Shanghai e Stoccolma allo specchio, ma la pandemia non è fuori gioco

di Giuseppina Viberti
e Germana Zollesi |

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Le semplificazioni non rispecchiano la realtà, ma aiutano a capirla e così il rigidismo cinese e il laissez-faire svedese sono diventate le icone di come si affronta la pandemia. Del resto, i morti di Shanghai testimoniano che il virus non è stato debellato. Anzi, richiede maggiore attenzione e nessun isterismo. Ieri, giorno di Pasquetta, il contagio ha superato il 17 per e non vi è ancora l’effetto degli assembramenti delle festività.

Risulta quanto mai complesso stilare una classifica dei Paesi più colpiti e verificare l’efficacia delle singole politiche. Se si osservano i casi accertati il Paese più colpito risultano essere gli Stati Uniti con più di 40 milioni di infettati e oltre 700.000 decessi. Mentre i più virtuosi sono quelli su cui sono evidenti le lacune nella rilevazione dei dati (o la trasparenza con cui questi vengono pubblicati).

La situazione in Cina

I tre morti ultraottantenni di Shangai (il più grande porto al mondo per volume di affari), positivi al coronavirus, erano affetti da pluripatologie (diabete, ipertensione, cardiopatie): sono i primi da quando a marzo le autorità hanno dichiarato un nuovo lockdown, causa il diffondersi della variante Omicron. Anche se i tre soggetti presentavano comorbilità e non erano vaccinati, il segnale è preoccupante perché la Cina è stato il Paese che ha applicato con maggiore rigidità le misure di contenimento della pandemia. I dati a disposizione delle autorità di Shanghai (sulla cui trasparenza ed esplicitazione si nutre sempre qualche dubbio), impongono nuovi provvedimenti: dal condurre una serie di tamponi in massa al prolungare il lockdown almeno di un’altra settimana; dal community manager che coordina l’attività dei cittadini, alle restrizioni che stanno generando non poche proteste in quanto anche il dirigismo cinese non offre garanzie.

È difficile pensare ad un sistema più incisivo di quello che prevede un community manager “addetto” alla gestione di una comunità, con il compito di progettarne le attività, ma prima ancora la struttura e il coordinamento sociale, in un contesto dove le informazioni sono filtrate in modo che alla popolazione pervengano solo quello che si ritiene opportuno. Nonostante queste misure la pandemia continua e desta preoccupazioni.

La situazione in Svezia

Con oltre un milione e centocinquantadue mila casi confermati pari all’11,52% della popolazione e lo 0,15 di decessi, la Svezia si colloca nella media dei Paesi, meglio della Gran Bretagna che presenta una percentuale di casi di infetti confermati sulla popolazione pari al 12,25%, mentre i morti sono stati lo 0,18% e sostanzialmente in linea con i dati francesi dove i casi sono stati 11,11% con lo 0,18% di decessi. La Svezia si è contraddistinta per non aver applicato misure draconiane (niente mascherine, scuole aperte, solo raccomandazioni e misure volontarie, ma niente multe) per non ostacolare il normale andamento dell’economia. Le scelte operate in Svezia sono però state oggetto di agguerrite discussioni fino a definire “un fallimento” le scelte operate dall’Agenzia di Sanità Pubblica.

Indubbiamente il senso civico svedese (folkvett) ha un peso proverbiale e gran parte della popolazione lo ha rapidamente assimilato: chi poteva ha lavorato da casa; il distanziamento fisico di due metri è stato rispettato, altrettanto le indicazioni igienico-sanitarie; si sono evitati viaggi non indispensabili; i confini e le scuole per i minori di 16 anni sono rimasti aperti, al pari di negozi e aziende, compresi ristoranti e bar. Un dato eclatante ha però fatto dubitare dell’efficienza delle decisioni assunte: “un tasso di mortalità che nel 2020 è stato 10 volte superiore rispetto alla vicina Norvegia”.

Nell’altra metà della penisola scandinava la percentuale delle persone infettate è stata del 3,56 % e dei morti pari allo 0,015%. In particolare, si accusa l’Agenzia della Salute Pubblica di aver negato o declassato il fatto che i bambini potessero essere infettivi permettendo la diffusione dell’infezione tra la popolazione. A ciò si aggiunge che la Svezia era penultima in Europa (seguita solo dal Portogallo) per posti di terapia intensiva: 5,8 posti letto su 100,000 abitanti alla vigilia della pandemia (l’Italia ne aveva 12,5 unità per ogni 100.000 abitanti: più del doppio della Svezia).

Accettare la malattia o cercare una soluzione covid-free?

Purtroppo la virulenza del virus non permette di definire la politica vincente, ma entrambe le soluzioni presentano delle lacune che devono essere integrate da un’infinità di variabili non sempre di facile decifrazione, ma dalla loro analisi e dal paziente lavoro di chi non si limita a cercare facile notorietà, potranno nascere soluzioni efficaci ed esaustive. A due anni di distanza dall’inizio dell’epidemia, le modalità di rilevazione dei dati nonostante gli sforzi operati dall’OMS, appaiono ancora discordanti, portando così a formulare ipotesi contraddittorie.

La capacità di contagio della variante Omicron è altissima, ma i soggetti vaccinati con tre dosi hanno manifestazioni cliniche molto contenute simil-influenzali; i soggetti fragili e gli anziani over 80 sono stati invitati a fare una quarta dose “di rinforzo” senza un gran riscontro. I cittadini hanno voglia di normalità e hanno inteso la fine dello stato di emergenza, come la fine della pandemia. Oggi la discussione è centrata sull’utilizzo della mascherina al chiuso che dovrebbe proseguire soprattutto in presenza di assembramenti delle festività pasquali che si sono verificati ovunque, come hanno documentato i media.

Allora la domanda che i decisori politici dovrebbero farsi è proprio quella di accettare la malattia e far circolare il virus (tanto è talmente contagioso che non c’è poco da fare) oppure applicare regole durissime come sta facendo la Cina per cercare una soluzione covid-free che non sta arrivando? Tutto ciò in attesa dell’autunno con un nuovo vaccino che le industrie farmaceutiche stanno preparando. I governi europei dovrebbero dare informazioni ai cittadini per avere credibilità e non lasciare il dibattito in mano a soggetti che, succubi della popolarità derivante, affermano idee spesso contrastanti fra loro, ma prive di reale sostegno scientifico.

L’opacità delle informazioni rende i cittadini sfiduciati e, quando la campagna vaccinale dovrà ricominciare, le Regioni saranno come sempre in affanno, generando un pericoloso circolo vizioso. Ciò non toglie che la validità di alcune misure di prevenzione sia ampiamente assodata e da mantenere.




Posted on: 2022/04/19, by :