Post Referendum: avanti verso l’Oligarchia?

di Michele Ruggiero |

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La vittoria (schiacciante) del Sì al Referendum sul taglio dei parlamentari, da alcuni definito un risultato storico, paradossalmente rischia di amplificare il vulnus che più di ogni altro caratterizza il nostro Paese: la credibilità del sistema rappresentativo così come si è configurato con il ritorno alla libertà nel 1945 e nel 1948 ad una moderna Costituzione democratica, pensata e scritta non da apostati dell’ultima ora del fascismo, ma da chi era stato gettato nelle patrie galere, o costretto all’esilio o mandato al confino dalla dittatura mussoliniana. Dunque sotto la luce dei riflettori passerà in prima battuta la credibilità del nostro sistema e non la sua tenuta democratica, poiché quest’ultima si misurerà nel medio-lungo periodo in rapporto alla capacità che dimostreranno Parlamento e governo Conte di varare una nuova legge elettorale che risponda nel concreto alle esigenze di un Paese che nelle prossime elezioni avrà la reclamata riduzione numerica dell’emiciclo. Anche se, a rigor di logica, il Parlamento avrebbe dovuto esprimere prima la legge elettorale da cui ricavare le misure adeguate alla rappresentanza ipostatizzata.

Ma se ciò non è avvenuto lo si deve a più ragioni, non ultima l’autoreferenzialità egemone in Parlamento, in cui i partiti politici – a loro volta in grave crisi di identità – seguono come unica traccia propositiva il borsino del consenso e si adoperano di conseguenza per compiacere la pancia dell’elettore. Questioni note in un gioco perverso ad oltranza, in cui l’elettore si nutre dell’odio e del disprezzo verso la politica, verso la cosiddetta casta, affidandosi a chi meglio riesce ad intercettare la sua rabbia, posticipando sine die proposte, progetti e idee con l’unico obiettivo di muoversi alleggerito di responsabilità nel vuoto pneumatico. Il che spiega in parte il voto che la metà degli italiani ha riservato al 70 per cento per il Sì, con la stragrande maggioranza di partiti e partitini accomunati dal proposito di dar l’impressione di non difendere se stessi. Non dimentichiamo, che si tratta di partiti – fatta eccezione sui generis per il Pd e Fratelli d’Italia (Leu appare ancora indecifrabile) – per i quali non è nella propria storia un modello di gestione che non sia riconducibile al culto della personalità, versione Conducator: da Forza Italia alla Lega (con alcuni distinguo sui gruppi di potere locali) al Movimento Cinque stelle, cui spetta il primato dell’alterità del principio di rappresentanza grazie alla piattaforma Rousseau, definita ” democrazia diretta unica al mondo” (rousseau.movimento5telle.it).

A pensare male, ne discende che la credibilità del Parlamento (indipendentemente dai prossimi numeri sugli scranni, da mille a seicento) comunque passa da quegli stessi partiti che in un combinato disposto hanno scarso o ridotto interesse a mutare le regole del gioco che finora hanno assicurato (anche sul piano economico) una redditizia rendita di posizione del potere e nei meccanismi di alternanza del potere, sia per i criteri di selezione del personale preminenti che necessariamente non si conciliano con la democrazia interna, sia per la facilità con la quale vertici di partito sempre più ristretti decideranno su chi entra e entrare in Parlamento. In versione localistica (che siano ras o cacicchi a comandare sulle liste) l’election day regionale ne è una valida conferma.

Del resto, in un Paese che difetta di memoria e di senso civico, perché l’avere una rappresentanza ridotta non dovrebbe diventare un valore? Anzi. Ma ciò sarà sufficiente a placare il furore cieco del “popolo sovrano”, se la politica non ritrova credibilità? Nell’ipotesi peggiore, quale diventerà il numero giusto dei parlamentari delle due Camere per “sedare” i cittadini: dopo i mille di oggi, ne voteremo la metà domani, per poi decidere che ne sono sufficienti cento dopodomani e soltanto uno tra non molto? Ma la credibilità è nei numeri o nella qualità, nella capacità e serietà degli individui? Se “piccolo è meglio” ha valore in economia, quale migliore occasione che estendere il concetto alla politica (visto che sempre di soldi si parla), anche se per effetto collaterale il metro di misura rischia di diventare progressivamente appannaggio di una oligarchia. In fondo, non ci stupirebbe scoprire nella comunanza di ideali che ha abbracciato alcuni illustri intellettuali, insigni giuristi e “sinceri democratici” spesisi generosamente al servizio del Referendum, il desiderio di un ritorno alla democrazia elitaria, come nell’antica Grecia, anche se da qualche secolo si vive in una società definita moderna.




Posted on: 2020/09/22, by :