Quarant’anni fa l’omicidio di Pio La Torre, uomo “scomodo” per la mafia
di Michele Ruggiero|
|Fu una triste vigilia quella del I maggio del 1982. Alle 9,20, sicari agli ordini di Totò Riina e Bernardo Provenzano, la cupola di “Cosa Nostra”, uccidevano in un agguato a Palermo, in via generale Turba, Pio La Torre, 55 anni, e Rosario Di Salvo, 36 anni. Il primo era parlamentare e segretario regionale del Pci della Sicilia, dirigente politico vicino a Enrico Berlinguer, che nel 1979 l’aveva voluto nella segreteria politica del partito. Di Salvo era “un compagno d’apparato”, secondo una definizione generica che spaziava su un arco esteso di compiti, nel suo caso autista, guardia del corpo, uomo di fiducia, amico. Proprio quel giorno, si insediava in Prefettura a Palermo, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, inviato dall’allora governo Spadolini, per combattere con maggiore incisività il fenomeno mafioso.
Pio La Torre era soprattutto un uomo “scomodo”, quindi per le “regole” della mafia un uomo da eliminare. Senza appello, perché Pio La Torre era anche un “simbolo” per la sua esperienza politica e per la sua capacità di mobilitare le masse. Era stato l’ispiratore di una proposta di legge convertita in Legge n. 646, appunto nota come “Legge Rognoni-La Torre”, entrata in vigore il 13 settembre 1982, dieci giorni dall’omicidio del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo. La legge ha introdotto nel codice penale l’art. 416-bis, il quale prevedeva per la prima volta nell’ordinamento italiano il reato di “associazione di tipo mafioso” e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita.
Pio La Torre era anche un uomo ostinato che credeva nella pace. Un credo sincero che dimostrò organizzando la protesta contro la costruzione della base missilistica a Comiso, nel Ragusano, l’area in cui la Nato aveva deciso l’installazione dei missili Cruise in un momento di estrema tensione della Guerra Fredda per il dispiegamento dei missili SS-20 da parte dell’Unione Sovietica.
Come è stato ricordato di recente1, Pio La Torre fu lo stimolatore di quel movimento di protesta ed “ebbe la capacità di costruire, quasi di cucire, un larghissimo schieramento di associazioni, sindacati, forze politiche dalle tante e diverse anime, da quella cattolica a quella socialista, ovviamente quella comunista, fino al pacifismo internazionale. Una grande “coalizione sociale” che non solo si opponeva ai missili cruise in terra siciliana, ma si opponeva alla logica della guerra e della deterrenza militare costruita sul riamo. La pace si costruisce con la pace, non con le armi”.
Pio La Torre era un uomo del Sud, nato da una famiglia contadina a Mezzomonreale che lottava per l’emancipazione dei braccianti. Lo scrissero in molti subito dopo il suo omicidio, aggiungendo che nella lotta aveva maturato il forte convincimento e proposito di combattere la mafia, di divenirne “un intransigente nemico”. Una missione la sua che Cosa Nostra non gli perdonò. Nella mafia palermitana e nei latifondisti complici era ancora viva la battaglia politica che negli anni Cinquanta Pio La Torre, dirigente della Confederterra-Cgil, aveva ingaggiato per l’occupazione delle terre del corleonese, la zona su cui cominciava a esercitare il suo nefasto potere Luciano Liggio. La stessa zona in cui nel 1948 era stato rapito e poi ucciso il segretario della Camera del Lavoro Placido Rizzotto, i cui resti saranno recuperati soltanto nel 2009. All’epoca, furono decisive le indagini condotte da Carlo Alberto dalla Chiesa, giovane capitano dei carabinieri, per assicurare alla giustizia gli esecutori dell’assassinio, ma non il mandante: proprio quel Luciano Liggio, poco più che ventenne, che inseguito dall’ordine di cattura si diede alla latitanza, fino all’arresto avvenuto nel 19642. Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa, destini che in quel 1982 sono destinati a incrociarsi drammaticamente.
Quando nell’estate del 1981 Enrico Berlinguer chiede a Pio La Torre di ritornare nella sua Sicilia, la mafia è entrata in un’altra dimensione rispetto a quella degli anni Cinquanta e Sessanta. Insieme agli appalti, al gioco clandestino, alla “protezione” di esercizi commerciali e di aziende, Cosa Nostra si è conquistata un orizzonte internazionale con la raffinazione dell’eroina e il traffico degli stupefacenti. Affari miliardari: una massa di liquidità con la quale condiziona la vita sociale, finanziaria e politica dell’isola. Chi si oppone viene eliminato senza pietà. La scia di sangue è lunghissima. Cosa Nostra ha già ucciso il presidente della Regione Piersanti Mattarella, il sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, e prima ancora i magistrati Cesare Terranova e Gaetano Costa, il maresciallo Lenin Mancuso, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e altri servitori dello Stato.
Per contrastare la “Piovra”, Pio La Torre accantona le polemiche con la Democrazia Cristiana, di cui però denuncia le collusioni di alcuni suoi esponenti con le cosche mafiose, per pensare “in grande”. Il suo progetto è una forma “compromesso storico” allargato. Lo definisce un “impegno unitario e convergente di tutte le forze democratiche nazionali” per aggredire il cancro prima di tutto all’interno dei singoli partiti. “La questione non riguarda solo la Dc, ma è in questo partito che si gioca la partita decisiva”, aveva aggiunto. Considerazioni che riprenderà ancora a marzo, un mese prima dell’agguato, in un incontro tra una delegazione del Pci e il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini a palazzo Chigi.
Tocca a Pio La Torre leggere le sette cartelle di un memorandum che contiene il passaggio chiave della lotta alla mafia che gli costerà la vita: “È urgente riconsiderare la mafia come una questione nazionale, diversamente dal passato e per ragioni che vanno ben oltre il peso che le grandi degenerazioni operate dalla mafia nell’economia e nelle istituzioni della Sicilia hanno sulla vita della nazione”. Parole che guardate in retrospettiva rappresentano il suo testamento morale e politico, quasi una traccia per il sacrificio dei due magistrati simbolo nella lotta senza quartiere a Cosa Nostra: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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1https://www.collettiva.it/copertine/internazionale/2022/04/04/news/per_la_pace_a_comiso_come_40_anni_fa-2005658/
2All’operazione, condotta con successo dai carabinieri, contribuì l’allora commissario di Pubblica sicurezza Angelo Mangano, futuro questore di Roma, che nel 1973 riuscì a salvarsi da un attentato di stampo mafioso, nonostante fosse stato raggiunto da sei proiettili.
Posted on: 2022/04/29, by : admin