“Siamo tutti fratelli”: i profeti di pace della Chiesa
Papa Francesco come Giovanni XXIII
di Luca Rolandi |
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Tutti fratelli o fratelli tutti? E le sorelle? Interrogativi semplici, anche banali, per parlare della terza Enciclica di Papa Francesco appena pubblicata, nella suggestiva e significativa terra di Assisi, un nuovo importante sigillo del pontificato del gesuita argentino. Il Papa esce con questo nuovo documento mentre in Vaticano la bufera degli scandali continua a riservare colpi di scena e rileva alcuni comportamenti bassi, eticamente riprovevoli e fuori da ogni contesto evangelico. Ma la Chiesa fatta di uomini da sempre presenta il bene e il male anche nei suoi vertici delle gerarchie, conosce anche il segno grande della misericordia e della umiltà di milioni di fedeli, religiosi e laici, che troveranno nelle parole di Bergoglio il senso della fraternità, troppo poco presente nelle pieghe della nostra contemporaneità.
Gli avversari del Papa, veri e propri nemici dichiarati ad intra e ad extra, non hanno atteso un istante per scagliarsi contro una Enciclica a loro dire deista, troppo irenica e umana, con una dolcezza verso il mondo e le altre espressioni religiose non cristiane addirittura quasi fuori dalla dottrina. “Fratelli tutti” – lo dichiara lo stesso Francesco – è anche il frutto delle meditazioni del tempo della pandemia, che hanno mostrato un mondo interconnesso e al contempo lacerato da violenza, indifferenza all’altro e competizione: un mondo chiuso (c. I). Dinanzi a esso il pontefice rimanda a un riferimento evangelico carico di valenza etico-teologica, come la parabola del buon samaritano (c. II): là egli coglie l’icona di un rapporto con l’alterità da non essere vissuta come minaccia o nel segno della distanza indifferente, ma che si carica di positiva passione e di cura. Non a caso egli rimanda al testo di “Gaudium et spes”, n. 24, alla ricerca di quell’antropologia relazionale che i Padri conciliari attingevano da una lettura sapiente del Vangelo: non nel ripiegamento su di sé, bensì è nel rapporto vivo con l’alterità che l’essere umano ritrova sé stesso, in una pratica di dono e di servizio.
“Fratelli tutti” sistematizza il pensiero che Papa Francesco è andato elaborando e diffondendo in questi sette anni di pontificato, per portarlo a sistema in maniera approfondita. Come ha saggiamente rilevato Stefano Zamagni, parla sempre di fraternità, e non di fratellanza: si tratta di una precisazione necessaria, perché la fratellanza è un concetto tipico dell’Illuminismo, che la concepisce come qualcosa che viene dal basso, cioè è esigenza della specie umana, di vincoli di sangue o di un’etnia. La fraternità, invece, viene dall’alto, è il riconoscimento della paternità di Dio: siamo fratelli in quanto figli di un unico padre. Mentre la fratellanza, inoltre, è basata, per il suo funzionamento, sull’idea di mutuo aiuto, la fraternità poggia sulla reciprocità, che è un dare senza perdere, un prendere senza togliere.
