Spingiamo le locomotive dell’economia
i vagoni si agganceranno in corsa

di Giuseppe Scalenghe|

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Il tessuto produttivo italiano è costituito per oltre il 90 per cento (scrivo 90 per evitare di disquisire se si tratti del 95 o 99 per cento) da piccole imprese. Oltre il 90 per cento (ed anche qui utilizzo un valore indicativo) di queste piccole imprese è costituito da imprese che non hanno un prodotto proprio e nella maggior parte dei casi effettuano lavorazioni o servizi per conto terzi. Sono le aziende che, con un’immagine di tipo ferroviario, possiamo definire “vagoni”. Questi “vagoni” in Italia sono molti, anzi moltissimi, ma non vanno da nessuna parte se non sono trainati da “locomotive” che sono invece le aziende medie, medio-grandi e grandi che hanno un prodotto finito vendibile sia sul mercato interno che all’estero, producendo il quale, fanno ricadere lavoro sulle piccole imprese (vagoni) che per loro (locomotive) costruiscono componenti od effettuano appunto lavorazioni o servizi. È quindi necessario fare in modo che le locomotive rimangano a produrre sul territorio italiano e non delocalizzino, altrimenti moltissimi “vagoni” resteranno fermi e l’economia italiana ne risentirà un drammatico riflesso.

Si attendono risposte convincenti dagli Stati generali dell’economia

All’avvicinarsi del summit sull’economia di sabato prossimo a Roma voluto dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, mi pare quanto mai opportuno ritornare su alcuni principi base che il Paese ha dato l’impressione di trascurare, se non addirittura di dimenticare in questi mesi convulsi di pandemia. E a maggiore ragione se ne dovrà parlare nei lavori degli Stati generali dell’economia. Lavori che dovranno riposizionare al centro del confronto il nostro manifatturiero, un settore, è ormai chiaro a tutti, che crea occupazione diretta ed indiretta, crea reddito e distribuisce reddito con il quale si alimenta il commercio, i servizi, ecc. Ne consegue che oltre a creare le condizioni perché non delocalizzino le “locomotive” del nostro territorio, sarebbe auspicabile creare anche le condizioni per attirare “locomotive” dall’estero; a questo scopo sarebbero di grande utilità:

1) Meno burocrazia, figlia di una legislazione troppo complessa e che avrebbe come conseguenza anche una riduzione della corruzione;
2) Una giustizia civile che funzioni;
3) Una fiscalità meno oppressiva;
4) La certezza dei pagamenti;
5) La stabilità delle leggi.

Concentrare una parte cospicua delle risorse sulle medio-grandi imprese

È giusto in questo momento curare e risolvere le emergenze che le piccole imprese italiane hanno, ma se in parallelo non curiamo lo sviluppo delle medio-grandi imprese continueremo solo e sempre ad agire sul piano emergenziale senza mai risolvere un problema di “traino” che si aggraverà fino ad esserci fatale. Se invece si avranno più “locomotive” a disposizione, queste automaticamente traineranno anche l’economia dei “vagoni”. Il che diventa anche una semplificazione del problema; perché mentre i “vagoni” sono tantissimi le “locomotive” sono in numero più limitato ed è quindi più agevole operare su di esse. Poiché le risorse economiche disponibili sono poche, sarebbe opportuno indirizzarne solo una parte, per esempio il 30 per cento, nella gestione delle emergenze, mentre l’altro 70 per cento andrebbe investito nel creare condizioni favorevoli per non far delocalizzare le “locomotive” già presenti sul territorio e per attrarre nuove “locomotive” dall’estero.

L’esigenza di un piano industriale per il Paese

Adattando questo ragionamento all’attuale situazione in cui, passata la fase acuta del Covid-19 con il relativo lockdown, si sta cercando di far ripartire l’economia, è evidente che i provvedimenti “a pioggia” hanno un limite intrinseco se non cadono su quelle “locomotive” che oggi più di altre nel nostro Paese fanno sistema e sono in grado di irradiare ricchezza e benefici effetti di trascinamento. Si tratta, quindi, oggi come nel passato, di scegliere su che cosa investire, di saper indirizzare sui quei settori trainanti per tradizione e conoscenza della nostra industria, in altri termini di “privilegiare” i settori trainanti. Impresa difficile che necessariamente deve discriminare, ma questo è il compito della politica se vuole assicurare al Paese, e dunque nell’interesse generale, un futuro. Si potrà obiettare che sono parole retoriche. Allora, c’è un unico modo per sottrarsi a quel rischio: dotare l’Italia di uno strumento da decenni abbandonato: un piano industriale.




Posted on: 2020/06/11, by :