Parole per non dimenticare Vanessa
di Maria Grazia Cavallo|
|Parole che mancano, che ci si spezzano in gola, quelle con cui vorremmo abbracciare i genitori di Vanessa Zappalà, la donna di 26 anni uccisa sul lungomare di Acitrezza, frazione di Aci Castello in provincia di Catania. Vanessa è stata uccisa alle tre di nottee, mentre era in compagnia di amici, con 7 colpi di pistola. A sparare il suo ex, Antonino Sciuto, 38 anni, che dopo il primo colpo alla testa, si è accanito su di lei continuando a sparare.
Parole urticanti: quelle già schierate fin dal principio – quale preventiva risposta a domande ancora inespresse, ma già nella mente di molti – per spiegare come nessuno abbia sottovalutato alcunché, alla luce di quanto accaduto.
Per favore, non parlateci né di “morte annunciata”, né – al contrario – di “esito imprevedibile”. Non spiegateci perché il dramma, forse, si sarebbe potuto consumare comunque, prima o poi, anche in situazioni diverse, a prescindere dallo stato di detenzione o di restrizione domiciliare, oppure di semplice libertà “presidiata” – si fa per dire – dalla stessa autogestione responsabile del divieto di avvicinamento imposto all’indagato. Con tutto il rispetto: non è questo il momento. Non qui, non ora, non davanti al corpo devastato della ragazza che si era affidata allo Stato e che scrupolosamente (come le aveva consigliato il maresciallo) stava annotando su un quadernetto tutte le angherie che continuava a subire e che le avevano ormai cambiato e condizionato la vita.
In questo momento non ci interessano giustificazioni – di principio, né astratte, né tantomeno (se così fosse e non vogliamo crederlo) corporativistiche. A cosa servono, adesso, le congetture su come gli eventi avrebbero potuto dispiegarsi diversamente “se non” o “se si fosse” o “se invece” o “se non si fosse”? Non possono più cambiare le cose, per Vanessa. Le congetture “a posteriori” sono ormai sterili, e dunque sono inutili.
Al contrario, se fossero state costruite come ipotesi “ex ante”, cioè come prospettiva preliminare di lavoro, forse – e sottolineo l’avverbio ed il condizionale – sarebbe stato possibile deviare quella traiettoria di morte che non si è neppure arrestata sul lungomare di Acitrezza, davanti a testimoni atterriti, né davanti alla richiesta della ragazza di desistere perché, altrimenti, avrebbe chiamato il maresciallo, il quale le aveva garantito immediata disponibilità. Non ce n’è stato il tempo. Certamente, da tempo, l’insieme dei comportamenti dell’aguzzino erano eloquente più delle parole.
Aggressioni ripetute, nella loro studiata diversificazione e progressione. L’uso di insidiosi strumenti tecnologici, intrusivi nella quotidianità della ragazza. Sembra che l’uomo ne controllasse i movimenti e ne captasse le conversazioni monitorando gli spostamenti della sua auto e l’attività del suo cellulare. Per di più, lo stalker cambiava sempre automobile, facilitato in questo dal proprio lavoro nel settore, e così si rendeva irriconoscibile fino a quando giungeva a breve distanza dalla sua “preda”. Le molestie non erano soltanto seriali, ma andavano ad articolarsi in una strategia non estemporanea, non occasionale.
Erano perciò chiaramente – per qualità, quantità, modalità – studiate, programmate, premeditate. Minacciose, destabilizzanti, terrorizzanti per Vanessa e per la sua famiglia. Elementi, tutti questi, rispetto ai quali l’agire dell’uomo si dimostrava assolutamente pervicace, ostinato. Indifferente a qualsivoglia mònito: sia prima che dopo la parentesi di detenzione che aveva subito. L’escalation avrebbe potuto allertare una prognosi di imminente rischio di “passaggio all’atto” (come i criminologi definiscono quanto è avvenuto)?.
