Punture di spillo: inflazione, “Ha da passà à nuttata”

a cura di Pietro Terna|

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Per il 2022, Nostradamus1 avrebbe previsto l’inflazione: “Il miele costerà molto più della cera delle candele. Così alto è il prezzo del grano. Che l’uomo è smosso il suo simile a mangiare nella disperazione”. Uhm, chissà perché il miele e molto esagerato.

Mi sono imbattuto nel testo dell’astrologo cinquecentesco cercando canzoncine sull’inflazione. Ne ho trovata una messa online2 dalla Bank of Jamaika che promette, in musica. “Low, Stable, Predictable inflation”. Un amico mi ha ricordato La crisi>3 di Ivan Fossati (1979), che non è una canzoncina e accompagnava una crisi con iperinflazione: 1977, 17%; 1978, 12,1%; 1980, 14,8%; 1980, 21,2%. E così, mentre cercavo, mi sono imbattuto nelle profezie di Nostradamus per il 2022: straordinaria la collezione di guai previsti e l’inflazione non è certo il peggiore.
I prezzi stanno aumentando, ad iniziare da quello dell’energia: aumento che si riflette su quasi tutti i prodotti, servizi compresi (si pensi ai trasporti). In Europa ciò vale soprattutto per chi dipende fortemente dalle forniture di metano dalla Russia: metano che alimenta in particolare Germania e Italia e marginalmente le altre nazioni. Irrilevante il flusso verso la Francia che spegnerà le centrali nucleari esistenti, ma senza fretta. Coerentemente, dall’OCSE sappiamo che il tasso annuale di inflazione4 a gennaio 2022 è vicino al 3% in Francia, al 4% in Italia, al 6% in Germania.

Guardiamo avanti: secondo la presidente5 della BCE, Christine Lagarde, l’inflazione nell’Eurozona calerà gradualmente nel corso del 2022, di pari passo con un miglioramento dei fattori che la spingono al rialzo: appunto il balzo dei prezzi dell’energia e i colli di bottiglia nella catena delle forniture.

Colli di bottiglia nella catena delle forniture? Sottolineo con forza che la produzione mondiale è ancora al di sotto del livello precedente alla pandemia e che quindi quella che paghiamo è la tendenza degli operatori economici a considerare le prospettive solo a breve o brevissimo termine: se tutto va male, continuerà a andar male; se tutto va bene, continuerà ad andar bene. Il breve termine è anche quello che premia i manager a Wall Street, con la spasmodica attesa dei dati trimestrali delle aziende. Dati non valutati per quel che comportano nel presente e in prospettiva, ma come confronto rispetto alle previsioni degli analisti, per quell’azienda e in quel trimestre.

Quando la ripartenza è avvenuta, e non poteva non avvenire dato che la fermata era stata imposta dall’esterno, ecco il secondo disastro, dopo quello dei lockdown! Tutti impreparati a rimettere in moto la produzione, se non con una catena di ritardi: altro che supply chain! Mancando materie prime e componenti (si pensi ai chip elettronici), la reazione immediata è stata quella di strapagarli e poi scaricare i maggiori costi sui prezzi finali. Ecco l’inflazione da costi, rispetto alla quale l’aumento dei tassi di interesse – come sta facendo la Fed negli Stati Uniti – è controproducente: in quel modo si aumenta solo un’altra voce di costo. Perché si agisce aumentando i tassi? Per impedire, con il maggior costo del denaro, che si detengano scorte, in attesa che i prezzi aumentino ancora, e per scoraggiare chi vorrebbe indebitarsi per nuove iniziative e nuovi acquisti.

Non è proprio quel che è necessario ora. Ora occorrono nervi saldi e saper aspettare. Con Eduardo De Filippo6, “Ha da passà ‘a nuttata”.

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