Le troppe amnesie del primo ministro Mark Rutte

di Mercedes Bresso |

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Tutti abbiamo visto e letto in questi giorni l’atteggiamento duro del primo ministro olandese Mark Rutte e di molti suoi concittadini nei confronti del sud Europa e in particolare dell’Italia. Non è una novità e questi atteggiamenti sono troppo sovente condivisi da molti paesi del nord Europa, in particolare nei momenti di crisi, come dopo quella finanziaria del 2008 e quella attuale dovuta alla pandemia. Premetto che il nostro Paese un problema lo ha davvero perché è sostanzialmente dagli anni ‘90 che cresce pochissimo e sempre meno del resto dei paesi dell’Unione Europea e che ha un disperato bisogno di politiche economiche serie che affrontino le tante nostre carenze. Dal troppo basso livello di scolarità, al modesto investimento in ricerca e sviluppo1, alla bassissima crescita della produttività e degli investimenti e si potrebbe continuare a lungo per dimostrare che ormai siamo un paese a discreto livello di reddito, ma in via di sottosviluppo, se non ci decidiamo ad affrontare con forza le ragioni di questo declino.

Trent’anni fa il PIL italiano era il 120% di quello medio europeo, oggi è leggermente al di sotto della media, media che è però composta da un gruppo di paesi diversi, con molti nuovi ingressi a livelli di reddito più bassi. Siamo quindi andati drammaticamente indietro rispetto ai nostri più diretti concorrenti. E non serva parlare della nostra grande creatività o del fatto che siamo uno dei più importanti produttori d’Europa, la realtà è che abbiamo certo molte imprese di grande qualità e competitività, ma che come insieme del paese camminiamo all’indietro. Credo però che questo sia un problema dell’Italia e non dell’Olanda e che non sia compito dei singoli paesi dell’Unione decidere le politiche economiche degli altri. Ciò che dovrebbe competere all’Unione Europea sono le politiche, gli strumenti e le risorse per consentirle di competere con le altre grandi potenze economiche mondiali, in particolare la Cina e gli USA.

Di fronte ai massicci, anzi enormi, livelli di iniezioni di liquidità e di investimenti annunciati da cinesi e americani per aiutare le proprie economie a ripartire, nessuno dei singoli paesi europei può rispondere da solo, anche perché gli effetti sono anzitutto legati al loro annuncio, che indica ai mercati la ferma volontà di quei governi di sostenere le loro economie. Dimensione, rapidità di decisione e fermezza sono le caratteristiche che devono avere gli interventi di rilancio.

La stessa cosa servirebbe all’Europa per provare almeno a mantenere la sua posizione di primo mercato mondiale. Anche qui non dobbiamo illuderci: a causa del nostro non essere un’unità politica, non siamo una vera potenza economica, solo un grande mercato. Il nostro essere disuniti ci rende lenti e incapaci di prendere a tempo le decisioni necessarie per uscire dalla crisi più forti e competitivi rispetto alle altre potenze. Il non essere una federazione politica permette a cinesi e americani di considerare ognuno dei nostri Paesi terreno di conquista.

L’Olanda ha molto guadagnato dal far parte dell’Unione Europea. Il porto di Rotterdam è diventato il più importante scalo merci di tutto il continente. Le basse imposte sulle imprese hanno attratto molte società a fissare la propria sede legale in quel paese e quindi a pagare lì le tasse. La Pac, la politica agricola europea, per troppi anni ha privilegiato il settore lattiero caseario del nord Europa (Olanda e Danimarca in testa) che produce quantità inverosimili di latte di mediocre qualità che per tanti anni sono state portate all’ammasso dopo essere state riccamente sovvenzionate e ha trascurato il tipo di allevamento misto latte-carne delle zone alpine a scapito della qualità del latte e dei formaggi di alpeggio. Per non parlare dei prodotti ortofrutticoli del sud Europa, che solo recentemente hanno ricevuto qualche aiuto.

Insomma, non si può certo dire che i piccoli e medi paesi del centro-nord dell’Unione non abbiano goduto di molti vantaggi dall’appartenenza alla UE. Anche l’Italia ha certamente avuto dei vantaggi dal fare parte dell’Unione ma spesso a sentire gli olandesi, e molti altri paesi ricchi, sembra che non abbiamo fatto che ricevere aiuti da loro. E ciò non è vero: il nostro Paese è un contributore netto al bilancio dell’Unione, la nostra agricoltura riceve meno finanziamenti di tanti altri, siamo tra coloro che hanno messo di più nel fondo che ha costituito il MES e non abbiamo fruito di nessun aiuto all’epoca della crisi del 2008. Allora lo usarono Grecia, Irlanda, Cipro, Spagna e Portogallo e tutti hanno restituito i prestiti, salvo la Grecia che lo sta ancora facendo.

Quanto a noi abbiamo sempre pagato i nostri debiti, senza chiedere nulla a nessuno. E quindi mente sapendo di mentire chi assicura i propri elettori che i loro soldi non andranno ad aiutare l’Italia. Per il momento sono i profitti delle nostre imprese e quindi del nostro lavoro che, grazie al loro paradiso fiscale, finiscono nelle tasche degli olandesi. È invece certo che se non si riuscisse a creare un grande fondo per la rinascita dell’economia europea ci perderemmo tutti, perché l’intera Europa uscirebbe più povera e debole dalla crisi rispetto al resto del mondo.



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