Punture di spillo: ridurre l’orario di lavoro è un’esigenza

a cura di Pietro Terna|

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Il lavoro non è una merce e l’espressione “mercato del lavoro” è greve. Il lavoro è una parte della nostra vita. Il lavoro dà valore alle merci.

Quanto lavorare? Manca il lavoro o mancano i lavoratori? Chi scrive ha iniziato a lavorare in modo regolare nel 1968, l’orario era di 44 ore alla settimana, con il sabato mattina. Abbastanza presto si passò a un sabato ogni due, quindi a 42 ore; poi, sempre rapidamente, a 40. Molti aggiustamenti nei contratti collettivi o aziendali hanno portato a orari un po’ inferiori, ma il riferimento è ancora quello delle 40 ore. Sono passati cinquanta anni, una enormità1.

Leggiamo di esperimenti molto positivi in Islanda, con i giorni lavorativi ridotti a quattro, a parità di retribuzione; leggiamo di esperimenti in Spagna, in Svizzera, di aumenti di produttività più che proporzionali in aziende che riducono l’orario. Notizia di questi giorni, in Belgio si ragiona di una formula che prevede quattro giorni lavorativi, con 38 ore di lavoro. Tutto in una prospettiva molto diversa da quella che portò a applicare “a freddo” le 35 ore in Francia e, parzialmente, in Germania, ormai più di vent’anni fa.

Ora, in condizioni di normalità, una volta usciti dalla tumultuosa e complicata fase di ripresa di questi mesi, riscopriremo che l’industria è in grado di produrre molto di più di quel che le famiglie possano acquistare, sia nei paesi che chiamiamo ricchi, sia in quelli che si sviluppano in modo accelerato, dove si combinano super produzione, povertà estrema e disoccupazione. Il paradosso più grande è che simultaneamente nel mondo mancano lavoratori e ci sono masse di disoccupati.

I disoccupati hanno bisogno di sviluppo, non necessariamente nella direzione tradizionale e rimando alla “puntura di spillo” della scorsa settimana,2 che trattava anche di ambiente, senza cadere nella semplificazione che contrappone PIL e clima.

Tutti devono tenere presente l’accelerazione ulteriore dell’automazione dei lavori ripetitivi di tutti i tipi, a tutti i livelli3. Ridurre gli orari di lavoro corrisponde a compiere un passo verso il futuro, immediato nelle aree a maggior produttività e di prospettiva per chi ha ancora la necessità di superare l’indigenza. Ricordiamo Keynes che, nel 1930, enunciava4le “Possibilità economiche per i nostri pronipoti”, con la previsione che entro i prossimi 100 anni (nel 2030, dunque) la prosperità sarà raggiunta e sarà sufficiente un impegno di lavoro di quindici ore alla settimana per garantirla. Il 2030 è troppo vicino, soprattutto se si pensa al mondo intero, ma la direzione è quella. _______