L’incontenibile corsa ai test per Covid-19
di Giuseppina Viberti |
| L’importanza clinica dei test e la loro indispensabilità nel processo diagnostico precoce è fuori discussione. Ma su come il percorso diagnostico sia stato organizzato in questa fase di rischio di contagio di cui non si ha memoria, se non andando indietro all’epidemia della “Spagnola” del Novecento, dubbi ne sorgono parecchi. In effetti, le dimensioni dell’infezione da coronavirus hanno colto impreparati tutti i Paesi occidentali sia sotto il profilo di mancanze di risorse, sia del necessario know how nell’affrontare la situazione. Ma se sul piano delle risorse materiali è emersa emblematicamente la carenza di mascherine, ad andare in crisi è stata l’intera catena produttiva, non solo per deficit quantitativo, quanto per la disomogeneità degli input disponibili.
La popolazione ha scoperto, forse per la prima volta, la diagnostica sul “tampone” senza essere correttamente informata di cosa si tratta, ritrovandosi così a far confusione fra l’esecuzione del tampone e l’analisi in biologia molecolare per la ricerca del virus. L’esecuzione del tampone da parte di personale addestrato rappresenta il momento iniziale di un percorso diagnostico complesso che nessuno ha spiegato alla collettività, mentre i media hanno solo insistito sull’unico concetto che “non si fanno abbastanza tamponi”.L’analisi in biologia molecolare dei tamponi richiede strumenti dedicati e personale formato, rappresenta una metodica che, in condizioni normali, non è urgente, poiché richiede circa 4 ore per l’esecuzione (estrazione dell’RNA virale, amplificazione, rilevazione, analisi delle curve, validazione e refertazione); le ditte fornitrici si sono trovate impreparate ad affrontare un aumento di richieste di kit diagnostici imprevisto.
All’inizio dell’epidemia solo due laboratori a Torino hanno iniziato a fare questi test, ma l’enorme quantità, inevitabilmente, ne ha richiesto l’aumento per l’esecuzione della biologia molecolare.Si è così al primo problema. In seguito al piano di rientro sanitario gestito dalla giunta Chiamparino per fronteggiare il deficit ereditato dalla precedente amministrazione, molti laboratori hanno dismesso la diagnostica in biologia molecolare e quindi è stato necessario in fretta e furia, ricominciare questa attività. Di qui si origina il secondo problema a più facce, cioè la scarsità di reagenti, ditte che dichiarano di avere strumenti e prodotti in quantità adeguata per poi lasciare i laboratori privi di kit; in concreto, poche ditte hanno dichiarato ai clienti la quantità di test che sono in grado di fornire, e sempre poche sono state quelle che hanno offerto le forniture con regolarità. A ciò si aggiunge la mancanza di personale tecnico e dirigente strutturato, in parte assunto per 6 mesi con contratti interinali.
A questo punto è stato necessario disporre di numerosi laboratori per eseguire un numero elevato, ma non definito, di test. Ma a quale fine, con quali obiettivi? Interrogativi tutt’altro che peregrini dacché le opzioni sono molteplici. Per esempio, si sottopone ai test l’intera regione, cioè i 4 milioni e mezzo di piemontesi, indipendentemente dalla presenza di sintomi? Oppure seguiamo le linee guida indicate dall’Istituto Superiore di Sanità? Ancora. Puntiamo al controllo una tantumdell’intera popolazione oppure stabiliamo un protocollo chiaro e definito sulla base delle indicazioni nazionali? Domande che ci sovrastano, non dimentichiamolo, poiché solo il distanziamento fisico e l’uso corretto dei DPI (Dispositivi Protezione Individuale) ci proteggono dall’infezione in quanto il soggetto che ha il tampone negativo, il giorno dopo può essere contagiato. E allora, come se ne esce? Tamponi tutti i giorni a tutti? Sarebbe impossibile e contrario al buon senso.