Parole che leggeremo: quelle a motivazione della scelta di accordare fiducia all’uomo e di contare sul rispetto spontaneo, da parte di lui, del divieto di avvicinamento alla ragazza. Peraltro, tale divieto costituisce una misura interdittiva fra le meno gravose rispetto ad altri strumenti cautelari ben più efficaci per l’emarginazione del predatore e, al contempo, più funzionali alla protezione oggettiva e alla tranquillizzazione soggettiva della “preda”. Per esemplificare il concetto di stalking si usano queste parole. La scelta non è casuale e neppure retorica. Sappiamo quanto sia importante che ad ogni specifica situazione debbano corrispondere le parole “giuste” per rendere esprimibile e descrivibile quanto si sta vivendo. Altrimenti, se mancassero le parole, neppure la situazione sembrerebbe esistere.
Ma oggi le parole ci sono: lo stalking richiama, nelle sue origini più lontane, l’appostamento del cacciatore che attende la preda, che la segue, che non la lascia andare fino alla cattura. Lo stalker è un soggetto anche non necessariamente, esplicitamente, violento. Egli può anzi, addirittura, alternare momenti di aggressività a suadenti atteggiamenti di tenerezza, e perfino di eccessivo accudimento, nei confronti della vittima: la sua preda. Può agire condotte funzionali ad esercitare e mantenere il controllo sull’altra persona; quindi è frequentemente anche un soggetto manipolatore. Infatti, sa essere aggressivo e conciliante, sa promettere, sa farsi perdonare, sa convincere riuscendo a disorientare la vittima e a sfiancarne la resistenza.
La preda è comunque sempre al centro della propria ossessione. Come l’esperienza dimostra, generalmente lo stalker sa riprogrammare, di volta in volta, la propria terrorizzante strategia da un momento all’altro, producendo nella vittima effetti di spiazzamento. Queste considerazioni nascono dall’analisi delle modalità generalmente presenti in tutti i reati “relazionali”. Ciò anche quando la “prossimità” si è dissolta da tempo perché la vittima ha scelto di interrompere il rapporto.
Parole, dunque, da cui diffidare: quelle dell’aggressore di Vanessa che “avrebbe” parlato – per quanto scrivono i giornali, perché non conosciamo ancora gli atti nella loro completezza – di una qualche riconciliazione fra loro. Parole che non sembrano credibili, anche tenendo conto della reazione di Vanessa prima di essere colpita. Ma, quand’anche fosse? Talmente poco credito la legge assegna alle parole degli stalker che, nei casi più gravi, gli eventuali ritiri di querela da parte della vittima debbono essere effettuati davanti al Giudice. Ciò significa che si cerca di accertare se “davvero” riconciliazione vi sia stata: se la vittima l’abbia spontaneamente voluta e non sia stata, invece, costretta a subirla. Il che, purtroppo, accade frequentemente.
Parole che aspettiamo di leggere: quelle con cui il Giudice ha motivato il perché del passaggio – anche abbastanza rapido – dalla detenzione carceraria al divieto di avvicinamento, passando per la fase degli arresti domiciliari. Per ora, quindi, sospendiamo il giudizio: non possiamo dire di più. Ma ci siano risparmiate – almeno per questa volta – le geremiadi sulle leggi inadeguate e da aggiornare. Certo, tutte le leggi sono perfettibili. Ma nel caso specifico sono ben scritte. Va da sé che debbano essere correttamente adeguate alle specificità dei casi concreti da professionisti miratamente formati a trattare queste delicatissime situazioni. E che, nella maggior parte dei casi, dovranno gestire approcci multidisciplinari agli eventi, affiancati da professionisti della psiche.
Parole che non sono mancate: quelle verbalizzate da Vanessa, e poi anche da suo padre, davanti ai carabinieri. Denunce che hanno trovato ascolto anche presso la Procura. Generalmente, questa tipologia di reati è molto difficile da indagare. Essi sono caratterizzati da alto “numero oscuro”, cioè: la differenza tra quanto accaduto e quanto denunciato. Infatti, al terrore determinato dalle violenze e dalle persecuzioni si aggiunge l’effetto di timore di ritorsioni: per cui, molto frequentemente, le stesse vittime hanno paura di denunciare.
Ma in questo caso, la denuncia di Vanessa si trovava sulla punta emersa dell’iceberg. Da parte di lei non c’è stato alcun ripiegamento nella sopportazione privata, nel logoramento dell’accettazione imposta, nei tentativi di sottrarsi, confidando soltanto sulle proprie forze, alle angherie dello stalker. Proprio per rispetto di queste parole – che non sono mancate fino alla fine – attendiamo di conoscere altri particolari.
Posted on: 2021/08/28, by : admin