Quando ad essere premiata è l’infedeltà alla Legge
di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |
Se si contasse il numero di ore che la dirigenza pubblica e privata passa ad interpretare i regolamenti attuati dai vari organi di governo, ed ora anche dalle Task force governativa, miglioreremmo incredibilmente la produttività e il PIL, ma lasceremmo migliaia di burocrati in preda alla disoccupazione. Considerato che attualmente le leve del potere sono in mano ai burocrati, anche i pochi provvedimenti volti alla semplificazione rischiano di trasformarsi in ulteriori appesantimenti: tant’è che sono in molti ad augurarsi che non vengano emanati ulteriori provvedimenti di semplificazione o che questi siano contenuti in meno di 1.000 pagine. Per fare un confronto, che non ci deve fare però arrossire, se la Germania emana un provvedimento per la rinascita in 17 pagine, così che tutti possano capire quali sono le linee generali, quello dell’Italia è di 700 pagine, che inevitabilmente nessuno legge. Dunque, il vulnus autentico è quello della democrazia.
Tanti di noi hanno giurato fedeltà alla Costituzione e alle Leggi, e non si riesce a capire come mai si fatica così tanto ad applicare i principi generali contenuti, mentre ci si esalta sul rispetto del combinato disposto delle virgole contenute in qualche articolo sperduto. Il caso più clamoroso riguarda l’art. 81 che recita: Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio…, mentre l’art. 97 sostiene che Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I fautori della negazione, di fatto, di questo principio rileverebbero subito che l’art 81 prosegue con …tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
L’estrema liberalità dell’allora ministro Tremonti
L’estrema liberalità dell’allora ministro Tremonti
Certamente il Covid-19 costituisce un evento eccezionale e ciò scatena il non rispetto dei vincoli senza curarsi troppo delle conseguenze che ciò provocherà negli anni futuri. L’introduzione del principio avvenne nel 2011 quale estremo tentativo del ministro Giulio Tremonti di contenere la crescente sfiducia che portò lo spread a più di 500 punti ed obbligò alle dimissioni il governo Berlusconi. Tremonti negli ultimi decenni era stato l’unico Ministro del Tesoro scelto dal corpo elettorale poi i suoi successori furono solo ministri tecnici. Oggi il ministro Gualtieri proviene dal mondo politico, anche se sulla competenza tecnica non si discute, né in Italia né in Europa, ma il pericolo che sia necessario un ritorno ad un governo Monti-Fornero comincia a serpeggiare. Strano paese quello italiano: per anni si sogna e si promette una finanza allegra senza controllo, dove ogni amministrazione può spendere quanto vuole, per poi trovarsi in emergenze dove il tecnico di turno è costretto a emanare misure draconiane.
Comportamenti di ieri e di oggi
Comportamenti di ieri e di oggi
Allora chi ha giurato fedeltà alla Costituzione a cosa deve attenersi: al rispetto dell’equilibrio di bilancio o alle varie interpretazioni di cos’è il ciclo economico o cosa le diverse fazioni politiche e della Corte dei Conti intendono per eventi eccezionali? A volere il principio dell’equilibrio di bilancio, già in fase di Costituente, era stato Luigi Einaudi poi diventato Presidente della Repubblica: lo spirito che dominava gli anni del secondo Dopoguerra permetteva di concentrare energie e uomini al benessere comune, sacrificando il perseverare ostinato di presunti principi (non si dimentichi che il primo Presidente della Repubblica, De Nicola, era dichiaratamente monarchico, ma ciò non gli impedì di collaborare con trasparenza e proficuità con De Gasperi, Nenni, Pertini, Togliatti…). Pietro Ingrao, comunista, che fu presidente della Camera negli anni Settanta, ricordava che Non c’è bisogno della parolaccia in politica. Si può essere molto duri e severi senza mai superare certi limiti. Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dal 1947 al 1954, invitava a Cercare di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare se vinceste le elezioni. Oggi un candidato simile non prenderebbe un voto, ma quello che non si capisce perché al corpo elettorale questa frase proprio non piace. E non si può negare che le differenze culturali tra i protagonisti della scena politica e delle correnti della magistratura sono sempre meno comprensibili, in compenso la voglia di collaborare per il bene comune sembra desaparecida.
