Quel viaggio in Cina con Enrico Berlinguer
di Silvana Dameri|
|Per il centenario dalla nascita di Enrico Berlinguer proponiamo un ricordo-testimonianza di Silvana Dameri, ultima segretaria regionale del Pci piemontese, consigliera regionale a palazzo Lascaris eletta nella lista del Pci e due volte parlamentare con Pds e Ds.
L’antefatto. Era una mattina di fine febbraio, inizio marzo del 1980 e all’ingresso in Federazione torinese del PCI, all’epoca nel mitico palazzo costruito in cooperativa in via Chiesa della Salute 47, mi ferma il compagno che in portineria gestisce anche il centralino: “Al telefono c’è la Direzione del Partito“. All’altro capo riconosco la voce dall’inconfondibile cadenza fiorentina di Adriana Seroni, parlamentare, responsabile per oltre un decennio della “Sezione femminile del Pci”, prematuramente scomparsa nel 1984 non ancora sessantaduenne.
Il suo fu un annuncio che avvertii come un ordine: senza troppi giri di parole mi disse che avrei dovuto partecipare ad un viaggio. Immediatamente preoccupata le feci presente che avevo una bambina piccola, Irene, nata il primo ottobre dell’anno precedente. La sua replica fu ancora più spiccia e sobria dell’annuncio-ordine: “Organizzati. Sappi che si tratta di un viaggio che tutti i compagni vorrebbero fare…”. E allora come sempre mi affidai a lei.1
In volo per Pechino con la delegazione del PciNon trascorse che una decina di giorni tra la telefonata e la convocazione del Comitato Centrale, cui partecipo e come d’abitudine, insieme agli altri piemontesi, mi siedo nelle ultime file accanto alla porta d’accesso al salone di Botteghe Oscure, via di fuga per i fumatori. Adriana prende posto con noi. Al termine della relazione sulla situazione politica italiana e prima che si apra il dibattito, il segretario Enrico Berlinguer annuncia che la Direzione ha lavorato alla ripresa dei rapporti con il Partito Comunista Cinese interrotti negli anni Sessanta per sancire i quali una delegazione del C.C. sarebbe partita per Pechino. “Lì tu andrai” mi disse Adriana, con un sorriso un po’ sornione e soddisfatto. La sorpresa per me fu tale che forse neanche la ringraziai, ma d’altronde non si usava, semplicemente si stava a quanto il Partito proponeva. Probabilmente ancora sotto quella strana condizione che viene solitamente definita “depressione post partum” ero un po’ impaurita, ma Piero, mio marito mi incoraggiò e preparai i bagagli. Ricordo che fu Maria Laura Marchiaro, consigliera regionale del Pci, a prestarmi le valigie da aereo che non possedevo.
Anche se dal XV Congresso facevo parte del Comitato Centrale non avevo avuto contatti diretti con Berlinguer e quei quindici giorni insieme furono un’occasione inaspettata e davvero straordinaria. Il giorno della partenza, il 13 aprile 1980, eccomi al primo incontro nel mitico secondo piano di Botteghe Oscure. Ero emozionata ed egli mi porse la mano, mentre il suo viso si illuminava di quel suo sorriso quasi da ragazzo. In breve mi sentii a mio agio. Della delegazione facevano parte Giancarlo Pajetta, che a Torino era di casa, Antonio Rubbi, responsabile Esteri, e Angelo Oliva, che prima di passare alla Sezione Esteri aveva lavorato al Regionale Piemontese.
Ricordo nitidamente che in conferenza stampa, all’aeroporto di Fiumicino, Berlinguer illustrò ai giornalisti le tappe e l’obiettivo primario della missione: mettere il PCI in rapporto con un grande Paese che si stava risollevando dagli anni tragici della cosiddetta “Rivoluzione culturale” costruita da Mao Zedong, “il grande timoniere”, per risolvere dall’esterno i contrasti interni del Pcc nella lotta per il potere. La Cina, con la strategia delle “Quattro Modernizzazioni”, puntava a far uscire dalla miseria il proprio popolo e a diventare un attore fondamentale nella scena mondiale. E in quel mondo in rapida trasformazione il PCI puntava a svolgere un ruolo dinamico. Già a Mosca, in un’atmosfera gelida con la nomenklatura del Pcus, Berlinguer aveva già sostenuto il valore universale della democrazia, dichiarazione che era seguita a quella di apertura sulla Nato. La sua ambizione era di delineare anche con quel viaggio l’autonomia della visione geopolitica del PCI. Emergeva con nettezza la sua grande passione per la politica internazionale.
