Se n’è andato Giusi La Ganga, il verbo del Psi a Torino
di Mauro Nebiolo Vietti|
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| Giusi La Ganga, 72 anni, si è spento ieri. Sul finire dello scorso anno, era stato colpito da un ictus. La sua morte ha riportato in controluce anni intensi della vita politica italiana e torinese, l’esperienza della I Repubblica e dei suoi partiti travolta dall’inchiesta di Mani Pulite, aperta dalla Procura della Repubblica di Milano nel febbraio del 1992. Socialista craxiano, responsabile degli Enti locali per il partito, Giusi La Ganga, parlamentare per quattro legislature, ha incarnato per quasi tre lustri il simbolo del potere politico, da cui passare per discutere gli assetti delle giunte amministrative, in cui il Psi era l’ago della bilancia, a sinistra alleato del Partito comunista, al centro con la Democrazia cristiana e i partiti laici, Psdi, Pri, Pli, sigle che oramai fanno parte della bacheca delle anticaglie. Ma non solo. Persona di grande intelligenza e cultura, a lungo in bilico se percorrere una carriera universitaria o diventare un totus politicus, confidente di Bettino Craxi (che alle elezioni del 1992 non esitò però a contrapporgli in lista, la sua lista…, l’allora presidente del Torino Calcio Borsano), con il quale condivideva anche un fisico maiuscolo che contribuiva a rafforzarne l’immagine decisionista, dotato di una voce quasi baritonale che precedeva il suo prestigio politico, Giusi La Ganga è stato a lungo un personaggio che contava a Torino e in Italia. Eccome se contava. La sua parola vidimava incarichi nei Consigli di amministrazione di banche, enti pubblici, posti Rai, fino a quelli di terza, quarta fila assegnati nel sottobosco della politica, pur sempre graditi a chi aveva come unica qualità quella di raccogliere voti per il partito. Mani Pulite distrusse quel mondo e lo stesso La Ganga. Condannato per tangenti, seppe uscire dalla politica con grande dignità e risarcì lo Stato con 500 milioni di lire. Mauro Nebiolo Vietti, suo compagno di partito negli anni Sessanta, ne ha tracciato un ricordo.
Ciao Giusi, ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta? Eravamo entrambi studenti, io arrivavo al partito dalla politica universitaria ed avevo aderito al gruppo socialdemocratico. Al congresso giovanile ottenni la maggioranza relativa, ma tu riuscisti a coalizzare moderati ed estremisti (persino Mottura che stava con un piede fuori, non ti sopportava e qualche tempo dopo se ne andò con altri fondando il PSIUP) concentrando su di te i voti per essere eletto segretario provinciale della giovanile.Poi io me ne andai con la scissione che ricostituì il PSDI e tu perdesti il capo dell’opposizione. Comunque i nostri rapporti rimasero cordiali, ma dopo la laurea prendemmo strade diverse, tu ti dedicasti a tempo pieno alla politica ed io alla carriera forense, ma ogni tanto ci incrociavamo o per ragioni amicali o per motivi politici dato che, pur in via decisamente ridotta, continuavo la mia attività nel PSDI.
Le conversazioni con te erano double face: se si parlava di politica eri fantastico, le idee volavano alto, le analisi erano sempre azzeccate e la capacità di coinvolgere l’interlocutore era innegabile. All’opposto, quando la conversazione si spostava su un tema non di interesse generale, ma spicciolo, tu tacevi e, imparando a conoscerti, si capiva che non lo facevi per rispetto dell’interlocutore, ma perché non sapevi cosa dire. Avresti potuto parlare con competenza degli errori di prospettiva dei laburisti e del perché Thachter riusciva a prevalere, ma non spiaccicavi parola se qualcuno parlava dei problemi dei suoi figli o di un viaggio che gli era particolarmente piaciuto. Eri un leader, ma un leader che non percepiva le piccole cose tramite i suoi amici perché non avevi amici, ma solo conoscenti, alleati ed amanti del potere riflesso provocato dalla frequentazione di chi il potere lo esercita effettivamente.
Come tutti i leader eri fortemente motivato dai valori di cui volevi essere portatore, ma la necessità di conservare il potere acquisito, e come te quasi tutti gli altri, ti ha spinto a compromessi che la bufera del 1993 ha fatto emergere spazzando via la classe politica dirigente (rectius, quella che alcuni elementi della Procura della Repubblica avevano inteso spazzare via). Così è stata la tua solitudine ad impedirti di prendere coscienza che quelli come noi non erano più tollerati e che il nuovo corso escludeva, a prescindere, chiunque avesse ricoperto incarichi di responsabilità nel passato. Siamo stati in tanti a chiederti di rinunziare alla ricerca di un nuovo ruolo politico e la tua ostinazione malgrado l’evidente ostilità che ti circondava ha fatto ancora di più emergere la tua noncuranza per tutto ciò che era estraneo ad una logica politica. Dal 1993 hai vissuto ai margini di un meccanismo che un tempo hai dominato, ma se qualcuno voleva approfondire lo scenario, tu eri ancora il migliore.
Posted on: 2020/10/24, by : admin