E qui sorge il terzo problema, ovvero il personale sanitario delle Residenze per anziani, le RSA, delle case di riposo e i loro ospiti. Appena iniziata l’epidemia soltanto poche, avvedute e illuminate RSA/case di riposo hanno sprangato le porte alle visite dei parenti, fornito al personale di assistenza i DPI e controllato all’ingresso la temperatura a tutti e, fattore decisivo di contrasto, rifiutato il ricovero di pazienti Covid positivi a bassa intensità di malattia per assenza totale di percorsi e personale dedicato. In queste RSA una gestione attenta ha consentito agli ospiti anziani di continuare la loro vita, mentre in molti altri casi dove non sono stati adottati questi accorgimenti, ci sono stati e continuano ad esservi molti decessi e focolai di infezione difficili da contenere.
Si arriva così al quarto problema, la ricerca degli anticorpi IgG per capire lo stato di immunità della popolazione. Anche in questo caso il livello di confusione è ancora elevato. L’apparire sul mercato di tante soluzioni diverse ha messo in moto uno stato di preoccupazione permanente per una serie di ragioni facilmente comprensibili, vuoi per i tempi necessari a verificarne l’efficacia (casi di non conformità, anche con risvolti fraudolenti, se ne sono già rilevati in passato in altre situazioni), vuoi perché la loro non uniformità rischia di generare possibili fraintendimenti dei risultati. Infatti,i falsi positivi (un test che porta erroneamente ad accettare l’ipotesi sulla quale esso è stato condotto, ossia test che segnala presenze inesistenti) e i falsi negativi (situazioni nelle quali l’esito del test esclude il contagio, mentre il virus è in circolo nell’organismo) fanno immediatamente scattare il dubbio sull’affidabilità delle rilevazioni.
Per superare l’ostacolo, il Ministero della Salute ha indetto una “gara nazionale” per 150.000 test idonei alla ricerca degli anticorpi IgG vinta da una ditta che offre garanzia di risultato soltanto se i test sono dosati su attrezzature prodotte dalla medesima… Un corto circuito che viaggia di pari passo alle Regioni che si muovono in “ordine sparso”: chi indice “gare in urgenza” o “accordi quadro” con più ditte; altre, effettuano una preliminare ricognizione della situazione strumentale dei laboratori per poi sottoscrivere un accordo quadro con chi è in grado di consegnare i reagenti senza i quali non è possibile effettuare un confronto fra i risultati ottenuti.
I dosaggi per il momento saranno eseguiti sul personale dipendente e convenzionato del SSR escludendo la galassia di collaboratori di cooperative che agiscono in stretta vicinanza con il personale delle aziende sanitarie con kit nuovi di cui non si conoscono ancora le potenzialità diagnostiche con sensibilità e specificità diverse su soggetti diversi. Nella fretta non è stato ancora disegnato uno studio prospettico, ma solo una raccolta dati sulla situazione epidemiologica di un campione di italiani che dovrà poi essere valutata statisticamente.
Nel frattempo sono entrati in commercio, con una rapidità mai vista prima e quantomeno sospetta, test rapidi (15-20 minuti per il risultato) su card per la ricerca dell’antigene da tampone che vorrebbero “sostituirsi” alla biologia molecolare tradizionale, la cui attendibilità è in corso di valutazione;sono entrati in commercio decine di kit rapidi per la ricerca degli anticorpi che alcuni laboratori privatifanno pagare 40-50 euro a persone che credono in questo modo di conoscere il loro stato di protezione, ma che non danno ad oggi alcuna garanzia di “immunità”.
Si tratta, lo si comprende, di un chiaro effetto psicologico, quanto irrazionale. La virulenza dell’epidemia ha obbligato a utilizzare tutto ciò di cui si disponeva, al punto di sostenere che una sciarpa davanti alla bocca era meglio di niente. Probabilmente alcuni semplici accorgimenti comportamentali, assunti a livello generale dalla popolazione, hanno evitato il contagio diffuso, salvando molte vite: ma quando si entra in un contesto scientifico la difformità, o peggio il fai da te, diventa uno strumento estremamente pericoloso.
