Sepulveda, l’uomo che rese più belli i sogni: un anno senza un grande sognatore

di Maurizio Jacopo Lami|

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“Si racconta che, nelle notti di luna piena, dalla costa occidentale della disabitata Isola Mocha si vede emergere dagli abissi un enorme capodoglio bianco, dello stesso colore della luna. Sì, si raccontano molte storie nel Sud del Mondo” (Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa)

In giorni difficili e complicati questi questi, mentre siamo costretti a rallentare ogni attività, ad aspettare che i vaccini o qualche altro fattore riesca finalmente a farci superare la pandemia, abbiamo almeno un piccolo vantaggio: abbiamo rivalutato il sapore di affrontare le cose con lentezza, l’importanza del saper aspettare. E la mente torna subito al grande Luis Sepulveda, scomparso proprio un anno fa per Coronavirus, alla sua capacità di saper dare profondità ai sogni. Come dimenticare la sua incantevole “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” con il piccolo animale che voleva scoprire i perché della vita e non rassegnarsi all’apatia, ma nello stesso tempo sapeva accettare i ritmo lenti che ci impongono gli ostacoli?

Scriveva il grande autore cileno: “Tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato, amaro e dolce,pioggia e sole, freddo e notte, è dentro di te, e pesa, ed essendo così piccola quel peso ti rende lenta.” È grande la tentazione di vedere in queste parole anche una profezia su come il Coronavirus avrebbe bloccato tutto, anche i ritmi imposti dalle multinazionali (un punto fisso nel pensiero di Sepulveda) e obbligato tutti a riflettere sul senso dell’agitarsi tanto.

Manca davvero Sepulveda a un anno della sua morte, perché ci si chiede che capolavoro avrebbe composto per raccontarci questo incredibile momento in cui il mondo intero ha trattenuto il fiato, una situazione da romanzo, appunto. L’uomo, davvero uno scrittore nell’animo, raccontava volentieri, (e infatti lo avevo sentito narrare proprio così una volta al Salone del Libro) che “quando ero nelle prigioni di Pinochet (il dittatore cileno che prese il potere con il colpo di Stato dell’11 settembre nel 1973, nda), mentre sentivo le urla dei torturati a poche stanze da me per non cedere allo sconforto pensavo alle frasi belle che avrei scritto nei miei prossimi libri”.

Spiegava che per lui la scrittura era la vita stessa perché gli dava la certezza di essere vivo, di non arrendersi al flusso malvagio degli eventi. E aggiungeva quasi sempre che il crollo del comunismo per lui era stato davvero una durissima prova, ma che nello stesso tempo non lo aveva mai considerato “la fine della Storia”. Ammetteva che il comunismo aveva fallito e che lui aveva sì accettato l’idea di dover cambiare prospettive per il futuro, ma non quella di “rinunciare a sognare un mondo diverso”. E concludeva: “… L’ultima rivoluzione rimasta in sospeso è quella dell’immaginario: dobbiamo essere capaci di immaginare in quale mondo e società vogliamo vivere, e se vogliano essere cittadini o consumatori”.

Nei suoi libri che hanno meritatamente incantato tanti ragazzi, esprimeva benissimo la voglia di incantarsi e di incantare, quella di cercare ovunque del mare e dell’orizzonte che non finisce mai, regalando sempre il sogno di nuove mete, di viaggi infiniti. Per Sepulveda quello che contava era il non accettare mai i vincoli apparenti, ma spingersi sempre oltre. Vengono in mente le parole della sua “Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico” che sono degne di una favola di Esopo tanto sanno di sentenza definitiva: “… Nessun uccello vola appena nato, ma arriva il momento in cui il richiamo dell’aria è più forte della paura di cadere e allora la vita gli insegna a spiegare le ali”.




Posted on: 2021/04/16, by :