“Proteggere lo stile di vita europeo”: una nota identitaria nella politica migratoria della nuova Commissione europea
di Davide Rigallo |
|A Margaritis Schinas, uno degli otto vicepresidenti, greco e, come Avramopoulos, politicamente orientato a destra, è invece andata l’inedita delega alla protezione dello stile di vita europeo, espressione che starebbe a indicare, in maniera piuttosto aleatoria, un insieme di competenze comprendente anche la materia migratoria, soprattutto per quanto attiene l’integrazione[3]. A molti osservatori questa delega è suonata come una concessione, anche lessicale, all’impostazione identitaria che accomuna molte forze di destra in Europa, per le quali i flussi di migranti rappresenterebbero dei pericoli per l’integrità della cultura europea, intesa come patrimonio immutabile di valori e di primati da difendere. Formule più o meno simili risultano ricorrenti, ad esempio, nella retorica nazionalista di Viktor Orban. Basti ricordare quanto nel 2017, in occasione della Summer University di Bálványos, il presidente ungherese ebbe a dichiarare: È del tutto evidente che la cultura dei migranti è in opposizione radicale alla cultura europea; e idee e valori in conflitto si escludono a vicenda. […] Non siamo a conoscenza di alcun processo di integrazione riuscito. Dobbiamo ricordare ai difensori della “integrazione riuscita”, che se persone portatrici di visioni contrastanti vengono a trovarsi nello stesso paese, non ci sarà integrazione, ma caos.
Chi ha memoria, inoltre, non può non ricordare come lo “stile di vita europeo” sia stato additato come obiettivo del terrorismo islamista durante i drammatici giorni degli attentati in Francia (2015): quegli eventi, cioè, che più di altri hanno indotto la Commissione Juncker a virare in senso securitario la propria politica migratoria, appoggiando strategie di maggiore controllo su frontiere esterne, accoglienza e asilo. È stato lo stesso Juncker, inoltre, ad affermare, perentorio, nel Discorso sullo stato dell’Unione del 2016: Gli atti barbarici dell’ultimo anno ci hanno dimostrato ancora una volta che ciò per cui combattiamo è il modo di vivere europeo. Di fronte al lato più oscuro dell’umanità dobbiamo preservare i nostri valori e rimanere fedeli a noi stessi e a quello che siamo: società democratiche, pluralistiche, aperte e tolleranti.[4]
Ciò detto, a poco sembrano servire alcune frettolose chiose attribuite alla nuova Commissione, come la precisazione che i diritti fondamentali appartengono allo stile di vita europeo: l’espressione stile di vita europeo mantiene un fondo ambiguo, controverso, divisivo. Se sono veramente i diritti a dovere essere difesi, perché non pensare a una delega alla protezione (e magari: all’applicazione) della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue (quella sì, patrimonio vero del progetto politico dell’Ue)? Una scelta che avrebbe lasciato ben pochi margini all’interpretazione e, al contempo, avrebbe conferito una missione precisa e attuativa al Commissario incaricato.
Tuttavia, come già rilevato da Michele Ruggiero nel suo recente editoriale dedicato al tema dei migranti, la nota identitaria e securitaria che ora trapelerebbe nella delega a Schinas non deve sorprendere più di tanto. Anzi: il clamore mediatico che in queste ore vi si sta addensando rischia di distogliere l’attenzione dalla sostanza programmatica della politica che la nuova Commissione intende attuare su migrazioni e asilo. Sostanza nota fin dal mese di luglio, approvata con larga maggioranza dal Parlamento europeo, e che dovrebbe suscitare più di un motivo di preoccupazione in chi si dichiara dalla parte dei diritti e contro avvitamenti securitari. Abbiamo bisogno di frontiere esterne forti, si legge nel documento di programma. Fondamentale per realizzare questa ambizione è il rafforzamento dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Un accordo tempestivo sul prossimo quadro finanziario pluriennale ci consentirà di disporre di un corpo permanente di 10.000 guardie costiere Frontex prima della data prevista del 2027. Voglio che queste guardie siano in grado di intervenire alle frontiere esterne dell’UE entro il 2024[5]. Ursula von der Leyen intende proporre agli Stati un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo – l’ultimo documento con questo titolo risale al 2008 – in cui la revisione del Regolamento di Dublino avrà come suo contraltare il rafforzamento del controllo delle frontiere esterne, con inevitabili ricadute sugli ingressi dei migranti. In coerenza con la strategia adottata negli ultimi vent’anni, la politica di frontiera diventa la premessa necessaria per una politica di accoglienza. Un sistema europeo comune di asilo, si legge infatti, deve essere precisamente questo, un sistema comune. Le nostre frontiere esterne saranno stabili solo se daremo un aiuto sufficiente agli Stati membri che sono più sotto pressione a causa della loro posizione geografica. Il binomio asilo-frontiere risulta inscindibile, mentre il vocabolario dei diritti fondamentali della persona appare sfocato, sostituito da richiami a valori e doveri morali (certamente meno precisi e cogenti di articoli di Trattati): l’Europa onorerà sempre i suoi valori e aiuterà i rifugiati a fuggire dalle persecuzioni o dai conflitti, come è nostro dovere morale. Lo stesso vale per il salvataggio di vite umane in mare. L’estensione dei requisiti per la migrazione legale (strumento che toglierebbe linfa alle reti di trafficanti di esseri umani, che, oggi, per molti migranti continuano a restare gli unici strumenti per approdare nell’UE) è relegata sotto la voce cooperazione, e in posizione decisamente periferica all’interno del documento: È fondamentale una cooperazione rafforzata con i paesi terzi, che siano paesi di origine o di transito.[…] Abbiamo bisogno di diplomazia, sviluppo economico, stabilità e sicurezza. In questo modo potremo bloccare i trafficanti, rafforzare l’impegno in materia di reinsediamento, nonché creare percorsi di migrazione legale per far venire le persone con le competenze e i talenti di cui abbiamo bisogno.
Al di là della querelle su quale Commissario potrà incidere di più sulla politica migratoria europea del prossimo quinquennio, è sui punti programmatici che il dibattito politico dovrebbe concentrarsi in questa fase preliminare, recuperando la capacità di analizzare in profondità il loro significato strategico e, di conseguenza, il coraggio di dibatterli e, se occorre, contraddirli nel merito e nelle sedi opportune (a cominciare dal Parlamento europeo).
Viceversa,
il risultato sarà quello di delegare, ancora una volta, la politica migratoria
europea a strategie di continuità preconfezionate e profondamente condizionate
dagli interessi nazionali, contro le quali a poco varrà indignarsi a posteriori,
magari appigliandosi a un’espressione di dubbio significato o una delega non
ben definita.
[2] Lettera d’incarico della Presidente eletta von der Leyen a Ylva Johansson, https://ec.europa.eu/commission/files/ylva-johanssons-mission-letter_it
[3] Lettera d’incarico della Presidente eletta von der Leyen a Margaritis Schinas, https://ec.europa.eu/commission/files/margaritis-schinas-mission-letter_it
[4] Jean Claude Juncker, Discorso sullo stato dell’Unione 2016: Verso un’Europa migliore – Un’Europa che protegge, che dà forza, che difende https://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-16-3043_it.htm
[5] Orientamenti politici per la prossima Commissione Europea (2019-2024) – “Un’Unione più ambiziosa: Il mio programma per l’Europa” https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/political-guidelines-next-commission_it.pdf
Posted on: 2019/09/14, by : admin