Ricerca e sviluppo per rilanciare con coraggio il Piemonte
di Pietro Terna|
|La Stampa del 19 aprile, prendendo meritoriamente spunto dalla pubblicazione del “Rapporto sulla competitività̀ dei settori produttivi 2020” dell’Istat”1, con un commento di Mauro Zangola, già direttore dell’Ufficio Studi Economici dell’Unione industriale di Torino, ha messo in luce l’importanza dei settori high-tech per la capacità di resilienza e di sviluppo del Piemonte. Sabato 24 aprile, l’ISMEL, Istituto per la Memoria e la Cultura del Lavoro, dell’Impresa e dei Diritti Sociali, organizza una mattinata di riflessione su “Programmazione delle politiche industriali e sistemi di governance: quale ruolo per i sistemi territoriali delle competenze?” all’interno dell’iniziativa2 “past > work > future – Ripensare il lavoro per progettare il futuro”.
Quale occasione migliore per collocare la situazione della attività di ricerca e sviluppo del Piemonte in una prospettiva europea, approfondendo le condizioni di quella che è la doppia chiave di volta sia del progresso nelle tecnologie, sia della competitività? Uno strumento molto utile per queste è l’Annuario statistico regionali3 dell’Eurostat, l’equivalente europeo della nostra Istat. L’annuario Eurostat ci offre la mappa europea riportata nella Fig. 1, dove le regioni d’Europa sono rappresentate per intensità di ricerca e sviluppo e per settore prevalente nell’R&D (sigla per research and development): il colore rosso-amaranto individua le regioni in cui il contributo del settore industriale è più dell’1,5% del Prodotto Interno Lordo di quell’area. Si noti la mega area che va dal Piemonte alla Germania passando per la Svizzera.
È un segnale importantissimo, “ci siamo”! Un dubbio può venire dal declino della presenza della maggiore impresa nei mezzi di trasporto, ma per avere una grandezza di confronto, il CRF (Centro Ricerche Fiat) nel 2017, anno dei dati della mappa, fatturava 91 milioni che corrispondono a un valore aggiunto probabilmente di oltre 70, tutto di ricerca. In quell’anno il PIL del Piemonte era di 134 miliardi e la mappa indica un contributo della ricerca maggiore dell1,5%, quindi maggiore di due miliardi, grandezza che sta su un’altra scala.
Un dettaglio: leggendo la mappa: una prevalenza della Pubblica amministrazione nella ricerca, indicata dalle zone verdi, si nota nel Lazio, dove sono accentrate molte realtà di ricerca pubbliche e nella Basilicata, dove in effetti i contributi di ricerca e sviluppo privati è ragionevole siano meno rilevanti di quelli dei numerosi poli di ricerca pubblica che insistono sul territorio. Bene per il Piemonte? Certamente sì, ma sono dati del 2017 e la spinta alla sopravvivenza economica che deriva dalla ricerca e sviluppo non può mai fermarsi. Nel documento Eurostat citato, a p. 118, leggiamo che in media nell’Unione europea il contributo della ricerca e sviluppo è cresciuto di 0,35 punti dal 2007 al 2017.
Quali le regioni capofila? Nessuna italiana, purtroppo. Vediamo i valori di crescita, che sono differenze in punti di una quota, quindi chi parte da valori bassi non è sopravvalutato per l’effetto statistico dei tassi di crescita (se una regione passa da 1 a 2 a un’altra da 5 a 6 come peso della ricerca e sviluppo sul PIL, i tassi di variazione sono 100% e 20%, ma per entrambe la variazione misurata come punti della quota è 1). In testa troviamo queste aree (aree NUTS 2 per l’Europa, con NUTS che sta per nomenclatura delle unità territoriali statistiche): con crescita 2,34 Stuttgart e con 2,10 Braunschweig (entrambe in Germania), con 1,38 Steiermark (in Austria, è la Stiria), con 1,33 Karlsruhe (di nuovo in Germania) e Västsverige (in Svezia), con 1,26 Rheinhessen-Pfalz (ancora in Germania) e Oberösterreich (seconda presenza dell’Austria), con 1,08 Vlaams-Brabant (in Belgio, il Brabante fiammingo), con 1,02 Jihovýchod (nella Repubblica Ceca) e infine, decima con 0,99, Antwerpen (area di Anversa, in Belgio).
Negli anni ’80 dello scorso secolo l’area torinese e quella di Stuttgart erano paragonabili, chi scrive lavorava a stretto contatto con entrambe. Ora occorre fare di tutto per ripartire. I fondi europei, che si renderanno disponibili nei prossimi anni devono avere questa destinazione, con l’attenzione rivolta alla grande capacità manifatturiera che sta nell’intersezione tra meccanica, elettromeccanica, elettronica e informatica, dalla motoristica a infinite altre applicazioni, con l’avio e lo spazio come emblemi e con l’automazione nei tanti settori tradizionali e nuovi della regione.
