Multinazionali e tassazione: il primo passo (piccolo) è fatto
di Anna Paschero|
|L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE ) in collaborazione con i 139 Stati che ne fanno parte, è impegnata da anni a porre fine alle strategie di elusione fiscale che sfruttano lacune e disallineamenti esistenti nelle norme fiscali internazionali. Queste strategie colpiscono tutti i Paesi, erodendo le loro basi imponibili attraverso il trasferimento degli utili conseguiti dalle imprese in Paesi con sistemi fiscali più permissivi, (Irlanda, Lussemburgo, Olanda e Malta), ma penalizzano soprattutto i Paesi in via di sviluppo che sono maggiormente dipendenti da queste risorse. Queste pratiche fanno perdere infatti dai 100 ai 240 miliardi di dollari all’anno di entrate fiscali (dal 4 al 10% del gettito dell’imposta globale delle società.
Dopo l’accordo dei Ministri delle Finanze del G7 del giugno scorso, nell’ambito del processo guidato dall’OCSE/G20 è stato raggiunto il 9 luglio un patto storico tra 130 paesi (tra cui l’Italia) dei 139 che partecipano all’Inclusive Framework (If) su Beps (Base Erosion and Profit Shifting) attraverso la loro adesione a un accordo globale, per riformare le norme fiscali internazionali e garantire che le imprese multinazionali siano assoggettate ad un prelievo fiscale equo, ovunque operino e ricavino profitti.
La prima azione prevista dall’accordo dovrebbe garantire una distribuzione più equa degli utili e della tassazione tra i Paesi rispetto alle più grandi imprese multinazionali, comprese le società digitali. Essa riassegnerebbe pertanto parte della tassazione sulle multinazionali dai loro paesi d’origine ai mercati in cui svolgono attività commerciali e guadagnano profitti, indipendentemente dal fatto che tali imprese vi abbiano una presenza fisica.
La seconda azione ha l’obiettivo di imporre un piano di concorrenza sull’imposta sul reddito delle società, attraverso l’introduzione di un’aliquota minima globale del 15%, che i Paesi possono utilizzare per proteggere le loro basi imponibili. Il gettito globale è stimato in circa 150 miliardi di dollari. Queste due azioni potrebbero essere in grado di aggiungere maggiori risorse ai bilanci dei Governi nazionali, risorse finanziarie di cui potranno beneficiare i loro servizi pubblici e le loro infrastrutture, necessari alla ripresa post pandemia.
Il Segretario Generale dell’OCSE Mathias Cormann ha dichiarato che le suddette misure non eliminano la concorrenza fiscale, ma fissano limiti concordati a livello multilaterale, accogliendo anche gli interessi esterni al tavolo negoziale, tra cui quelli delle piccole economie e dei Paesi in via di sviluppo. I negoziati dovranno concludersi entro il prossimo mese di ottobre per definire gli aspetti tecnici che potranno consentire l’entrata in vigore dell’accordo nel 2023. Tale accordo prevede altresì la parallela cancellazione delle Digital Service Tax e di altri prelievi del genere già adottati in via unilaterale da alcuni paesi.
L’adesione all’accordo è stata raggiunta dai Paesi che rappresentano il 90% del PIL mondiale, (130 su 139) con alcuni Paesi contrari come ad esempio l’Irlanda, che concede un’aliquota del 12,5 in alcuni casi dimezzata al 6,25% a talune imprese come i colossi farmaceutici (Pfizer Bin Tech) e le imprese che offrono servii digitali (Google, Facebook, Microsoft e Apple). Ungheria ed Estonia, insieme ad altri Paesi come Sri Lanka, Nigeria e Perù, e ovviamente i paradisi fiscali di Barbados, Saint Vincent e Grenadine si sono opposti all’accordo, ma è presumibile che alcuni (come l’Irlanda e l’ Estonia), scenderanno a qualche tipo di compromesso, in quanto sarebbero incentivati a recuperare comunque quote di gettito.
I portavoci di alcune delle grandi imprese multinazionali sono stati concordi nell’esprimere consenso all’accordo, anche al fine di dare stabilità al sistema fiscale internazionale, certezza negli investimenti e rafforzamento della fiducia nel sistema fiscale globale. Ma non mancano perplessità sul termini dell’accordo che ritengono il livello dell’aliquota del 15% passibile di generare ancora spazio al trasferimento di profitti rispetto ai Paesi che applicano aliquote superiori (come la recente proposta di riforma dell’amministrazione americana Biden). Né mancano problemi ancora da chiarire, relativi alla ripartizione dei profitti a favore di tutti i paesi mercato sulla base dei ricavi effettivamente prodotti, e la complessità del meccanismo, che rischia di dare risposte solo parziali al sistema di tassazione delle imprese multinazionali in quanto riguarda un loro numero ristretto (le imprese devono essere di grandi proporzioni – con fatturato globale superiore a 20 miliardi di Euro e redditività superiore al 10%) e sono escluse le imprese finanziarie e quelle del settore estrattivo .
