L’eredità del Coronavirus
di Mauro Nebiolo Vietti |
Leggi l’articolo completo |
Download
| Pur nei vari distinguo, par di capire che tutti siamo convinti che il virus sarà vinto e che torneremo alla vita di sempre. In realtà occorre chiedersi quale vita ci prepariamo ad affrontare dopo l’emergenza e cioè se torneremo ad una società basata sulla necessità di consumare per sopravvivere o se ci troveremo ad affrontare altri modelli.
Secondo un noto imprenditore, che ha diffuso le proprie convinzioni tramite i mass media, la nostra è e deve restare una civiltà dei consumi ed il governo dovrà rilanciare l’economia attraverso un massiccio programma di investimenti.
Sicuramente quando riprenderemo fiato, molte attività saranno o scomparse o ridotte con un conseguente aumento del tasso di disoccupazione; se però il numero dei disoccupati sarà più elevato, minori saranno gli acquisti con conseguente diminuzione dei programmi produttivi che determineranno nuovi licenziamenti in una spirale che rischia di non fermarsi nella sua evoluzione negativa. Naturalmente un significativo intervento finanziario del governo rivolto da un lato ad un piano di investimenti pubblici e dall’altro a sostegno delle fasce deboli potrebbe rovesciare la tendenza negativa, ma lo Stato potrebbe non essere in grado di sostenere nuovi impegni. Tant’è che l’ammontare del debito pubblico sembra impedire significativi stanziamenti rispetto alla decisione di altri stati di impegnarsi per cifre decisamente superiori. Infatti, il governo ha previsto 25 miliardi di investimenti. Una cifra che non sarà sufficiente ad un programma di rilancio, secondo l’imprenditore, che vede come soluzione necessaria un prelievo forzoso sui conti correnti.
Uno studio pubblicato questo mese dal Cerved Industry Forecast valuta gli impatti del Covid-19 nel 2021 prospettando due ipotesi: a) l’emergenza dura fino a maggio 2020 ed allora si avrà una perdita (rispetto al 2019) di 220 miliardi nel 2020 e di 55 miliardi nel 2021; b) l’emergenza dura fino a dicembre 2020 ed allora si avrà una perdita di 470 miliardi nel 2020 e di 172 miliardi nel 2021. Nel caso più grave la perdita equivale a 13 finanziarie.
Se così è, forse è poco realista il nostro imprenditore che pensa di ritornare ai precedenti modelli di consumo ed occorrerebbe invece convincersi che saremo obbligati ad attraversare una fase, si spera transitoria, per qualche decennio. Non ci sono modelli di riferimento e compete ora alla classe politica disegnare il futuro; forse lavoreremo e guadagneremo tutti di meno perché altri possano occupare un posto di lavoro lasciato libero dal nostro orario ridotto, forse potenzieremo gli investimenti per la scuola, che già dalla secondaria lascia a desiderare, punteremo decisamente sull’università e sulla ricerca per garantire le future generazioni, forse dreneremo risorse dagli evasori fiscali finora protetti da qualche capetto di turno che spera in un ritorno elettorale e così via.
Si tratta in ogni caso di ipotesi sostituibili, ampliabili, modificabili, ma ad una condizione e cioè che il potere politico sappia scegliere un indirizzo e svilupparlo. Tutto ciò sembra un’ovvietà, ma non è così; l’attuale parterre politico è debole; da decenni il governo non progetta, non disegna modelli sociali verso cui poi ci indirizza, in altre parole non ci fa sognare. Più che altro il politico ha privilegiato scelte di spesa che sollecitassero la gratitudine degli elettori quali gli ottanta euro in busta paga ed il reddito di cittadinanza, che qui ricordiamo solo perché sono stati gli ultimi e non certo i soli.
La conseguenza è stato un cedimento di spazio e di ruolo a forze finanziarie, poco interessate a costruire modelli che inglobino tutti i protagonisti della vita sociale ed è inutile qui analizzare le cause perché ormai sono in molti ad averlo fatto. Ma se le previsioni del Cerved sono corrette la prospettiva è ancora più grave; questa crisi emarginerà per primi i più giovani, i precari e le figure marginali, poi lo farà con le risorse lavorative espulse dalla gravità della situazione. Lo Stato interverrà con provvedimenti di protezione che non potranno essere eterni, ma devono essere agganciati ad un progetto di ricostruzione da persone capaci di leggere il futuro. Saprà farlo? E questa classe politica sarà adatta?
