L’oro blu deve valere per non sprecarlo

di Mercedes Bresso|

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I tre articoli di Marco Travaglini1 sul problema dell’acqua nel mondo, ma anche in Europa e nel nostro paese, mi hanno incitata a tornare a riflettere su un tema che, come economista ecologica ho affrontato più volte in passato: quello del paradosso del valore, ben noto agli economisti, secondo cui i beni liberi, quelli che sono disponibili in quantità almeno apparentemente illimitata, non hanno nessun valore, anche quando hanno una utilità altissima (e gli esempi che vengono sempre portati sono proprio l’acqua e l’aria), mentre altri beni la cui utilità è senza dubbio inferiore, come l’oro o le pietre preziose, essendo disponibili in quantità limitata, hanno valori spesso molto elevati.

Tutela e risparmio delle risorse naturali

Oggi dire che acqua e aria sono disponibili in quantità illimitata non è più possibile, almeno in tanta parte del mondo, eppure tutti noi siamo ancora vittime del paradosso del valore: non ci curiamo di avere cura e di risparmiare le due risorse che stanno mettendo a rischio il nostro futuro, proprio l’acqua e l’aria. Perfino i più accorti ambientalisti, quando ingiungono di riciclare ogni cosa, dimenticano che spesso per riciclare vetro, plastica lattine, scatole di metallo, occorre passarle accuratamente sotto un getto di acqua (potabilizzata con grande costo) per pulirle e che poi i processi di riciclo dovranno ancora usare molta acqua, trascurando il fatto che l’acqua utilizzata ha probabilmente più valore ambientale del materiale riciclato. Ogni volta che ho in mano un barattolo di marmellata sporco, mi chiedo se lavarlo e metterlo al riciclo o risparmiare l’acqua e sperare che il vetro sporco non crei troppi problemi.

Il futuro passa da tariffe e investimenti

Confesso che non fui una sostenitrice del referendum sull’acqua pubblica: innanzitutto perché in Italia la legge Galli, che deriva, come ricorda Travaglini, da una direttiva Europea, statuisce fin dal primo articolo che l’acqua è un bene inalienabile dello Stato e quindi consente che il suo uso e trattamento per i diversi fini possa essere soltanto oggetto di concessione; in secondo luogo perché l’idea che stava dietro al referendum era che l’acqua dovesse quindi costare il meno possibile, al limite restare un bene libero.

Questo purtroppo è un errore, perché l’acqua potabile e quella per usi industriali e agricoli, deve avere un costo sufficientemente elevato per consentire gli investimenti necessari: acquedotti efficienti, potabilizzazione di qualità, depurazione degli scarichi, se possibile recupero e riciclo all’interno dei processi industriali e delle stesse famiglie (doppie reti idriche per evitare di usare acqua potabilizzata per gli scarichi). E le tariffe dovrebbero anche incorporare i costi per gli interventi di sistemazione idrogeologica in montagna e lungo i corsi d’acqua.

Difesa idrogeologica e dell’ambiente montano

Fui io a proporre, da assessore regionale, per la prima volta la legge che prevedeva che una quota delle tariffe dell’acqua andasse alle Comunità montane per la difesa idrogeologica, in sostanza che i cittadini pagassero agli abitanti della montagna il servizio che rendevano proteggendo una risorsa preziosa. Questa riserva sulle tariffe, in favore della montagna, la introducemmo poi nel contratto sull’acqua dell’autorità di bacino corrispondente alla Provincia di Torino, quando ne ero Presidente.

Ma le tariffe sull’acqua devono anche servire a pagare gli investimenti per trattenere l’acqua nei bacini montani, che devono aumentare perché la riduzione dei ghiacciai ci porrà presto il problema della disponibilità di acqua nella stagione estiva e solo nuovi bacini potranno assicurarcela. Va detto che, purtroppo, anche il costo dell’acqua agricola e industriale deve aumentare, per obbligare gli utilizzatori a introdurre pratiche agricole meno idrovore (pensate al riso) e a non sprecare e riciclare l’acqua nelle attività produttive e dei servizi.

Insomma dobbiamo rassegnarci al fatto che il prezzo dell’acqua sia un regolatore del suo costo effettivo, non solo economico, ma anche ambientale e che ne incorpori la scarsità attuale e soprattutto potenziale. Certo deve restare pubblica, ma nulla impedisce che le concessioni che, ricordiamolo, possono essere date a società pubbliche che diano garanzia di qualità nella gestione, possano anche andare a privati che portino gli investimenti necessari e diano a loro volta le garanzie di qualità.

Fiumi e laghi oggetto di guerre

Le tariffe sono comunque fissate dal pubblico e devono tenere conto delle esigenze sociali, per le famiglie più povere e per gli usi essenziali. Ma devono crescere per evitare gli sprechi: troppa acqua potabile viene usate senza attenzione per inaffiare giardini o per mille sprechi che nessuno farebbe se dovesse pagare il costo ambientale effettivo di quella risorsa. Come Marco Travaglini ricorda, il problema dell’acqua a livello mondiale è già drammatico e quasi tutti i grandi fiumi sono ormai oggetto di contese sull’uso dell’acqua: il Reno, il Rodano, il Danubio in Europa, il Nilo, il Giordano, il Senegal e i grandi fiumi dell’Asia. Sono problemi da far tremare i polsi e in molti paesi poveri quello della pubblicità dell’acqua è reale e va affrontato.

In Italia tutte le acque dolci scorrono solo nel nostro paese, grazie alle corone alpina e appenninica e noi piemontesi ci troviamo nella comoda situazione di essere i primi a prelevare l’acqua dal nostro grande fiume Po: proprio per questo abbiamo la responsabilità importante di non sprecarla, di trattenerla perché le precipitazioni sono diventate più irregolari, di usarla con prudenza e parsimonia, di ricordare che la riduzione dei ghiacciai non ci fornirà più l’acqua nei periodi estivi, se non l’avremo raccolta e protetta durante le stagioni delle piogge.

Insomma non confondiamo pubblicità della risorsa con gratuità: troppo spesso i grandi utilizzatori si nascondono dietro i piccoli utenti. Dovremo affrontare enormi investimenti per la lotta al cambiamento climatico e la transizione ecologica ed energetica: investimenti che dovranno venire da un diverso uso delle nostre risorse economiche per proteggere e usare meglio quelle naturali. Può non fare piacere ma l’ecologia ci ricorda che non ci sono pasti gratuiti.

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