Rogo Thyssen, per i responsabili si apre il carcere

di Eugenio Giudice |

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Ricordatevi del periodo di clausura, il non poter uscire di casa pur se in buona salute, le belle giornate lasciate scorrere attraverso le finestre come uno schermo, il senso di costrizione invisibile e di solitudine. Poi, per farla breve, togliete il telefono, il computer e moltiplicate questo senso di soffocamento per 100 e forse avrete un’idea della prigione vera per chi ha vissuto fino a ieri una vita ricca di soddisfazioni economiche e sociali come può essere un manager di alto livello. Certo lo erano Erald Espenhahn e Gerald Priegnitz vertici della Thyssenkrupp in Italia al tempo del disastro nella notte tra il 5 e 6 dicembre del 2007, il più grave in un’azienda italiana dal dopoguerra, dove perirono in nodo brutale sette operai della acciaieria torinese. Il più anziano Rocco Marzo aveva 54 anni, i più giovani Bruno Santino Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi, ne avevano 26, Antonio Schiavone, 36 anni, Roberto Scola, 32 anni, Angelo Laurino, 43 anni. Schiavone morì all’istante, investito da un’ondata di olio bollente. Gli altri calarono per giorni e settimane nel buio di una crudele agonia che continua a non dare tregua alle loro famiglie.

Un fatto storico che segna un importante precedente

La privazione della libertà personale è sempre una sanzione pesantissima, e lo stesso pubblico ministero Raffaele Guariniello che chiese per loro una condanna esemplare, oltre 16 anni per l’ex Ad Espenhahn e oltre 13 anni per Priegnitz, membro del comitato esecutivo dell’azienda, ne parla con sofferenza. Ecco perché, al di là di quanto è accaduto in questi anni, dall’indebolimento dell’impianto accusatorio all’ipotesi del dolo eventuale degradata a colpa cosciente, dal progressivo affievolimento delle pene (meno di 10 anni per Espenhahn e poco più di 6 per Priegnitz) alla fuga dei due in Germania, che ha consentito loro fino ad ora di evitare la cella e di spuntare un altro sconto (massimo cinque anni da scontare nel loro paese come prevede il diritto tedesco per quei reati), l’imminente carcerazione dei due manager – dovrebbe essere questione di ore – è comunque un fatto di giustizia e un fatto storico.

Una svolta per la giustizia, ora il pensiero corre alle vittime dell’Eternit

Un fatto di giustizia, perché la pena non è comunque simbolica e inciderà pesantemente nella carne e nella psiche dei due manager, entrambi 56enni. Storico perché semplicemente non era mai successo che per un incidente sul lavoro si facessero risalire le responsabilità e si applicassero le sanzioni tanto in alto. Basti pensare alla Eternit. Dove, malgrado le migliaia di morti a causa dell’inalazione di fibre d’amianto, provocate dalle lavorazioni della fabbrica svizzera per decenni fino alla metà degli anni Ottanta, e le decine di decessi a settimana che ancora si contano attorno a Casale Monferrato dove c’era lo stabilimento più importante, il processo è lontano dall’essere completato. L’esecuzione della pena per i vertici Thyssen segna una svolta. Che si spera possa essere isolata, non a causa delle serpentine giuridiche cui siamo stati abituati in molti grandi processi, ma perché a livello di organizzazione del lavoro quanto è capitato in quelle fabbriche deve essere di insegnamento, così come la pena che con la sua applicazione torna a svolgere pienamente la sua funzione deterrente. In una fase in cui la discussione sulla introduzione dello scudo penale nelle aziende può aprire varchi pericolosi, non è poco.




Posted on: 2020/06/16, by :