L’irrefrenabile desiderio di cambiare le regole del gioco in corsa
L’irrefrenabile desiderio di cambiare le regole del gioco in corsa
All’opposto si perdono energie per applicare un’infinità di norme che, in pieno Coronavirus, sono state ampiamente disattese, sia quelle create ad hoc, sia quelle preesistenti. L’aver giurato fedeltà alle Leggi ma non ai decreti e alle delibere regionali, esenta da molti problemi di coscienza, ma non esclude da problemi interpretativi un’ampia fascia di operatori. A dover cambiare non sono i pezzi degli scacchi, ma la scacchiera stessa, obbligando i componenti della società a misurarsi sulle tematiche connesse al bene pubblico. L’impressionante produzione normativa, tipica di una società decadente, porta a sollevare il problema dell’aderenza dei comportamenti del singolo e della collettività al “generarsi” di una nuova norma. Anche il cittadino più istruito ed attento può vantarsi di conoscere solo una frazione infinitesimale delle disposizioni poste in essere, ponendo così un problema di contiguità tra quanto deciso e quanto applicato. Più volte il legislatore si è dovuto ripetere nell’affermare la validità di una norma in quanto il sistema non solo l’aveva disattesa, ma proprio non l’ha conosciuta o considerata come norma.
Si legifera ma non si rispetta, non stupiamoci se siamo in crisi di valori
Si legifera ma non si rispetta, non stupiamoci se siamo in crisi di valori
Disattendere una norma (o una delle infinite interpretazioni date dai singoli magistrati) è ancora da considerarsi reato e quanto ancora deve sconvolgere le coscienze di chi ha giurato fedeltà alle leggi? Ad osservare il comportamento degli amministratori pubblici (eredi di quel Quintino Sella ormai noto solo per rifugio alpino sul Monviso e per il Monte Sella nell’isola Grande della Terra del Fuoco) sembrerebbe di no: violano i vincoli di equilibrio di bilancio senza alcun ritegno. Se, quanto e come siamo in crisi è diventato un rebus che apre un dibattito interdisciplinare con un coinvolgimento dell’etica, dell’economia, della programmazione politica e legislativa. Non si tratta solo di un problema formale. Ormai è evidente, ma non si è ancora identificato un paradigma interpretativo in grado di sintetizzare le variabili in gioco. La richiesta/rivendicazione o la chiusura di un servizio sono infatti atti programmatori che dovrebbero rappresentare l’attuazione di una visione della gestione della cosa pubblica.
Provocazione: allora che cosa siamo pronti a difendere?
Provocazione: allora che cosa siamo pronti a difendere?
Il sapere-come e il sapere-dove rappresentano infatti atti manageriali volti ad ottimizzare l’uso delle risorse disponibili, ma non spiegano quale priorità deve essere assegnata ai diversi valori caratterizzanti una collettività, riflettenti il “sapere-perché”, senza il quale si rischia di dover dare ragione ai sofisti (Antifonte di Ramnunte) che consideravano le norme limitanti il libero agire dell’uomo e quindi tutte convenzionali (con la conseguenza che l’uomo dovrebbe seguire le leggi della natura, posto che sia possibile stabilire quali sono). Il rispetto delle Leggi non nasce più da un giuramento, ma dalla coscienza dell’utilità della norma che diventa parte integrale dell’individuo e ne condiziona il comportamento fino al punto di difenderla in ogni occasione. Ma quanti di noi, pronti a gridare per la violazione di un presunto diritto e disposto, davanti una mascherina buttata per strada, ad intervenire? Forse meglio così perché nascerebbero troppe risse, ma allora il non imbrattare le strade, come tante norme di buon senso suggeriscono, o semplicemente di buona educazione, sono ancora da considerarsi leggi?
Posted on: 2020/06/14, by : admin
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