Posted on: 2020/03/25, by : admin
Sicuramente quando riprenderemo fiato, molte attività saranno o scomparse o ridotte con un conseguente aumento del tasso di disoccupazione; se però il numero dei disoccupati sarà più elevato, minori saranno gli acquisti con conseguente diminuzione dei programmi produttivi che determineranno nuovi licenziamenti in una spirale che rischia di non fermarsi nella sua evoluzione negativa. Naturalmente un significativo intervento finanziario del governo rivolto da un lato ad un piano di investimenti pubblici e dall’altro a sostegno delle fasce deboli potrebbe rovesciare la tendenza negativa, ma lo Stato potrebbe non essere in grado di sostenere nuovi impegni. Tant’è che l’ammontare del debito pubblico sembra impedire significativi stanziamenti rispetto alla decisione di altri stati di impegnarsi per cifre decisamente superiori. Infatti, il governo ha previsto 25 miliardi di investimenti. Una cifra che non sarà sufficiente ad un programma di rilancio, secondo l’imprenditore, che vede come soluzione necessaria un prelievo forzoso sui conti correnti.
Uno studio pubblicato questo mese dal Cerved Industry Forecast valuta gli impatti del Covid-19 nel 2021 prospettando due ipotesi: a) l’emergenza dura fino a maggio 2020 ed allora si avrà una perdita (rispetto al 2019) di 220 miliardi nel 2020 e di 55 miliardi nel 2021; b) l’emergenza dura fino a dicembre 2020 ed allora si avrà una perdita di 470 miliardi nel 2020 e di 172 miliardi nel 2021. Nel caso più grave la perdita equivale a 13 finanziarie.
Se così è, forse è poco realista il nostro imprenditore che pensa di ritornare ai precedenti modelli di consumo ed occorrerebbe invece convincersi che saremo obbligati ad attraversare una fase, si spera transitoria, per qualche decennio. Non ci sono modelli di riferimento e compete ora alla classe politica disegnare il futuro; forse lavoreremo e guadagneremo tutti di meno perché altri possano occupare un posto di lavoro lasciato libero dal nostro orario ridotto, forse potenzieremo gli investimenti per la scuola, che già dalla secondaria lascia a desiderare, punteremo decisamente sull’università e sulla ricerca per garantire le future generazioni, forse dreneremo risorse dagli evasori fiscali finora protetti da qualche capetto di turno che spera in un ritorno elettorale e così via.
Si tratta in ogni caso di ipotesi sostituibili, ampliabili, modificabili, ma ad una condizione e cioè che il potere politico sappia scegliere un indirizzo e svilupparlo. Tutto ciò sembra un’ovvietà, ma non è così; l’attuale parterre politico è debole; da decenni il governo non progetta, non disegna modelli sociali verso cui poi ci indirizza, in altre parole non ci fa sognare. Più che altro il politico ha privilegiato scelte di spesa che sollecitassero la gratitudine degli elettori quali gli ottanta euro in busta paga ed il reddito di cittadinanza, che qui ricordiamo solo perché sono stati gli ultimi e non certo i soli.
La conseguenza è stato un cedimento di spazio e di ruolo a forze finanziarie, poco interessate a costruire modelli che inglobino tutti i protagonisti della vita sociale ed è inutile qui analizzare le cause perché ormai sono in molti ad averlo fatto. Ma se le previsioni del Cerved sono corrette la prospettiva è ancora più grave; questa crisi emarginerà per primi i più giovani, i precari e le figure marginali, poi lo farà con le risorse lavorative espulse dalla gravità della situazione. Lo Stato interverrà con provvedimenti di protezione che non potranno essere eterni, ma devono essere agganciati ad un progetto di ricostruzione da persone capaci di leggere il futuro. Saprà farlo? E questa classe politica sarà adatta?
Posted on: 2020/03/25, by : admin