Management e Just in time alla prova della pandemia

di Emanuele Davide Ruffino
e Laura Bertinetti|

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Con la pandemia, le catene delle forniture, dei beni e servizi che quotidianamente consumiamo, presentano sempre più anelli deboli di cui le aziende non avevano adeguata percezione. La mancanza di un componente rischia di compromettere la stessa capacità produttiva/erogativa con disagi inimmaginabili: per alcuni prodotti si possono trovare facilmente delle alternative (i cosiddetti prodotti succedanei) per il altri il problema può diventare più serio.

Le aziende, indipendentemente dal settore, si erano concentrate nel ridurre i costi, sottovalutando l’affidabilità etica ed economica della catena di approvvigionamento: il basso prezzo aiutava a non vedere il modo con cui certi prodotti vengono realizzati (dall’inquinamento, allo sfruttamento della manodopera). La ricerca del basso prezzo si fonda essenzialmente sul tentativo di ottimizzare l’esistente: tecnica sicuramente valida in condizioni di staticità dei mercati, ma che occorre rivedere quando si realizzano condizioni di turbolenza. La letteratura economica fatica ad analizzare il rischio di rete (quando uno shock, può contagiare tutto il sistema, compromettendone la funzionalità) cui sono sottoposte le nostre realtà, causa la varietà e l’eterogeneità di fenomeni che lo possono causare ma, quando si verifica, tutti concordano che si è avverato.

L’anello debole di una catena

Il just in time,1, cioè l’idea di far arrivare le merce esattamente nel momento in cui viene inserita nel processo produttivo (non prima, perché genererebbe costi di immagazzinamento e non dopo, perché rallenterebbe il processo) ha rappresentato una chimera inseguita e, in molti casi raggiunta, presso molte realtà industriali. Sistemi sofisticati di calcolo hanno permesso di sostituire le forniture man mano che le merci vengono consumate (i materiali devono cioè arrivare quando è previsto il loro inserimento nel processo produttivo dettato, a sua volta, dagli andamenti del mercato).

Le aziende devono però esaminare con attenzione i costi del cosiddetto fermo macchina, nel caso in cui esasperando il concetto del just in time (secondo il quale si fabbrica e si stocca solo a fronte di un ordine) dovessero trovarsi nella situazione di dover sospendere il processo produttivo. Il problema non riguarda solo i costi, ma anche lo slittamento dei tempi di consegna, con un potenziale danno d’immagine. Le aziende sono sempre meno “autarchiche”, e sempre più anelli di una catena, per cui il suo mancato funzionamento può diventare un problema generale (si sa che la resistenza di una catena è data dalla robustezza del suo anello più debole e se un’azienda si ferma tutta la filiera può essere compromessa).

La catena di approvvigionamenti deve permettere di far pervenire al mercato un prodotto o servizio, trasferendolo dal fornitore fino al cliente nei tempi previsti. Se ciò non avviene (ed in tempi di pandemia tutte le tempistiche si sono dovuto riadattare alla situazione) il management deve rivedere la logica dei rifornimenti, sapendo che quanti più anelli attraversa un prodotto, maggiore sarà l’attenzione da dedicare.

L’applicazione del just in case

Per gestire la crisi attuale è necessario ipotizzare visioni proattive in grado di soddisfare ogni eventuale necessità, rendendosi il più possibile indipendente dagli eventi. A richiedere questo approccio non è solo la crisi pandemica ma le difficoltà geopolitiche che si stanno ammassando all’orizzonte. Non si può pensare di tornare ai grandi magazzini dei faraoni egiziani, ma predisporre una serie di accortezze volte a garantire più canali di approvvigionamento tra loro alternativi. Si genera così una specie di magazzino virtuale volto a garantire i fabbisogni presenti in una società e di cui tutti noi ne abbiamo bisogno.

In termini organizzativi ci si pone il dilemma organizzativo se è meglio ridurre i costi di stoccaggio o non evadere alcuni ordini. Il just-in-case (JIC), letteralmente “nel caso in cui”, comporta una valutazione e una graduazione di ciò che risulta indispensabile per il funzionamento di un sistema. Il problema, in tempi di lockdown, si pone anche a livello individuale obbligando ad interrogarci su come reagiremmo in mancanza di un bene che consideriamo essenziale.

Il problema si rileva sia in presenza di una crescita della domanda inaspettata (ad esempio, la richiesta di mascherine e di altri DPI), sia per la possibile interruzione di un passaggio all’interno della catena di fornitura (i microchip, diventati merce rara). In entrambi i casi risulta opportuno conoscere e predisporre soluzioni alternative in modo che l’impresa, l’individuo o l’intera società possano adeguarsi nel più breve tempo possibile. Mai come in periodo di pandemia si è assistito ad un cambio così rapido di fornitori o canale di rifornimento (a netto vantaggio degli acquisti on line).

Il Regno Unito, causa Brexit, per primo, ha dovuto affrontare questo scenario, ma ogni Paese è chiamato al difficile compito di selezionare gli investimenti (e con le disponibilità del PNRR le occasioni non mancheranno) e sottoscrivere accordi internazionali per il rifornimento delle materie prime di cui si è carenti.

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1Il just in time (spesso abbreviato in JIT), espressione inglese che significa “appena in tempo”, è una filosofia industriale che ha invertito il “vecchio metodo” di produrre prodotti finiti per il magazzino in attesa di essere venduti, detto logica push passando alla logica pull secondo cui occorre produrre solo ciò che è stato già venduto o che si prevede di vendere in tempi brevi. Il just in time abbina elementi quali affidabilità, riduzione delle scorte e del lead time, ad un aumento della qualità e del servizio al cliente. In tal modo si riducono enormemente i costi di immagazzinaggio, gestione, carico e scarico di magazzino. L’idea del just in time è molto antica e risale alla prima industrializzazione delle officine di costruzione, in particolare nel settore automobilistico. La metodologia fu adottata negli anni Cinquanta in Giappone dalla Toyota Motor Corporation che la inglobò nel proprio sistema di fabbricazione e la pubblicizzò con il nome di Toyota Production System. Il JIT divenne rapidamente uno dei “prodotti” più conosciuti ed esportati della filosofia produttiva giapponese, e consentì tutta una serie di miglioramenti e di razionalizzazioni che produssero effetti assolutamente inaspettati nella produzione meccanica in generale. In https://it.wikipedia.org/wiki/Just_in_time_(produzione)




Posted on: 2022/01/17, by :