Rider, una corsa alla conquista dei diritti. Dalla sentenza di Cassazione alla maxi inchiesta di Milano.
di Roberta Bertero |
| “L’inchiesta della Procura di Milano sui rider? È una battaglia che arriva da lontano e mi sembra che finalmente stia portando ai risultati sperati” commenta così le ultime novità l’avvocata torinese Giulia Druetta che da anni si impegna in una battaglia contro chi “ha fatto tabula rasa su tutti i diritti acquisiti dai lavoratori negli anni”. Una battaglia che arriva da lontano, ma per nulla scontata. Anzi. Soltanto nello scorso gennaio, l’avvocato Sergio Bonetto, veterano di cause per i diritti sul lavoro, legale dei famigliari delle vittime nei processi Eternit e ThyssenKrupp, si era espresso con malcelato pessimismo a un anno dalla sentenza favorevole della Cassazione sui rider: “è trascorso un anno, ma non è successo niente”. Bonetto, pioniere nella difesa dei rider, aveva portato le ragioni di cinque di essi davanti al Tribunale di Torino, insieme all’avvocata Druetta.
Ma a gennaio, sulla storia sembrava essersi sedimentata soltanto polvere. Nessuno però aveva messo in conto la possibilità di un effetto domino a scoppio ritardato di una sentenza a dir poco rivoluzionaria. E in pochi avevano contemplato la possibilità di una reazione a catena in altre città nel giro di poco più di un mese: a Palermo viene assunto un rider dopo la causa a Glovo, mentre a Firenze il Tribunale emette una sentenza a favore di Deliveroo. E molto si muove anche nel resto d’Europa: a Bruxelles sono partite le consultazioni della Commissione Europea sulle condizioni di lavoro dei rider, in Spagna si discute di regolamentazione ed orari e nel Regno Unito la corte Suprema si espressa a favore dei rider. Infine, l’annuncio della maxi inchiesta della Procura della Repubblica di Milano.
“Quello che ci spinge è la certezza che i diritti per i rider ci sono, e che vada combattuto questo laboratorio del capitalismo più estremo”. “L’economia del digitale si regge sulla pelle di queste persone” osserva Bonetto, che ritiene fondamentale portare alla luce il “diabolico meccanismo di queste aziende che sono capaci di ricorrere a quattro società per far lavorare le persone con contratti invisibili. Dopo la sentenza di Cassazione ci saremmo aspettati una norma di qualche genere per evitare altre 50mila cause. Non è successo”. “Le società di delivery, da Foodinho a Glovo, Uber Eats, Just Eat e Deliveroo – aggiunge Druetta – hanno continuato a fare quello che già facevano. L’Inail è ancora parca nell’esercitare i controlli e anche la stessa pressione sindacale non ha portato ai risultati che ci si attendeva. Il contratto collettivo che era stato sottoscritto da Ugl con Assodelivery in realtà aveva ottenuto addirittura una riduzione dei compensi dei rider”.
A Milano è stato acquisito per le indagini l’elenco completo dei fattorini impiegati per le consegne dal 2017 al 2020 con le informazioni sulla tipologia contrattuale con la durata del rapporto e delle retribuzioni. Sono oltre 60 mila i rider che hanno lavorato dal 1° gennaio 2017 al 31 ottobre 2020 cui ora spetta il recupero delle somme contributive e dei premi assicurativi. “È emerso in maniera inequivoca che il rider non è affatto un lavoratore occasionale, che svolge una prestazione in autonomia e a titolo accessorio. Al contrario, è a pieno titolo inserito nell’organizzazione d’impresa operando all’interno del ciclo produttivo del committente che coordina la sua attività lavorativa a distanza, attraverso una app” si legge nel comunicato della Procura. Coordina, o meglio controlla. La famosa “autonomia” del lavoro nei fatti non esiste perché a determinate scelte corrisponde l’acquisizione o meno di un punteggio che va a determinare la continuità del rapporto di lavoro. “Questo sistema costringe di fatto il rider ad accettare tutti gli ordini (un rifiuto comporta il declassamento).
Non lavorare in alcuni giorni e in alcune fasce orarie porta normalmente a una retrocessione e quindi a sempre minori opportunità di lavoro in futuro” continua la Procura. In sostanza, diventa fondamentale esserci sempre, anche in caso di malattia e infortunio, pena la perdita di fatto del lavoro. Così, in tanti arrivano a “subappaltare” l’attività ad altri per mantenere alto il ranking. Vengono assunte tantissime persone e quelle meno produttive finiscono fuori dal sistema. “Non esiste un licenziamento, vieni semplicemente escluso” spiega Bonetto. Una specie di “The Circle” mi verrebbe da dire, dove se fai più punti conti e dove sei vigilato, controllato e premiato o punito. Dove se ti fai male – e farsi male è decisamente possibile, se non estremamente facile, se devi correre con un grande cassone sulle spalle, senza dispositivi di sicurezza, con bici decisamente non di ultima generazione nella maggior parte dei casi – paghi due volte. In salute e con la perdita del lavoro.
