Recovery Fund: una leva per la Grande Riforma?
di Claudio Artusi|
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La notizia è importante, per quanto annunciata: arriva in Italia una massa di denaro dall’Europa come non se ne vedeva dal Piano Marshall, cioè dal 5 giugno 1947, data ufficiale che sancì il decollo dell’European Recovery Program, il programma di sostegno degli Usa a favore del Vecchio Continente, devastato dalla Seconda guerra mondiale. Il programma si chiama, è noto oramai urbi et orbi, Recovery Fund, ed è destinato alla salute, all’ambiente, alla educazione, alla digitalizzazione, alle infrastrutture, alla rigenerazione urbana. Ma tra i molteplici aspetti positivi, c’è quello che ai nostri occhi rischia di apparire un neo: l’Europa ci dà questi fondi (209 miliardi di euro) a condizione di spiegare come faremo a spenderli presto e bene.
Un elemento – la spiegazione – non secondario. La nostra performance in efficacia e qualità degli investimenti negli ultimi venti anni, infatti, non è certo rassicurante. Sul totale finanziato dal 2000 al 2020 meno del 10% è stato realizzato, meno del 40% ha visto l’avvio dei lavori. Il nostro è un motore ingolfato che più carburante riceve, meno moto fa giungere alle ruote dell’automobile. I casi sono innumerevoli. A Torino abbiamo un monumento all’incompletezza con il grattacielo della Regione. E abbiamo, per rimanere nel campo della sanità, anche il record delle false partenze con la nuova Città della Salute. In entrambi i casi si sono susseguite giunte di colori opposti. Ai Paesi europei questa situazione è ben nota e quindi non deve sorprenderci la ruvidezza con cui alcuni premier stranieri reclamano un occhio speciale sull’Italia, fino a giungere di richiederne un “commissariamento”.
Il governo e più in generale il sistema politico pare essere consapevole di questa situazione. Non è un caso che si propongono corpi tecnici paralleli a quelli esistenti per gestire con un passo diverso l’opportunità che dobbiamo cogliere. L’idea di creare “protesi” di governance che affianchino o sostituiscano l’ordinamento istituzionale è tornata in più occasioni. Ricordo le emergenze (in primis i terremoti), affrontati con regole e strutture “speciali”. Ricordo i “commissari” per alcune opere strategiche. Ricordo la “legge obbiettivo” che dava alla figura del “General contractor” poteri straordinari. Non tutto è stata una esperienza negativa, senza dimenticare che occorre fare i conti col convitato di pietra (la magistratura amministrativa e penale), ma certo il presidente del consiglio Giuseppe Conte ed il suo governo non hanno molto da mutuare come buone pratiche da proporre per la sfida del Recovery Fund.
Il professor Cassese nei giorni scorsi lo diceva apertamente: attenzione a creare volta per volta una sorta di circolazione extracorporea, come conseguenza del fatto che non si ha fiducia nel sistema arterioso e venoso! Questa attenzione è vieppiù dovuta nel caso del Recovery Fund che tocca molti ambiti del sistema Italia e lo fa anche in profondità.
Mettiamo in fila i pensieri. L’attuale organizzazione dei corpi dello Stato non risponde alle esigenze di efficacia, di efficienza, di chiarezza. La politica “emergenziale” crea uno stato Frankenstein i cui vari organi si intersecano e si “rigettano”. Ahimè ci resta la strada maestra di una grande riforma organica. Ahimè perché è un percorso lungo e complesso, che deve toccare il complesso organico della organizzazione statuale, deve tener conto della democrazia parlamentare, della articolazione in Regioni, degli enti locali. Tornando all’esempio del motore ingolfato, si tratta di pensare e fare un motore nuovo!
