Punture di spillo: l’Imperialismo big tech contro gli Stati

a cura di Pietro Terna|

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Google (Alphabet), Facebook (Meta), Amazon, e anche altri giganti del mondo big tech, sono imperi dei nostri giorni, con le caratteristiche imperiali di sempre. Al primo posto, la certezza che al di là dei confini dell’impero non esista nulla che possa metterli in discussione.1 L’imperatore e i dignitari della corte hanno tutto il potere; i loro consiglieri2“dicono loro quanto sono meravigliosi e non li avvertirebbero mai e poi mai quando si stanno rendendo ridicoli”.

“Al di là dei confini” esistono poteri autocratici oppure democratici. Ad esempio, Alibaba – una Amazon in grande, per la Cina e non solo –, deve vedersela con le decisioni del Partito unico, che detta le regole. Non ci sono solo esempi estremi di quel tipo. Non singoli stati, ma Unioni di Stati qual è l’America (come la chiamano, considerandolo un nome esclusivo, i cittadini e i politici degli Stati Uniti), o come l’Europa, nome che finalmente sentiamo vicino alla nostra sensibilità e in positivo, mostrano capacità nel fronteggiare democraticamente il potere di quegli imperi.

Il presidente Biden sta nominando persone in grado di valutare in modo molto attento e severo il comportamento delle big tech, da Lina Kahn,3, una giurista assai battagliera nel campo dell’antitrust, a Jonathan Kanter,4 che ha la stessa specializzazione: sentiremo parlare di loro. In ogni caso, un importante cambio di passo rispetto a Trump, che faceva il gradasso con i poteri della rete, ma solo dopo averli utilizzati spudoratamente.

In questo campo, l’Unione Europea procede a passi lenti, ma regolari, sin dall’ormai lontano scontro tra Mario Monti, commissario europeo, e la Microsoft, che all’inizio del 2005 dovette accettare di commercializzare una versione del sistema operativo Windows più rispettosa dei programmi dei concorrenti, anche se poi nei fatti non rispettò gli impegni, incorrendo in ripetute sanzioni. Ora nel mirino c’è Google, che usa la propria posizione dominante per imporre strumenti di scelte negli acquisti.

Andiamo con ordine. Google, per molte persone, coincide con l’internet nella sua globalità. Quegli utilizzatori non comprendono che per trovare un sito web è sufficiente scriverne l’indirizzo in un qualsiasi browser, ad esempio l’apertissimo Firefox, oppure Opera, oppure Vivaldi, o anche lo stesso Chrome di Google. Invece tante persone, automaticamente, quando aprono il programma per consultare i siti dell’internet vanno direttamente alla pagina di Google (moltissime, senza saperlo); da lì cercano quel che già conoscono o quel che vogliono scoprire. È un po’ come se qualcuno che desidera venire a casa mia e sa il mio indirizzo, si mettesse a chiedere in giro non dov’è la via dove abito, ma “dove abita Terna?” Ma già lo sai, perché lo chiedi? Perché credo che si faccia così!

Risultato: Google ci dirà dove abitano un po’ di Terna e indaga anche se si cercano dei Terna del tipo5 “professore con barba”, ma allargando la ricerca a personaggi con barba che incrociano notizie sulla società Terna Spa e così via. Seriamente: se stiamo cercando uno specifico prodotto da acquistare, facilmente ci troviamo invece immersi in altri suggerimenti. Se invece la nostra ricerca è in generale per un prodotto, non per una specifica marca, allora è esattamente il lavoro di Google fornirci un insieme di indirizzi. Tutto bene, dunque. Non proprio e ecco il motivo della sentenza6 recente della Tribunale dell’Unione europea (General Court), che ha il bell’indirizzo web curia.europa.eu.

Tra gli indirizzi che Google ci fornisce ci sono quelli di siti specialistici che comparano i prodotti da acquistare, ma secondo la Corte compaiono in secondo piano, meno visibili dei risultati di Google: ecco il motivo della condanna. Citando dal comunicato che diffonde la sentenza: “il Tribunale constata che il trattamento differenziato di Google si basa sull’origine dei risultati, ossia sul fatto che essi provengano dal proprio servizio di acquisti comparativi o da servizi concorrenti. Il Tribunale dichiara quindi che, in realtà, Google favorisce il proprio servizio di acquisti comparativi rispetto ai servizi concorrenti, piuttosto che (scegliere) il risultato migliore rispetto ad un altro risultato.” La sentenza è recente, ma l’azione dell’Unione Europea risale al 2017, con una sanzione di 2,4 milioni di euro a Google, di cui mezzo milione in solido con la casa madre Alphabet.

Bruscolini per loro? Forse non proprio, ma soprattutto non conta tanto l’importo quanto l’attenzione occhiuta dall’Europa, cui si aggiunge quella recente degli Stati Uniti, guidati da Biden. Il vantaggio è tutto per noi consumatori e soprattutto per noi cittadini.

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