Non è la prima volta che nel nostro Paese le battaglie di diritto avvengono a colpi di sentenze, con cui la magistratura copre vuoti legislativi, cioè l’assenza della politica. Quella stessa che nel 1970 ha legiferato lo Statuto dei Lavoratori. Altri tempi, ma stessi diritti. E la fase storica che stiamo vivendo, quella pandemica, ha reso evidente nuove forme di lavoro: oggi rider, ma domani dovranno essere, per questioni analoghe gli shopper, coloro che fanno la spesa al nostro posto al supermercato. Una nuova categoria di lavoratori. Lavoratori, appunto. E, ancor prima, persone, non schiavi.
Posted on: 2021/02/25, by : admin
Ma a gennaio, sulla storia sembrava essersi sedimentata soltanto polvere. Nessuno però aveva messo in conto la possibilità di un effetto domino a scoppio ritardato di una sentenza a dir poco rivoluzionaria. E in pochi avevano contemplato la possibilità di una reazione a catena in altre città nel giro di poco più di un mese: a Palermo viene assunto un rider dopo la causa a Glovo, mentre a Firenze il Tribunale emette una sentenza a favore di Deliveroo. E molto si muove anche nel resto d’Europa: a Bruxelles sono partite le consultazioni della Commissione Europea sulle condizioni di lavoro dei rider, in Spagna si discute di regolamentazione ed orari e nel Regno Unito la corte Suprema si espressa a favore dei rider. Infine, l’annuncio della maxi inchiesta della Procura della Repubblica di Milano.
“Quello che ci spinge è la certezza che i diritti per i rider ci sono, e che vada combattuto questo laboratorio del capitalismo più estremo”. “L’economia del digitale si regge sulla pelle di queste persone” osserva Bonetto, che ritiene fondamentale portare alla luce il “diabolico meccanismo di queste aziende che sono capaci di ricorrere a quattro società per far lavorare le persone con contratti invisibili. Dopo la sentenza di Cassazione ci saremmo aspettati una norma di qualche genere per evitare altre 50mila cause. Non è successo”. “Le società di delivery, da Foodinho a Glovo, Uber Eats, Just Eat e Deliveroo – aggiunge Druetta – hanno continuato a fare quello che già facevano. L’Inail è ancora parca nell’esercitare i controlli e anche la stessa pressione sindacale non ha portato ai risultati che ci si attendeva. Il contratto collettivo che era stato sottoscritto da Ugl con Assodelivery in realtà aveva ottenuto addirittura una riduzione dei compensi dei rider”.
A Milano è stato acquisito per le indagini l’elenco completo dei fattorini impiegati per le consegne dal 2017 al 2020 con le informazioni sulla tipologia contrattuale con la durata del rapporto e delle retribuzioni. Sono oltre 60 mila i rider che hanno lavorato dal 1° gennaio 2017 al 31 ottobre 2020 cui ora spetta il recupero delle somme contributive e dei premi assicurativi. “È emerso in maniera inequivoca che il rider non è affatto un lavoratore occasionale, che svolge una prestazione in autonomia e a titolo accessorio. Al contrario, è a pieno titolo inserito nell’organizzazione d’impresa operando all’interno del ciclo produttivo del committente che coordina la sua attività lavorativa a distanza, attraverso una app” si legge nel comunicato della Procura. Coordina, o meglio controlla. La famosa “autonomia” del lavoro nei fatti non esiste perché a determinate scelte corrisponde l’acquisizione o meno di un punteggio che va a determinare la continuità del rapporto di lavoro. “Questo sistema costringe di fatto il rider ad accettare tutti gli ordini (un rifiuto comporta il declassamento).
Non lavorare in alcuni giorni e in alcune fasce orarie porta normalmente a una retrocessione e quindi a sempre minori opportunità di lavoro in futuro” continua la Procura. In sostanza, diventa fondamentale esserci sempre, anche in caso di malattia e infortunio, pena la perdita di fatto del lavoro. Così, in tanti arrivano a “subappaltare” l’attività ad altri per mantenere alto il ranking. Vengono assunte tantissime persone e quelle meno produttive finiscono fuori dal sistema. “Non esiste un licenziamento, vieni semplicemente escluso” spiega Bonetto. Una specie di “The Circle” mi verrebbe da dire, dove se fai più punti conti e dove sei vigilato, controllato e premiato o punito. Dove se ti fai male – e farsi male è decisamente possibile, se non estremamente facile, se devi correre con un grande cassone sulle spalle, senza dispositivi di sicurezza, con bici decisamente non di ultima generazione nella maggior parte dei casi – paghi due volte. In salute e con la perdita del lavoro.
Non è la prima volta che nel nostro Paese le battaglie di diritto avvengono a colpi di sentenze, con cui la magistratura copre vuoti legislativi, cioè l’assenza della politica. Quella stessa che nel 1970 ha legiferato lo Statuto dei Lavoratori. Altri tempi, ma stessi diritti. E la fase storica che stiamo vivendo, quella pandemica, ha reso evidente nuove forme di lavoro: oggi rider, ma domani dovranno essere, per questioni analoghe gli shopper, coloro che fanno la spesa al nostro posto al supermercato. Una nuova categoria di lavoratori. Lavoratori, appunto. E, ancor prima, persone, non schiavi.
Posted on: 2021/02/25, by : admin