Esperti di tutto il mondo, con uno sforzo senza precedenti, stanno cercando di comprendere la dimensione del fenomeno per individuare delle soluzioni (terapia mirate, vaccino, supporti assistenziali etc.) e proprio la quantità degli sforzi obbliga ad un grande impegno di coordinamento. Il problema di tutela della salute pubblica è delicatissimo e va affrontato con estremo rigore scientifico, scevro da ogni isterismo. I soggetti cui viene riferita la negatività ad un “qualche tampone” tendono infatti a disattendere le prescrizioni e, di conseguenza, a non prendere precauzioni, accrescendo pericolosamente le possibilità di contagio.
La scienza è oggi come una giacchetta tirata da più parti, ma è proprio in questa fase che si deve affermare il rigore per tutti e contro tutto. Per perseguire questo rigore occorrerebbe che chi coordina il sistema non si abbandoni a slogan di facile presa (più incentrati su quanti test si eseguono e non sul come e sulla loro qualità), ma indirizzi i suoi sforzi su comportamenti coerenti e idonei ad assicurare adeguate risorse di qualità (in primis, reagenti, attrezzature adeguate e personale preparato) col proposito di predisporre dati affidabili sulla distribuzione del contagio. È inutile sottolineare i danni che si potrebbero generare da un comportamento improvvisato e quanti “profittatori da virus” si potrebbero insinuare, peggiorando ulteriormente la situazione.
La “catena di comando” anche per quanto riguarda i test, ha presentato problemi, messi in evidenza dalla difficoltà di reperire i kit di dosaggio, costretti a muoversi tra chi effettuava il prelievo, chi, l’analisi, chi la refertazione, chi la comunicazione al paziente, tipica della situazione di emergenza creatasi. Solo da un connubio tra conoscenze ed organizzazione del sistema si potrà spiccare quel salto di qualità di cui la società ha bisogno sia in termini pragmatici sia in termini di fiducia verso il sistema, anche perché, allo stato attuale, non vi sono alternative.
I laboratori continueranno a lavorare senza sosta, ma a questo lavoro occorre dare continuità e affidabilità, soffocando le aspettative di visibilità dei singoli, premiando invece l’impegno quotidiano. A richiederlo sono i pazienti che soffrono e le prospettive di razionalizzazione della società. Inoltre è necessario dire con chiarezza alle persone che bisognerà convivere con il virus, proteggendosi con il distanziamento sociale e con le mascherine, quando necessarie, assumere comportamenti virtuosi (igiene personale, lavaggio delle mani, pulizia degli ambienti comuni) e non pensare che avverrà un “miracolo” e il mondo tornerà quello di prima.
Posted on: 2020/05/04, by : admin
La popolazione ha scoperto, forse per la prima volta, la diagnostica sul “tampone” senza essere correttamente informata di cosa si tratta, ritrovandosi così a far confusione fra l’esecuzione del tampone e l’analisi in biologia molecolare per la ricerca del virus. L’esecuzione del tampone da parte di personale addestrato rappresenta il momento iniziale di un percorso diagnostico complesso che nessuno ha spiegato alla collettività, mentre i media hanno solo insistito sull’unico concetto che “non si fanno abbastanza tamponi”.L’analisi in biologia molecolare dei tamponi richiede strumenti dedicati e personale formato, rappresenta una metodica che, in condizioni normali, non è urgente, poiché richiede circa 4 ore per l’esecuzione (estrazione dell’RNA virale, amplificazione, rilevazione, analisi delle curve, validazione e refertazione); le ditte fornitrici si sono trovate impreparate ad affrontare un aumento di richieste di kit diagnostici imprevisto.
All’inizio dell’epidemia solo due laboratori a Torino hanno iniziato a fare questi test, ma l’enorme quantità, inevitabilmente, ne ha richiesto l’aumento per l’esecuzione della biologia molecolare.Si è così al primo problema. In seguito al piano di rientro sanitario gestito dalla giunta Chiamparino per fronteggiare il deficit ereditato dalla precedente amministrazione, molti laboratori hanno dismesso la diagnostica in biologia molecolare e quindi è stato necessario in fretta e furia, ricominciare questa attività. Di qui si origina il secondo problema a più facce, cioè la scarsità di reagenti, ditte che dichiarano di avere strumenti e prodotti in quantità adeguata per poi lasciare i laboratori privi di kit; in concreto, poche ditte hanno dichiarato ai clienti la quantità di test che sono in grado di fornire, e sempre poche sono state quelle che hanno offerto le forniture con regolarità. A ciò si aggiunge la mancanza di personale tecnico e dirigente strutturato, in parte assunto per 6 mesi con contratti interinali.