Infine, c’è da chiedersi se, ancor più degli obbiettivi e dei finanziamenti del Recovery Fund, non sia davvero una radicale riforma del nostro Stato la grande opportunità che ci offre l’Europa. Lo strumento c’è ed è la legge delega. Ovviamente, bisogna vedere se vi sono la visione e lo slancio ideale che nel Secondo dopoguerra avevano guidato i Padri costituenti. A Governo e Parlamento sommessamente chiedo: volate alto, rifuggite dalle scorciatoie, riservate la competizione ed anche la litigiosità a spazi al di fuori del recinto della Grande Riforma.
Posted on: 2020/12/15, by : admin
Un elemento – la spiegazione – non secondario. La nostra performance in efficacia e qualità degli investimenti negli ultimi venti anni, infatti, non è certo rassicurante. Sul totale finanziato dal 2000 al 2020 meno del 10% è stato realizzato, meno del 40% ha visto l’avvio dei lavori. Il nostro è un motore ingolfato che più carburante riceve, meno moto fa giungere alle ruote dell’automobile. I casi sono innumerevoli. A Torino abbiamo un monumento all’incompletezza con il grattacielo della Regione. E abbiamo, per rimanere nel campo della sanità, anche il record delle false partenze con la nuova Città della Salute. In entrambi i casi si sono susseguite giunte di colori opposti. Ai Paesi europei questa situazione è ben nota e quindi non deve sorprenderci la ruvidezza con cui alcuni premier stranieri reclamano un occhio speciale sull’Italia, fino a giungere di richiederne un “commissariamento”.
Il governo e più in generale il sistema politico pare essere consapevole di questa situazione. Non è un caso che si propongono corpi tecnici paralleli a quelli esistenti per gestire con un passo diverso l’opportunità che dobbiamo cogliere. L’idea di creare “protesi” di governance che affianchino o sostituiscano l’ordinamento istituzionale è tornata in più occasioni. Ricordo le emergenze (in primis i terremoti), affrontati con regole e strutture “speciali”. Ricordo i “commissari” per alcune opere strategiche. Ricordo la “legge obbiettivo” che dava alla figura del “General contractor” poteri straordinari. Non tutto è stata una esperienza negativa, senza dimenticare che occorre fare i conti col convitato di pietra (la magistratura amministrativa e penale), ma certo il presidente del consiglio Giuseppe Conte ed il suo governo non hanno molto da mutuare come buone pratiche da proporre per la sfida del Recovery Fund.
Il professor Cassese nei giorni scorsi lo diceva apertamente: attenzione a creare volta per volta una sorta di circolazione extracorporea, come conseguenza del fatto che non si ha fiducia nel sistema arterioso e venoso! Questa attenzione è vieppiù dovuta nel caso del Recovery Fund che tocca molti ambiti del sistema Italia e lo fa anche in profondità.
Mettiamo in fila i pensieri. L’attuale organizzazione dei corpi dello Stato non risponde alle esigenze di efficacia, di efficienza, di chiarezza. La politica “emergenziale” crea uno stato Frankenstein i cui vari organi si intersecano e si “rigettano”. Ahimè ci resta la strada maestra di una grande riforma organica. Ahimè perché è un percorso lungo e complesso, che deve toccare il complesso organico della organizzazione statuale, deve tener conto della democrazia parlamentare, della articolazione in Regioni, degli enti locali. Tornando all’esempio del motore ingolfato, si tratta di pensare e fare un motore nuovo!
Infine, c’è da chiedersi se, ancor più degli obbiettivi e dei finanziamenti del Recovery Fund, non sia davvero una radicale riforma del nostro Stato la grande opportunità che ci offre l’Europa. Lo strumento c’è ed è la legge delega. Ovviamente, bisogna vedere se vi sono la visione e lo slancio ideale che nel Secondo dopoguerra avevano guidato i Padri costituenti. A Governo e Parlamento sommessamente chiedo: volate alto, rifuggite dalle scorciatoie, riservate la competizione ed anche la litigiosità a spazi al di fuori del recinto della Grande Riforma.
Posted on: 2020/12/15, by : admin