Napoleone, “l’anima del mondo”, visto da Hegel

di Stefano Marengo|

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In una delle scene iniziali di “Amore e guerra”, strepitosa parodia di “Guerra e pace”, Woody Allen coglie a modo suo uno dei tratti più caratteristici dell’età napoleonica. La Grande Armée si sta concentrando in Polonia e si appresta a intraprendere la lunga marcia verso est. In Russia scatta l’allarme. Tutti gli uomini abili, compreso il “codardo militante” Boris (lo stesso Woody Allen), sono arruolati. Gli ufficiali soffiano sul fuoco del nazionalismo russo e uno di loro, arcigno, arringa i soldati in questo modo: “Immaginate i vostri cari conquistati da Napoleone e costretti a vivere sotto leggi francesi. E volete che mangino quei piatti farciti e quelle salse indigeste? Volete che mangino soufflé a ogni pasto e croissants?” – “No!”, gridano i soldati senza esitazione.

Passiamo dalla finzione alla realtà, dalla Russia andiamo in Germania, e più precisamente a Jena, in Turingia. Qui, nell’ottobre del 1806, si consumano l’umiliante disfatta dell’esercito prussiano e uno dei più grandi trionfi militari di Napoleone. In città, in quegli anni, vive un filosofo svevo quasi coetaneo di Bonaparte che così descrive le sue impressioni: “L’imperatore – quest’anima del mondo – l’ho visto uscire a cavallo dalla città, in ricognizione; è davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, spazia sul mondo e lo domina”. Sono le parole, celeberrime, di Georg Wilhelm Hegel (1770-1831) – un Hegel non ancora famoso, che proprio in quei mesi sta scrivendo la “Fenomenologia dello spirito”.

Che lo si guardi attraverso il filtro umoristico di Woody Allen o se ne faccia il campione della visione hegeliana della storia, una cosa è certa: Napoleone, a duecento anni dalla sua morte, rimane un personaggio perturbante che si sottrae ad ogni giudizio troppo netto. Chi fu infatti “l’imperatore dei francesi”? Un rivoluzionario o il becchino della rivoluzione? Un despota o un liberatore? Un distruttore o un visionario? Probabilmente fu tutte queste cose, e le fu tutte insieme perché i suoi tempi non “favorivano” i distinguo. Per la Francia il colpo di stato del 18 Brumaio 1799 fu l’evento traumatico che concluse il decennio rivoluzionario, ma fu anche, contestualmente, una svolta forse indispensabile per sottrarre la rivoluzione alle sabbie mobili e far sì che almeno alcune delle sue promesse venissero mantenute.

L’incoronazione di Napoleone
È vero, Napoleone esercitò un potere personale, ma in compenso garantiva i diritti di proprietà e l’uguaglianza di fronte alla legge ed eliminava i privilegi e le discriminazioni tipiche dell’Ancien régime. E poi c’erano le riforme: la redazione del Codice napoleonico (non a caso), la creazione della prima burocrazia davvero moderna e infine, soprattutto, la riorganizzazione dell’esercito, che oltre a essere una formidabile macchina di conquista, era anche uno veicolo di ascesa sociale (si calcola che i tre quarti degli ufficiali della Grande Armée non fossero di origine aristocratica e buona parte di essi – cosa inaudita! – provenisse direttamente dalla truppa, “pour le mérite”). A proposito dei suoi tempi…

Al di fuori della Francia il contrasto era ancora più netto. Sì, Napoleone era l’invasore straniero, il conquistatore assetato di potere – eccome se lo era. Allo stesso tempo, però, egli era anche il figlio del 1789, della Rivoluzione, l’uomo nuovo che dava il proprio nome al vento impetuoso che dalla Francia rivoluzionaria soffiava implacabile sul resto d’Europa, abbattendo decrepite strutture feudali e prefigurando un nuovo avvenire. Quindi sì, Napoleone era anche, a modo suo, un liberatore. Fu sulla sua scia che ovunque, in Europa, nacquero focolai di riforma politica e intellettuale, esperienze che in larga parte si riverseranno nei moti rivoluzionari che scandiranno la prima metà dell’Ottocento.

Hôtel des Invalides, Parigi, tomba di Napoleone
Ma il mito di Bonaparte si nutre anche del suo stesso fallimento. Singolarmente, infatti, la disfatta di Waterloo e la solitudine di Sant’Elena non ne hanno intaccato l’aura, semmai l’hanno accresciuta, grazie anche alla sapiente arte di alimentare il vittimismo” per la crudeltà inglese. Non è solo questione di simpatia per gli sconfitti, ma di possibilità che non si sono realizzate e che, in quanto tali, nel timore così come nella speranza, hanno continuato a interpellare generazioni di uomini. Come a dire che, con buona pace del principe Metternich, una scintilla rivoluzionaria rimaneva libera in Europa. Era quello che Napoleone voleva? Probabilmente non lo sapremo mai. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che l’Empereur dei francesi, anche nella sconfitta, aveva davvero cambiato il mondo.




Posted on: 2021/05/05, by :