Quirinale, la superbia dei leaderismi

di Menandro|

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Superbia: è il comune denominatore che oramai tiene insieme i cosiddetti leader di partito per il totonomi al Quirinale. Sempre che si possa definire partito quel reticolo di amicizie interessate e autoreferenziali, di vincite alla lotteria (seggio in Parlamento, Consigli regionali e comunali, nomine nel cosiddetto sottobosco politico, prebende, rendite), ambizioni sproporzionate al valore intrinseco delle persone, affarismo, conventicole il cui collante nel migliore dei casi è la ripetizione di luoghi comuni e chiacchiere da bar, nel peggiore la prepotenza che ricorda da vicino quella di tanti don Rodrigo ne I Promessi sposi.

Ed è alla superbia di questi leaderismi di strada, privi di reale consistenza politica, tronfi nell’esporre con il loro lessico elementare la pressoché totale assenza di cognizioni storiche, geografiche, scientifiche, che il Paese si ritrova ammanettato nella scelta del nuovo Capo dello Stato. Perché appare sempre più evidente che a contare non sarà la figura di specchiata moralità, cultura e serietà di chi salirà al Colle, come reclama la maggioranza degli italiani, ma chi ha deciso chi, colui che potrà dire di aver avuto l’ultima parola, quella decisiva nella scelta. Qualunque essa sia. Donna o uomo, se ha preteso il voto via sms o WhatsApp o si è candidato con la finta ingenuità di “così fan tutti o tutte”, nella versione che meglio vi aggrada, mozartiana o erotica alla Tinto Brass.

A differenza delle ultime elezioni, Napolitano, Napolitano bis, Mattarella, la superbia dei leader è cresciuta in forma direttamente proporzionale al degrado segnato dalla politica, cioè in maniera elefantiaca, con l’aggravante del reclutamento sonoro di milioni di “vaffa”, nati come antisistema e diventati in meno di tre anni i migliori interpreti della “libertà di coscienza” al voto… Una metamorfosi che avrebbe provocato anche l’invidia in Kafka, uno specialista dell’articolo. In effetti, il loro leader, già presidente di due governi diversi tra di loro, pescato attraverso una serie di colloqui di lavoro dalla banda del Grillo, oggi è il primo a gonfiare i pettorali, come faceva il famoso guardiano del Pretorio del Carosello anni Sessanta, se non lo si consulta, fosse anche per la nomina del presidente di un condominio.

Comunque, calma e gesso: il leaderismo di strada non è una malattia virale da contrastare con un’altra dose di vaccino, anche se la contaminazione mentale non è da prendersi sottogamba. Insomma, non dovrebbe contagiare i cittadini comuni finché restano tali; forse, qualche rischio lo corrono i no vax e i no green pass, ma a oggi non si registrano certezze scientifiche, né si segnalano pubblicazioni sulle autorevoli riviste Science o Nature. L’opinione pubblica però concorda su un elemento: il leaderismo di strada è pronto a pagare qualunque prezzo per sopravvivere al senso del ridicolo che lo sovrasta.




Posted on: 2022/01/28, by :