni di Pell sono un monito ad una tema delicatissimo, quello della pedofilia nella Chiesa, che non si risolve con il proscioglimento del porporato australiano. Nella Chiesa è in atto un lungo percorso di penitenza e trasparenza, anche attraverso l’azione giudiziaria da parte civile. Francesco e già Benedetto XVI hanno scoperchiato un mondo di nefandezze e violenze che finalmente sta emergendo, oltre i casi personali per cercare di essere più limpidi, nonostante le caducità e fragilità umane.
Posted on: 2020/12/31, by : admin
Il proscioglimento ha rimediato ad “una seria ingiustizia”, ha detto il cardinale, commentando la sentenza in una nota, diffusa prima del suo rilascio. Pell ha poi aggiunto che il suo processo “non è né un referendum sulla Chiesa cattolica, né un referendum su come le autorità della Chiesa in Australia affrontano i casi di pedofilia”.
Secondo la sentenza la giuria del processo avrebbe dovuto nutrire un ragionevole dubbio riguardo l’effettivo coinvolgimento del prelato nei fatti ascrittigli. I fatti risalgono alla metà degli anni Novanta. La condanna, che suscitò grande scalpore essendo Pell uno degli uomini cui Papa Francesco aveva affidato il compito di una gestione più limpida delle risorse finanziarie della Chiesa, al dicembre di due anni fa. Il proscioglimento, si legge nella sintesi del dispositivo, presa all’unanimità. Esiste infatti una “significativa possibilità che una persona innocente sia stata riconosciuta colpevole perché le prove fornite non soddisfacevano sufficienti prerequisiti” di attendibilità.
Il Papa nel giorno della sentenza, durante la messa a Santa Marta, ha pronunciato una frase che può essere letta come in relazione al caso di Pell. Francesco ha invitato a pregare per quanti sono rimasti vittima di una sentenza ingiusta, motivata dall’accanimento. “In questi giorni di Quaresima”, ha detto il Pontefice all’inizio della celebrazione della messa a Santa Marta, trasmessa in streaming, “abbiamo visto come i dottori della legge si siano accaniti contro Gesù, come lo abbiano giudicato con accanimento. Chiedo di pregare per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per accanimento”. Dei primi cinque mesi (27 febbraio – 13 luglio 2019) dei tredici in carcere, il porporato – tornato ad ottobre a Roma – offre un dettagliato resoconto in “Prison Journal: the Cardinal makes his appeal”. Un libro, anzi, un diario che raccoglie riflessioni, meditazioni spirituali e dettagliate osservazioni della routine carceraria, di colui che fino al 2017 è stato uno degli uomini più potenti della Curia romana e che, nemmeno due anni dopo l’aver lasciato Roma per difendersi nel processo in Australia, si è dovuto spogliare delle vesti color porpora per indossare una tuta arancione da galeotto. Il volume è il primo di una collana edita da Ignatius Press, casa editrice dei gesuiti negli Usa, i cui ricavi dovrebbero essere utilizzati per pagare le spese legali del cardinale. La pubblicazione è uscita il 15 dicembre. Vatican Insider-La Stampa ha letto in anteprima il volume in lingua inglese 350 pagine divise per settimane, venti per l’esattezza, con una minuziosa ricostruzione di luoghi e situazioni in cui vengono citati nomi, cognomi, orari, documenti. L’introduzione è a firma di George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II ed esponente di spicco della Chiesa conservatrice statunitense, che esordisce: «Questo diario della prigione non avrebbe mai dovuto essere scritto». Insomma, le prigioni di Pell sono un monito ad una tema delicatissimo, quello della pedofilia nella Chiesa, che non si risolve con il proscioglimento del porporato australiano. Nella Chiesa è in atto un lungo percorso di penitenza e trasparenza, anche attraverso l’azione giudiziaria da parte civile. Francesco e già Benedetto XVI hanno scoperchiato un mondo di nefandezze e violenze che finalmente sta emergendo, oltre i casi personali per cercare di essere più limpidi, nonostante le caducità e fragilità umane.
Posted on: 2020/12/31, by : admin