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Settembre 1867, quando erano i piemontesi a “rubare” il lavoro…

di Stefano Marengo|

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Nel settembre del 1867 si tenne a Losanna il secondo Congresso generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, l’organizzazione, meglio nota come Prima Internazionale, guidata nientemeno che da Karl Marx. A dire la verità, proprio Marx a Losanna non c’era, ma per una buona ragione: in quei giorni fu trattenuto ad Amburgo per l’imminente pubblicazione del primo volume del Capitale. La sua, insomma, era un’assenza giustificata. A riunirsi nella città svizzera furono invece 64 congressisti provenienti dai principali paesi europei. Per un’intera settimana avrebbero dibattuto di lotta economica ed emancipazione politica, cooperazione e credito popolare. Tra i vari documenti che furono portati all’attenzione del Congresso, è particolarmente significativa una mozione proposta dai delegati francesi. Ecco l’incipit: “la classe operaia del dipartimento delle Bouches-du-Rhône in generale, e di Marsiglia e del Fuveau in particolare, è schiacciata dalla concorrenza piemontese e italiana”. Il problema riguardava le ricadute sociali dell’immigrazione italiana nel sud della Francia.

Secondo le stime, tra la metà dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale furono oltre due milioni gli italiani che cercarono fortuna al di là delle Alpi. Un flusso migratorio che riguardò in particolare i contadini piemontesi. La Francia era per loro la promessa di un avvenire migliore. Migliore, quantomeno, della fame e della miseria che dovevano fronteggiare in patria. La loro tenace speranza, tuttavia, finì spesso per scontrarsi con la diffidenza e le paure della popolazione locale. Privi di diritti, ancora estranei alle rivendicazioni sociali e, in definitiva, disposti a tutto pur di migliorare la loro condizione di vita, i lavoratori piemontesi formavano un vero e proprio “esercito industriale di riserva”, una massa di forza lavoro a buon mercato che induceva inevitabilmente una compressione significativa dei salari e, quindi, una riduzione dei redditi dei lavoratori francesi. Proprio Marx, nel Capitale, avrebbe riconosciuto la centralità di questo fenomeno per la sua “critica dell’economia politica”.

“I piemontesi ci rubano il lavoro!”. È probabile che denunce di questo genere non fossero inconsuete nella Francia dell’epoca. Magari qualcuno propose di aiutare gli immigrati “a casa loro”. Forse negli spiriti più inquieti fece addirittura capolino qualche teoria della “sostituzione etnica”. Chissà. La mozione presentata al Congresso dell’Internazionale, per parte sua, fu di tutt’altro segno: “soprattutto gli interessi dei minatori sono gravemente compromessi, senza che per questo venga dato un giusto appagamento agli operai piemontesi che fanno loro questa concorrenza disastrosa”. Quella tra lavoratori francesi e lavoratori immigrati era una guerra tra poveri in cui nessuno ci guadagnava – o meglio, ma questo è sottinteso, a guadagnarci erano i capitalisti che lucravano sul continuo abbassamento dei salari. Concorrenza della miseria che alimentava se stessa, quindi, in un circolo vizioso che andava assolutamente interrotto. Per questa ragione il Congresso impegnava “gli operai piemontesi residenti in Francia o altrove a ricongiungersi ai principi dell’Associazione internazionale degli operai”. In altri termini, tutti i lavoratori dovevano fare fronte comune, lottare insieme per uguali diritti e migliori salari, indipendentemente dalle origini nazionali di ciascuno. “Prima d’essere piemontesi o italiani”, concludeva il documento, i lavoratori immigrati “sono dei produttori, e non devono sopportare la miseria più degli altri”. Il Congresso approvò la mozione all’unanimità.




Posted on: 2021/03/14, by :