A questo punto è stato necessario disporre di numerosi laboratori per eseguire un numero elevato, ma non definito, di test. Ma a quale fine, con quali obiettivi? Interrogativi tutt’altro che peregrini dacché le opzioni sono molteplici. Per esempio, si sottopone ai test l’intera regione, cioè i 4 milioni e mezzo di piemontesi, indipendentemente dalla presenza di sintomi? Oppure seguiamo le linee guida indicate dall’Istituto Superiore di Sanità? Ancora. Puntiamo al controllo una tantumdell’intera popolazione oppure stabiliamo un protocollo chiaro e definito sulla base delle indicazioni nazionali? Domande che ci sovrastano, non dimentichiamolo, poiché solo il distanziamento fisico e l’uso corretto dei DPI (Dispositivi Protezione Individuale) ci proteggono dall’infezione in quanto il soggetto che ha il tampone negativo, il giorno dopo può essere contagiato. E allora, come se ne esce? Tamponi tutti i giorni a tutti? Sarebbe impossibile e contrario al buon senso.
E qui sorge il terzo problema, ovvero il personale sanitario delle Residenze per anziani, le RSA, delle case di riposo e i loro ospiti. Appena iniziata l’epidemia soltanto poche, avvedute e illuminate RSA/case di riposo hanno sprangato le porte alle visite dei parenti, fornito al personale di assistenza i DPI e controllato all’ingresso la temperatura a tutti e, fattore decisivo di contrasto, rifiutato il ricovero di pazienti Covid positivi a bassa intensità di malattia per assenza totale di percorsi e personale dedicato. In queste RSA una gestione attenta ha consentito agli ospiti anziani di continuare la loro vita, mentre in molti altri casi dove non sono stati adottati questi accorgimenti, ci sono stati e continuano ad esservi molti decessi e focolai di infezione difficili da contenere.
Si arriva così al quarto problema, la ricerca degli anticorpi IgG per capire lo stato di immunità della popolazione. Anche in questo caso il livello di confusione è ancora elevato. L’apparire sul mercato di tante soluzioni diverse ha messo in moto uno stato di preoccupazione permanente per una serie di ragioni facilmente comprensibili, vuoi per i tempi necessari a verificarne l’efficacia (casi di non conformità, anche con risvolti fraudolenti, se ne sono già rilevati in passato in altre situazioni), vuoi perché la loro non uniformità rischia di generare possibili fraintendimenti dei risultati. Infatti,i falsi positivi (un test che porta erroneamente ad accettare l’ipotesi sulla quale esso è stato condotto, ossia test che segnala presenze inesistenti) e i falsi negativi (situazioni nelle quali l’esito del test esclude il contagio, mentre il virus è in circolo nell’organismo) fanno immediatamente scattare il dubbio sull’affidabilità delle rilevazioni.
Per superare l’ostacolo, il Ministero della Salute ha indetto una “gara nazionale” per 150.000 test idonei alla ricerca degli anticorpi IgG vinta da una ditta che offre garanzia di risultato soltanto se i test sono dosati su attrezzature prodotte dalla medesima… Un corto circuito che viaggia di pari passo alle Regioni che si muovono in “ordine sparso”: chi indice “gare in urgenza” o “accordi quadro” con più ditte; altre, effettuano una preliminare ricognizione della situazione strumentale dei laboratori per poi sottoscrivere un accordo quadro con chi è in grado di consegnare i reagenti senza i quali non è possibile effettuare un confronto fra i risultati ottenuti.
