Pensioni e Pubblica amministrazione, il miraggio delle riforme
di Emanuele Davide Ruffino
e Cinzia Bosso|
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Proposte, soluzioni, contraddizioni
Il risparmio nel ritardare la data di pensionabilità viene annullato dai maggiori esborsi a carico dell’Inps e dalla minore produttività che inevitabilmente scende con il passare dell’età (e l’Italia è già agli ultimi posti in Europa) causa la riduzione delle capacità funzionali e il deterioramento delle condizioni di salute. In particolare, aumenta la durata dei congedi di malattia di uno o più mesi, mentre scendono quelli di pochissimi giorni che iniziano il lunedì.
Per non rovinare le prospettive dei giovani li si obbliga a rimanere disoccupati. Un controsenso. Infatti, mentre l’Europa recupera i livelli occupazionali ante covid, (il 68,4%, contro il 64,1%), l’Italia, pur partendo da un livello più basso è ancora sotto (era al 59% ed ora è al 58,2%, fonte Eurostat). Anche il cosiddetto “scivolone Brunetta”, ipotizzato per rinnovare la Pubblica amministrazione, si è perso per strada. Eppure se si osservano i dati, il problema sussiste: l’età media nella PA supera i 50 (in rapida crescita, mentre lo stesso parametro in Francia o in Gran Bretagna arriva a malapena a 30 anni).
In Italia, gli Under 30 sono meno del 5%, mentre gli Over 60 sono oltre il 16%. Il dato più preoccupante si registra nell’osservare il livello di istruzione: nonostante la dominanza di settori come l’istruzione e la sanità, il 60% dei dipendenti pubblici non è laureato e tra questi ultimi, la stragrande maggioranza (due su tre), possiede un titolo di studio nell’area giuridico-amministrativa, con conseguente accentuazione degli aspetti burocratici su quelli organizzativi-funzionali.
L’ipotesi di Cesare Damiano
Superato il DEF, il problema è rinviato alla manovra autunnale, il mondo scientifico-economico ha il tempo per ragionare, senza i riflettori accesi, in modo da poter confrontare gli effetti che le possibili proposte possono produrre sull’economia. Sulla scia del presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, l’ex ministro ed ex presidenze della Commissione lavoro alla Camera, Cesare Damiano ha ipotizzato una soluzione sostenibile: età pensionabile a 63 anni con 35 o 36 anni di contributi (con penalizzazioni intorno al 2% per anno di anticipo), introducendo anche il concetto di separare “la previdenza dal costo dell’assistenza e calcolare l’incidenza della spesa pensionistica sul Pil al lordo delle tasse”, il giogo che blocca l’attuazione di ogni possibile riforma.
Dall’America all’Europa, esperienze a confronto
Il concetto è stato ripreso anche in Italia, ma essendo il
nostro un Paese fondamentalmente assistenzialista, si ha il fondato sospetto che sul sistema si abbatta un’infinità di richiesta difficile da gestire. Ci spiega perché le varie proposte di anticipo, insieme alle penalizzazioni, prevedano limiti reddituali per aderire all’ipotesi: due o tre volte la pensione minima, tanto per evitare che il soggetto con una pensione bassa debba poi essere nel tempo assistito dal sistema.
Anche nella ricca Germania le pensioni (deutsche rentenversicherung) sono mediamente più basse che in Italia, poiché la percentuale dei contributi versati ammonta, nella quasi generalità dei casi, al 19,5% dello stipendio contro il 33% circa da noi. La pensione in Germania è, da sempre, legata ai contributi versati, metà a carico del lavoratore, metà a carico del datore di lavoro e il sistema di calcolo è sempre stato quello contributivo, il che comporta un importo della pensione mediamente più basso che in Italia, meno del 50% della retribuzione, specie se si lascia il lavoro in anticipo accettando una riduzione dello 0,3% per ogni mese.
Situazioni simili si ritrovano in Svezia e Finlandia dove l’età pensionabile è flessibile: una persona può richiedere la pensione entro una certa fascia di età che va per il primo paese dai 62 ai 68 anni e per il secondo dai 63 e nove mesi ai 68 (solo in Grecia e Danimarca l’età pensionabile è fissata rigidamente a 67 anni).
Gli esempi potrebbero continuare, ma quello che emerge è la disponibilità dei vari sistemi occidentali a lasciare ampia facoltà di scelta (ovviamente riproporzionando i redditi percepiti). Mentalità che non sembra ancora prendere piede nel “dirigismo” del sistema italiano.
Posted on: 2022/04/29,
by : admin