Gli incontri con Hu Yaobang, Hua Guofen e Deng XiaopingAtterrati a Pechino, eccomi catapultata in un altro Mondo e cominciò la vita in comune della delegazione. L’accoglienza e l’ospitalità erano di quelle riservate ad ospiti di alto rango, ma con una finezza e una misura testimoni della millenaria storia e cultura cinese. Notai subito il particolare rispetto riservato a Pajetta e l’affabilità, vorrei dire la fraternità tra Berlinguer e Hu Yaobang, segretario generale del PCC, una vicinanza nata negli anni Cinquanta, quando entrambi erano membri dell’Internazionale dei giovani comunisti.
E fu con Hu Yaobang e altri numerosi funzionari che si tennero le sedute più numerose, impegnative ed interessanti, di reciproco approfondimento per recuperare 20 anni di silenzio, e tutto ciò avveniva in un atmosfera di curiosità e reciproco rispetto. Mi colpì la domanda che posero circa lo stato delle nostre relazioni con gli USA. Ci furono poi i pranzi ufficiali, questi non particolarmente graditi a Berlinguer, con tutte le più alte cariche, in testa il Presidente Hua Guofen, l’incontro all’Università di Pechino, quello con il sindaco di Shanghai nella sede in cui fu fondato il PCC. Da ultimo l’incontrò con l’uomo forte della Cina, il vicepresidente Deng Xiaoping.
Una passione comune: la musica di WagnerIn tutte quelle occasioni emergeva l’autorevolezza di Berlinguer. Vista da vicino poi si coglieva, io così ho colto, la connessione tra la sua personalità umana e la sua figura politica: una persona che credeva profondamente nel suo compito, una persona gentile, sincera, garbata con un particolare lato ironico. Curioso e attento, sottoponeva ai componenti della delegazione i suoi testi degli incontri e posso testimoniare che raccoglieva le osservazioni che lo convincevano. Aperto, ma sulle questioni di fondo (la difesa dei lavoratori e della povera gente), non arretrava di un millimetro. In una mattinata luminosa sul Lago dell’Ovest, ad Hangzhou, luogo di vacanza prediletto da Mao, passeggiammo a lungo insieme, scambiando anche confidenze sulla nostra comune passione per la musica di Wagner: “Parsifal è un’opera mistica”. Era soddisfatto dell’esito del viaggio, dell’eco anche internazionale che fu palpabile nella conferenza stampa conclusiva cui erano presenti oltre 150 testate giornalistiche e televisive.
Quella mattina, per me indimenticabile, mi disse “Senza una più equa distribuzione della ricchezza a livello planetario saranno inevitabili in un futuro prossimo grandi migrazioni, di popoli che fuggendo dalla misera e dalle guerre cercheranno migliori condizioni di vita per sé e i propri figli”. Ma, com’è noto, le migrazioni non erano al vertice nelle agende politiche degli anni Ottanta… Si privilegiava la “Milano da bere” e chi come Enrico Berlinguer aveva visioni chiare e di prospettiva sorrette da pensieri lunghi era guardato con sufficienza.
Parlammo anche della politica italiana. L’assassinio di Aldo Moro aveva posto una pietra tombale sulla prospettiva del compromesso storico: la scellerata azione delle Brigate rosse svolta con la complicità e i supporti interni ed internazionali di cui sono ormai ben documentati i crocevia, bloccò la possibilità di una nuova fase della vita democratica italiana, con l’accesso al ruolo di governo del secondo partito del Paese.