I dosaggi per il momento saranno eseguiti sul personale dipendente e convenzionato del SSR escludendo la galassia di collaboratori di cooperative che agiscono in stretta vicinanza con il personale delle aziende sanitarie con kit nuovi di cui non si conoscono ancora le potenzialità diagnostiche con sensibilità e specificità diverse su soggetti diversi. Nella fretta non è stato ancora disegnato uno studio prospettico, ma solo una raccolta dati sulla situazione epidemiologica di un campione di italiani che dovrà poi essere valutata statisticamente.
Nel frattempo sono entrati in commercio, con una rapidità mai vista prima e quantomeno sospetta, test rapidi (15-20 minuti per il risultato) su card per la ricerca dell’antigene da tampone che vorrebbero “sostituirsi” alla biologia molecolare tradizionale, la cui attendibilità è in corso di valutazione;sono entrati in commercio decine di kit rapidi per la ricerca degli anticorpi che alcuni laboratori privatifanno pagare 40-50 euro a persone che credono in questo modo di conoscere il loro stato di protezione, ma che non danno ad oggi alcuna garanzia di “immunità”.
Si tratta, lo si comprende, di un chiaro effetto psicologico, quanto irrazionale. La virulenza dell’epidemia ha obbligato a utilizzare tutto ciò di cui si disponeva, al punto di sostenere che una sciarpa davanti alla bocca era meglio di niente. Probabilmente alcuni semplici accorgimenti comportamentali, assunti a livello generale dalla popolazione, hanno evitato il contagio diffuso, salvando molte vite: ma quando si entra in un contesto scientifico la difformità, o peggio il fai da te, diventa uno strumento estremamente pericoloso.
Esperti di tutto il mondo, con uno sforzo senza precedenti, stanno cercando di comprendere la dimensione del fenomeno per individuare delle soluzioni (terapia mirate, vaccino, supporti assistenziali etc.) e proprio la quantità degli sforzi obbliga ad un grande impegno di coordinamento. Il problema di tutela della salute pubblica è delicatissimo e va affrontato con estremo rigore scientifico, scevro da ogni isterismo. I soggetti cui viene riferita la negatività ad un “qualche tampone” tendono infatti a disattendere le prescrizioni e, di conseguenza, a non prendere precauzioni, accrescendo pericolosamente le possibilità di contagio.
La scienza è oggi come una giacchetta tirata da più parti, ma è proprio in questa fase che si deve affermare il rigore per tutti e contro tutto. Per perseguire questo rigore occorrerebbe che chi coordina il sistema non si abbandoni a slogan di facile presa (più incentrati su quanti test si eseguono e non sul come e sulla loro qualità), ma indirizzi i suoi sforzi su comportamenti coerenti e idonei ad assicurare adeguate risorse di qualità (in primis, reagenti, attrezzature adeguate e personale preparato) col proposito di predisporre dati affidabili sulla distribuzione del contagio. È inutile sottolineare i danni che si potrebbero generare da un comportamento improvvisato e quanti “profittatori da virus” si potrebbero insinuare, peggiorando ulteriormente la situazione.
La “catena di comando” anche per quanto riguarda i test, ha presentato problemi, messi in evidenza dalla difficoltà di reperire i kit di dosaggio, costretti a muoversi tra chi effettuava il prelievo, chi, l’analisi, chi la refertazione, chi la comunicazione al paziente, tipica della situazione di emergenza creatasi. Solo da un connubio tra conoscenze ed organizzazione del sistema si potrà spiccare quel salto di qualità di cui la società ha bisogno sia in termini pragmatici sia in termini di fiducia verso il sistema, anche perché, allo stato attuale, non vi sono alternative.
I laboratori continueranno a lavorare senza sosta, ma a questo lavoro occorre dare continuità e affidabilità, soffocando le aspettative di visibilità dei singoli, premiando invece l’impegno quotidiano. A richiederlo sono i pazienti che soffrono e le prospettive di razionalizzazione della società. Inoltre è necessario dire con chiarezza alle persone che bisognerà convivere con il virus, proteggendosi con il distanziamento sociale e con le mascherine, quando necessarie, assumere comportamenti virtuosi (igiene personale, lavaggio delle mani, pulizia degli ambienti comuni) e non pensare che avverrà un “miracolo” e il mondo tornerà quello di prima.
Posted on: 2020/05/04, by : admin