Rafforziamo il territorio, primo baluardo contro la pandemia

di Emanuele Davide Ruffino
e Cinzia Maria Bosso|

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L’impegno nella lotta al Coronavirus si è svolto su più livelli rimescolando le carte del potere, dove alcuni settori hanno beneficiato degli effetti mediatici per l’impatto che questi hanno avuto (e avranno) sugli assetti della nostra società. Altri aspetti, meno eclatanti, ma non meno importanti, sono i micro effetti che si realizzano sul territorio, in ogni singola realtà locale che ha dovuto cercare rimedi con le sole forze disponibili in loco. Esperienza fondamentale per il futuro ora che, si spera, la virulenza della patologia registrerà una significativa regressione e che i riflettori della ribalta si concentreranno su altre dispute: ma i traumi causati dalla pandemia di natura economica, psicologica e sociale, perdureranno a lungo e dagli esiti per nulla scontati.

Analizziamo le fragilità provocate dal virus

Nell’impegno alla lotta contro il virus, specie nella prima fase, si sono commessi inevitabilmente tanti errori, ma si è assistito anche a grandi slanci di generosità: oggi entriamo nella gestione della quotidianità dove, a fronte dell’esperienza acquisita, non possono più essere commessi errori ma, finché la Covid-19 non sarà debellata, non si può abbassare la guardia, anzi bisogna approfittare delle conoscenze emerse in questo frangente per ripensare, in forme maggiormente congrue, l’organizzazione a livello periferico.

Il territorio rappresenta la prima frontiera nell’affrontare le emergenze e, se l’ospedale è stato chiamato a fronteggiare i problemi clinici più complicati, anche il territorio ha avuto i suoi eroi silenziosamente impegnati quotidianamente nel portare i generi di prima necessità nella fase di chiusura forzata, ed un infinità di altre accortezze. Ora che la fase emergenziale speriamo sia finita, c’è da affrontare le fragilità che la pandemia ha lasciato.

In prima fila rimangono ovviamente gli ospedali che dovranno recuperare l’assistenza che nei mesi bui dei lock down non hanno potuto offrire (la prevenzione è stata una delle tante vittime della pandemia), ma occorre affrontare anche i disagi psico-sociali generati dal perdurare di un’infinità di situazioni critiche e di abbandono, anche se non gravi, che influenzano la vita dei cittadini e possono fornire il substrato per pericolose degenerazioni. Non c’è giorno che, dai sensori sul territorio, dalle istituzioni comunali al volontariato, alle parrocchie non pervengano segnalazioni: forse solo la solitudine di una persona e la lamentela in apparenza ingiustificata, ma che evidenziano un senso di abbandono che non va sottovalutato.

Prudenza, la battaglia non è ancora finita

Possiamo creare strutture avveniristiche, ma se poi manca una continuità di azione puntuale e circonstanziata si rischia di ridurre l’efficacia di tutta la filiera. Si deve partire dall’esperienza acquisita durante questi mesi e dalle evidenza scientifiche in costante ridefinizione (come è normale nei tempi di crisi) per ridefinire modelli sociali sostenibili. Vorremmo disporre di certezze e di regole stabili, ma rischiamo solo di creare dogmi di breve durata, mentre sarebbe necessario un’esaustiva rilevazione dei fatti, per disporre di un maggior numero di informazioni, perché le esperienze maturare in un loco posso essere di utilità per altri. Invece nonostante le potenzialità dei mezzi comunicativi, si fatica ancora a far circolare le soluzioni: sappiamo quello che succede dall’altra parte del mondo, siamo portati a conoscenza dei tutte le polemiche creata da chi cerca visibilità, ma non sappiamo cosa si è fatto a pochi chilometri di distanza per risolvere un problema (protezione civile e associazioni di volontariato custodiscono tesori inestimabili di conoscenze).

In preda al panico si erano creati magazzini pieni di prodotti che ora rischiano di impolverarsi prima dell’uso o, peggio ancora, di essere gettati via senza essere correttamente smaltiti: ora bisogna predisporre dei magazzini delle idee che sappiano raccogliere e rendere facilmente disponibili le conoscenze pratiche. Il sistema normativo deve rinunciare a ricercare la perfezione giuridica a vantaggio di un senso pratico che permetta di realizzare soluzioni tempestive ed efficaci sfruttando l’immagazzinamento virtuale del know how e predisponendo operatori in grado di attuarlo.

L’impegno personale a favore della collettività

Non si può, di certo, prevedere il futuro, ma ci si deve organizzare per affrontarlo meglio, cioè ragionare su come reagire di fronte a eventi imprevisti e perniciosi. Le singole collettività (dal vicinato, alle aggregazioni spontanee, alle istituzioni comunali) possono diventare il perno di nuovo modo d’interpretare e di affrontare gli eventi. Parafrasando Kennedy, non ci si deve chiedere che cosa lo Stato può fare contro la pandemia (o quali norme deve emanare), ma che cosa noi possiamo fare contro essa o, prendendo atto della complessità dei rapporti sociali, quale posto e quale ruolo si devono ricoprire nella filiera per poter offrire il massimo contributo in rapporto alle specifiche competenze.

Un maggior coordinamento e un elevato senso civico da parte di tutti (lo slogan demagogico soddisfa un’esigenza momentanea, ma il lavorare tutti i giorni risolve i problemi) possono offrire una chiava di risoluzione e, il contrasto della pandemia che, seppur tra mille incertezze, l’Italia ha affrontato meglio di altri paesi (come ha certificato l’immunologo americano Anthony Fauci) ne sono una dimostrazione e uno sprono a continuare anche quando l’attenzione sul problema inevitabilmente scemerà.




Posted on: 2021/09/22, by :