Per il cristiano questo è importante: c’è reciprocità tra Dio e l’uomo, non scambio e neanche comando, e la libertà è assicurata: la salvezza cristiana viene offerta come dono, ma tocca a noi accoglierla o meno. È offerta e non imposta, ma se non l’accogliamo non ci salviamo. Ma davvero siamo tutti fratelli. Certo il Vangelo di Gesù, il messaggio di salvezza del cristianesimo lo pone come base e orizzonte escatologico, ma Papa Bergoglio si sforza di capire se già su questa terra l’umanità tenderà a costruire una fraternità più vera e necessaria per la salvezza e il futuro del mondo. A questo proposito la carica profetica di “Fratelli tutti” ha delle analogie, pur contestualizzando temporalmente le diverse epoche, alla “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII. Come ricorda il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, Francesco lancia il sogno di una rinnovata fraternità tra i popoli e le persone: fraternità religiosa, politica, economica, sociale. Un sogno analogo a quello di Martin Luther King, il cui nome è citato alla fine accanto a quello di san Francesco, Gandhi, Desmond Tutu, Charles de Foucauld: “I have a dream”, così come Roncalli aveva fatto negli anni della Guerra Fredda e del pericolo dell’apocalisse nucleare. “Un maestro inatteso” come suggerì Madeleine Delbrèl, maestro non già di politica, di strategia, di scienza umana, ma come scrisse lo stesso Giovanni XIII “maestro di misericordia e di verità”.1
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Gli avversari del Papa, veri e propri nemici dichiarati ad intra e ad extra, non hanno atteso un istante per scagliarsi contro una Enciclica a loro dire deista, troppo irenica e umana, con una dolcezza verso il mondo e le altre espressioni religiose non cristiane addirittura quasi fuori dalla dottrina. “Fratelli tutti” – lo dichiara lo stesso Francesco – è anche il frutto delle meditazioni del tempo della pandemia, che hanno mostrato un mondo interconnesso e al contempo lacerato da violenza, indifferenza all’altro e competizione: un mondo chiuso (c. I). Dinanzi a esso il pontefice rimanda a un riferimento evangelico carico di valenza etico-teologica, come la parabola del buon samaritano (c. II): là egli coglie l’icona di un rapporto con l’alterità da non essere vissuta come minaccia o nel segno della distanza indifferente, ma che si carica di positiva passione e di cura. Non a caso egli rimanda al testo di “Gaudium et spes”, n. 24, alla ricerca di quell’antropologia relazionale che i Padri conciliari attingevano da una lettura sapiente del Vangelo: non nel ripiegamento su di sé, bensì è nel rapporto vivo con l’alterità che l’essere umano ritrova sé stesso, in una pratica di dono e di servizio.
“Fratelli tutti” sistematizza il pensiero che Papa Francesco è andato elaborando e diffondendo in questi sette anni di pontificato, per portarlo a sistema in maniera approfondita. Come ha saggiamente rilevato Stefano Zamagni, parla sempre di fraternità, e non di fratellanza: si tratta di una precisazione necessaria, perché la fratellanza è un concetto tipico dell’Illuminismo, che la concepisce come qualcosa che viene dal basso, cioè è esigenza della specie umana, di vincoli di sangue o di un’etnia. La fraternità, invece, viene dall’alto, è il riconoscimento della paternità di Dio: siamo fratelli in quanto figli di un unico padre. Mentre la fratellanza, inoltre, è basata, per il suo funzionamento, sull’idea di mutuo aiuto, la fraternità poggia sulla reciprocità, che è un dare senza perdere, un prendere senza togliere.
Per il cristiano questo è importante: c’è reciprocità tra Dio e l’uomo, non scambio e neanche comando, e la libertà è assicurata: la salvezza cristiana viene offerta come dono, ma tocca a noi accoglierla o meno. È offerta e non imposta, ma se non l’accogliamo non ci salviamo. Ma davvero siamo tutti fratelli. Certo il Vangelo di Gesù, il messaggio di salvezza del cristianesimo lo pone come base e orizzonte escatologico, ma Papa Bergoglio si sforza di capire se già su questa terra l’umanità tenderà a costruire una fraternità più vera e necessaria per la salvezza e il futuro del mondo. A questo proposito la carica profetica di “Fratelli tutti” ha delle analogie, pur contestualizzando temporalmente le diverse epoche, alla “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII. Come ricorda il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, Francesco lancia il sogno di una rinnovata fraternità tra i popoli e le persone: fraternità religiosa, politica, economica, sociale. Un sogno analogo a quello di Martin Luther King, il cui nome è citato alla fine accanto a quello di san Francesco, Gandhi, Desmond Tutu, Charles de Foucauld: “I have a dream”, così come Roncalli aveva fatto negli anni della Guerra Fredda e del pericolo dell’apocalisse nucleare. “Un maestro inatteso” come suggerì Madeleine Delbrèl, maestro non già di politica, di strategia, di scienza umana, ma come scrisse lo stesso Giovanni XIII “maestro di misericordia e di verità”.1
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1Cfr. La Voce del Popolo, Papa Giovanni XXIII, il mastro inatteso, 20 aprile 2014
Posted on: 2020/10/14, by : admin
Posted on: 2020/10/14, by : admin