Occorre anche una enorme attenzione rivolta al futuro, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che è trasversale e di traino per tutti i settori e ha anche tantissime applicazioni in campo sociosanitario e pubblico in generale. La chiave può essere avere nella nostra regione l’insediamento dell’I3A (l’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale), che opererà con collaborazioni in tutta Italia, ma può trovare a Torino e in Piemonte un terreno molto fertile, nel modo della produzione e nell’accademia.
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Quale occasione migliore per collocare la situazione della attività di ricerca e sviluppo del Piemonte in una prospettiva europea, approfondendo le condizioni di quella che è la doppia chiave di volta sia del progresso nelle tecnologie, sia della competitività? Uno strumento molto utile per queste è l’Annuario statistico regionali3 dell’Eurostat, l’equivalente europeo della nostra Istat. L’annuario Eurostat ci offre la mappa europea riportata nella Fig. 1, dove le regioni d’Europa sono rappresentate per intensità di ricerca e sviluppo e per settore prevalente nell’R&D (sigla per research and development): il colore rosso-amaranto individua le regioni in cui il contributo del settore industriale è più dell’1,5% del Prodotto Interno Lordo di quell’area. Si noti la mega area che va dal Piemonte alla Germania passando per la Svizzera.
È un segnale importantissimo, “ci siamo”! Un dubbio può venire dal declino della presenza della maggiore impresa nei mezzi di trasporto, ma per avere una grandezza di confronto, il CRF (Centro Ricerche Fiat) nel 2017, anno dei dati della mappa, fatturava 91 milioni che corrispondono a un valore aggiunto probabilmente di oltre 70, tutto di ricerca. In quell’anno il PIL del Piemonte era di 134 miliardi e la mappa indica un contributo della ricerca maggiore dell1,5%, quindi maggiore di due miliardi, grandezza che sta su un’altra scala.
Un dettaglio: leggendo la mappa: una prevalenza della Pubblica amministrazione nella ricerca, indicata dalle zone verdi, si nota nel Lazio, dove sono accentrate molte realtà di ricerca pubbliche e nella Basilicata, dove in effetti i contributi di ricerca e sviluppo privati è ragionevole siano meno rilevanti di quelli dei numerosi poli di ricerca pubblica che insistono sul territorio. Bene per il Piemonte? Certamente sì, ma sono dati del 2017 e la spinta alla sopravvivenza economica che deriva dalla ricerca e sviluppo non può mai fermarsi. Nel documento Eurostat citato, a p. 118, leggiamo che in media nell’Unione europea il contributo della ricerca e sviluppo è cresciuto di 0,35 punti dal 2007 al 2017.
Quali le regioni capofila? Nessuna italiana, purtroppo. Vediamo i valori di crescita, che sono differenze in punti di una quota, quindi chi parte da valori bassi non è sopravvalutato per l’effetto statistico dei tassi di crescita (se una regione passa da 1 a 2 a un’altra da 5 a 6 come peso della ricerca e sviluppo sul PIL, i tassi di variazione sono 100% e 20%, ma per entrambe la variazione misurata come punti della quota è 1). In testa troviamo queste aree (aree NUTS 2 per l’Europa, con NUTS che sta per nomenclatura delle unità territoriali statistiche): con crescita 2,34 Stuttgart e con 2,10 Braunschweig (entrambe in Germania), con 1,38 Steiermark (in Austria, è la Stiria), con 1,33 Karlsruhe (di nuovo in Germania) e Västsverige (in Svezia), con 1,26 Rheinhessen-Pfalz (ancora in Germania) e Oberösterreich (seconda presenza dell’Austria), con 1,08 Vlaams-Brabant (in Belgio, il Brabante fiammingo), con 1,02 Jihovýchod (nella Repubblica Ceca) e infine, decima con 0,99, Antwerpen (area di Anversa, in Belgio).
Negli anni ’80 dello scorso secolo l’area torinese e quella di Stuttgart erano paragonabili, chi scrive lavorava a stretto contatto con entrambe. Ora occorre fare di tutto per ripartire. I fondi europei, che si renderanno disponibili nei prossimi anni devono avere questa destinazione, con l’attenzione rivolta alla grande capacità manifatturiera che sta nell’intersezione tra meccanica, elettromeccanica, elettronica e informatica, dalla motoristica a infinite altre applicazioni, con l’avio e lo spazio come emblemi e con l’automazione nei tanti settori tradizionali e nuovi della regione.
Occorre anche una enorme attenzione rivolta al futuro, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che è trasversale e di traino per tutti i settori e ha anche tantissime applicazioni in campo sociosanitario e pubblico in generale. La chiave può essere avere nella nostra regione l’insediamento dell’I3A (l’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale), che opererà con collaborazioni in tutta Italia, ma può trovare a Torino e in Piemonte un terreno molto fertile, nel modo della produzione e nell’accademia.
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