In ogni caso l’accordo rappresenta l’inizio di un percorso molto importante, quello di garantire l’affermazione del principio del coordinamento fiscale internazionale e tra Paesi dell’Unione Europea, interrompendo la corsa fiscale verso il basso. Un passo storico verso principi di equità e di giustizia sociale, come ha affermato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, con l’auspicio che il lavoro dei prossimi mesi possa mettere a punto condizioni migliori in grado di sostenere finanziariamente, per tutti i Paesi, gli impegni necessari allo sviluppo dell’economia e alla difesa della salute.
Posted on: 2021/07/12, by : admin
Dopo l’accordo dei Ministri delle Finanze del G7 del giugno scorso, nell’ambito del processo guidato dall’OCSE/G20 è stato raggiunto il 9 luglio un patto storico tra 130 paesi (tra cui l’Italia) dei 139 che partecipano all’Inclusive Framework (If) su Beps (Base Erosion and Profit Shifting) attraverso la loro adesione a un accordo globale, per riformare le norme fiscali internazionali e garantire che le imprese multinazionali siano assoggettate ad un prelievo fiscale equo, ovunque operino e ricavino profitti.
La prima azione prevista dall’accordo dovrebbe garantire una distribuzione più equa degli utili e della tassazione tra i Paesi rispetto alle più grandi imprese multinazionali, comprese le società digitali. Essa riassegnerebbe pertanto parte della tassazione sulle multinazionali dai loro paesi d’origine ai mercati in cui svolgono attività commerciali e guadagnano profitti, indipendentemente dal fatto che tali imprese vi abbiano una presenza fisica.
La seconda azione ha l’obiettivo di imporre un piano di concorrenza sull’imposta sul reddito delle società, attraverso l’introduzione di un’aliquota minima globale del 15%, che i Paesi possono utilizzare per proteggere le loro basi imponibili. Il gettito globale è stimato in circa 150 miliardi di dollari. Queste due azioni potrebbero essere in grado di aggiungere maggiori risorse ai bilanci dei Governi nazionali, risorse finanziarie di cui potranno beneficiare i loro servizi pubblici e le loro infrastrutture, necessari alla ripresa post pandemia.
Il Segretario Generale dell’OCSE Mathias Cormann ha dichiarato che le suddette misure non eliminano la concorrenza fiscale, ma fissano limiti concordati a livello multilaterale, accogliendo anche gli interessi esterni al tavolo negoziale, tra cui quelli delle piccole economie e dei Paesi in via di sviluppo. I negoziati dovranno concludersi entro il prossimo mese di ottobre per definire gli aspetti tecnici che potranno consentire l’entrata in vigore dell’accordo nel 2023. Tale accordo prevede altresì la parallela cancellazione delle Digital Service Tax e di altri prelievi del genere già adottati in via unilaterale da alcuni paesi.
L’adesione all’accordo è stata raggiunta dai Paesi che rappresentano il 90% del PIL mondiale, (130 su 139) con alcuni Paesi contrari come ad esempio l’Irlanda, che concede un’aliquota del 12,5 in alcuni casi dimezzata al 6,25% a talune imprese come i colossi farmaceutici (Pfizer Bin Tech) e le imprese che offrono servii digitali (Google, Facebook, Microsoft e Apple). Ungheria ed Estonia, insieme ad altri Paesi come Sri Lanka, Nigeria e Perù, e ovviamente i paradisi fiscali di Barbados, Saint Vincent e Grenadine si sono opposti all’accordo, ma è presumibile che alcuni (come l’Irlanda e l’ Estonia), scenderanno a qualche tipo di compromesso, in quanto sarebbero incentivati a recuperare comunque quote di gettito.
I portavoci di alcune delle grandi imprese multinazionali sono stati concordi nell’esprimere consenso all’accordo, anche al fine di dare stabilità al sistema fiscale internazionale, certezza negli investimenti e rafforzamento della fiducia nel sistema fiscale globale. Ma non mancano perplessità sul termini dell’accordo che ritengono il livello dell’aliquota del 15% passibile di generare ancora spazio al trasferimento di profitti rispetto ai Paesi che applicano aliquote superiori (come la recente proposta di riforma dell’amministrazione americana Biden). Né mancano problemi ancora da chiarire, relativi alla ripartizione dei profitti a favore di tutti i paesi mercato sulla base dei ricavi effettivamente prodotti, e la complessità del meccanismo, che rischia di dare risposte solo parziali al sistema di tassazione delle imprese multinazionali in quanto riguarda un loro numero ristretto (le imprese devono essere di grandi proporzioni – con fatturato globale superiore a 20 miliardi di Euro e redditività superiore al 10%) e sono escluse le imprese finanziarie e quelle del settore estrattivo .
In ogni caso l’accordo rappresenta l’inizio di un percorso molto importante, quello di garantire l’affermazione del principio del coordinamento fiscale internazionale e tra Paesi dell’Unione Europea, interrompendo la corsa fiscale verso il basso. Un passo storico verso principi di equità e di giustizia sociale, come ha affermato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, con l’auspicio che il lavoro dei prossimi mesi possa mettere a punto condizioni migliori in grado di sostenere finanziariamente, per tutti i Paesi, gli impegni necessari allo sviluppo dell’economia e alla difesa della salute.
Posted on: 2021/07/12, by : admin