L’esercizio del potere interessava a Berlinguer per realizzare politiche di moderna giustizia sociale e crescita civile; la decisione di interrompere i governi di solidarietà nazionale nacque dalla considerazione che le classi lavoratrici ne trassero pochi risultati: “Solo se avverrà una profonda rigenerazione dei partiti e un rinnovamento della politica sarà possibile riaprire la strada di una partecipazione al governo del nostro Partito”.
La questione morale e altro ancoraIn queste parole che c’è già l’eco della questione morale che avrebbe sollevato nel luglio dell’anno successivo. Ma per la classe politica italiana, che ridusse quel pensiero a predica moralistica, fu un’occasione mancata. In realtà, Berlinguer poneva un tema di rilevanza costituzionale, la distinzione tra ruolo dei partiti e funzione delle istituzioni democratiche, che continua a riproporsi ai giorni nostri. Con l’avvento del CAF, l’accordo politico tra Craxi, Andreotti a Forlani, all’epoca rispettivamente segretario del Psi, presidente del Consiglio e segretario della Dc, la cosiddetta “Conventio ad escludendum” che mirava a marginalizzare il Partito comunista, si fece ancora più netta e aspra.
La degradante scena dei fischi indirizzati a Berlinguer e alla delegazione del Pci, all’ingresso del 43° Congresso socialista di Verona, ne fu la plastica e vergognosa dimostrazione. Era l’11 maggio del 1984, meno di un mese dalla sua morte. Per la cronaca, il giorno successivo a Nogara, all’inaugurazione della nuova sede del Pci nogarese, Berlinguer fece alcune osservazioni sull’apertura del Congresso socialista in cui si mescolava la nota e pungente ironia ad una freschezza politica ancora riproponibile: […] “della relazione di Craxi mi hanno colpito, anzitutto, due lacune davvero sorprendenti, e però assai significative. In primo luogo, in essa è ignorata totalmente la condizione della donna, i suoi problemi, le sue aspirazioni di emancipazione e liberazione. In 47 pagine di relazione, le donne sono state nominate in mezza riga, in fondo a un elenco di categorie “da assistere”. Questo vuoto — ha osservato Berlinguer — non è certo un indice di sensibilità e di impegno di un partito che si definisce riformista e moderno verso un mondo, come quello femminile, che esprime fermenti, interessi e obiettivi di portata profondamente innovatrice per l’intero assetto della società e per la concezione stessa della politica del nostro tempo. E pensare che ieri era la vigilia del decimo anniversario della vittoriosa battaglia nel referendum sul divorzio…”.
Quel viaggio in Cina così straordinario nella mia esperienza si collocava in una strategia, nel disegno di spostare la collocazione politica ed ideale del PCI dal campo dell’ortodossia sovietica per guardare ad un nuovo ordine mondiale, sia colloquiando con i partito dell’Internazionale socialista, sia spostando lo sguardo all’Africa, all’Asia e appunto all’emergente potenza cinese. Stare con Berlinguer, parlare con lui è stato per me semplice e affascinante.
La morte prematura di Berlinguer segnò la fine del PCI. I gruppi dirigenti erano minati, ancora con Berlinguer vivente, dà divisioni profonde ancorché trattenute. Si pensi all’occasione perduta del Convegno dell’Eliseo (gennaio 1977), al dileggio che accompagnò la proposta della politica dell’austerità, al silenzio che seguì ai saggi su Rinascita sulla questione ambientale, sul pensiero femminile, sulla pace e sul movimento pacifista. Non tra gli iscritti e i militanti, ma nel gruppo dirigente e nei quadri intermedi l’offensiva neoliberista di Thatcher e Reagan trovava orecchie attente e consenzienti. Così si iniziò a minare anziché modernizzare e rafforzare lo Stato sociale. “La società non esiste, esiste l’individuo” parole di Margaret Thatcher, dirette e chiare. Finché c’era Berlinguer non osarono, successivamente tutto si sgretolò fino a precipitare.
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1“Oh bimbe! Le ragazze di Adriana”, libro scritto da Graziella Falconi, edito da Memori, racconta attraverso undici testimonianze, tra cui quella di Silvana Dameri, la figura di Adriana Seroni.
Posted on: 2022/07/12, by : admin