Storia della sanità, capitolo XIX:
Roma antica, l’avvento dei Curatores
di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |
I romani hanno dato al mondo le leggi per governare la società ed anche in campo sanitario, il ruolo svolto dalla civiltà sorta cui colli, presenta un notevole rilievo, anche se più che nei codici bisogna andare negli scavi archeologici che hanno rilevato la presenza dei primi abbozzi di ospedali i “valetudinari” o negli acquedotti ancora in funzione per capire il fondamentale contributo offerto.
Probabilmente non sono stati i Romani ad inventare la cottura a bagnomaria. Alcuni autori, infatti, attribuiscono la scoperta a Maria d’Ebra, un’alchimista di Alessandria d’Egitto. Altri fanno risalire l’invenzione a Miriam, sorella di Mosè e di Aronne. La tesi più originale, attribuita a Zosimo di Panopoli, fa risalire il tutto ad antichi testi alchemici, allorché Maria la Giudea sperimentò il metodo del bagno in acqua (Balneum Mariae in latino medievale) per imitare le condizioni naturali e riscaldare lentamente miscele di varie sostanze (elisir) e produrre in questo modo oro e altri metalli preziosi. La formula però si è persa!
L’età imperiale del “balneum mariae”, il bagnomaria
Ma è con l’Impero romano che si diffonde il cosiddetto “balneum mariae” (“bagnomaria”), una cottura che sfrutta un doppio recipiente per il riscaldamento graduale delle sostanze e che, ha salvato la vita a milioni di persone, più di ogni altra scoperta medica. Prima ancora l’insegnare al mondo che lavarsi e disporre di acqua corrente come imperativo igienico, fu una rivoluzione… forse ancora incompiuta (anche in periodo di Coronavirus), vuoi perché in molte parti del mondo questo elementare requisito non è ancora raggiunto, vuoi perché anche nella civiltà occidentale il requisito dell’igiene, indelebilmente scritto su migliaia di chilometri di acquedotti, fogne e cloache, nell’architettura delle terme, nell’ordinamento dei parchi, nella sorveglianza igienica sugli alimenti e le leggi sanitarie a difesa della salute pubblica, non è ancora stato letto ed interpretato compiutamente. La vera rivoluzione dei romani fu, a differenza dei greci che consideravano la salute solo un fatto privato e personale, l’intuizione dell’importanza della sanità pubblica.
I primi guaritori dell’Urbe “a proprio rischio e pericolo”
Inizialmente la Roma di Romolo e Remo era una società di pastori e le poche cure erogate venivano praticate nell’ambito della famiglia dal “pater familias” e questa istituzione, anche se ben presto affiancata da istituzioni pubbliche, rimase a lungo il fulcro delle cure, dando origine una specie di medicina domestica, basata su rimedi a base di alcolici, oli e unguenti, miele e gestita da dei “curatores”, persone addette alle cure dei malati, anche se è prematuro definirli medici. Anzi, in base a quanto asserisce Plìnio, nei primi secoli della sua Storia, Roma fu priva di medici, ufficialmente riconosciuti, ma l’Urbe attraesse sicuramente mestieranti girovaghi di origine etrusca con la fama di guaritori. Come in tutte le civiltà primordiali, il rischio che si accollavano questi medici itineranti era notevole: se non riuscivano a guarire, rischiavano il linciaggio e poco valeva che alcuni medici etruschi vantassero di essere diretti discendenti della maga Circe, nota esperta nel preparare farmaci o altri preparati, nonché mamma di famosi medici.
Il cavolo, il toccasana universale secondo Catone
Era al “pater familias” coadiuvato dalle donne della famiglia, che competeva, tra le altre, anche la funzione di esercizio della cura dei soggetti ammalati, la cosiddetta medicina di necessità come la cura di ferite ed ulcere, l’incisione degli ascessi etc. nonché l’obbligo d’istruire e d’iniziare colui che doveva succedergli all’adempimento delle sue mansioni. Catone scrisse un libro, purtroppo andato perduto, dal significativo titolo: “De medicina domestica”. In essa, di sicuro vi erano esplicitate le conoscenze mediche dell’epoca e le più significative osservazioni sulla tecnica delle riduzioni di lussazioni, ovviamente il tutto mescolato a versetti magici e le opportune invocazioni agli Dei del settore. Merita ricordare che per Catone il cavolo era un toccasana pressoché per tutto. Se non era sufficiente il cavolo, si passava all’urina prodotta dalle persone che avevano mangiato tanti cavoli, e se anche questo non bastava, si passava ad invocare gli Dei con invocazioni del tipo “motas uaeta daries dardaries, asiadarides una te pes”.
Archagatos, arriva dalla Grecia il primo medico romano
Il primo professionista di cui si ha notizia certa, grazie a Plinio il vecchio, è Archagatos. Giunto a Roma dalla Grecia intorno al 219 a.C. venne salutato col nome di “Vulnerarius” cioè il chirurgo per eccellenza. Ottenne presto la cittadinanza romana: grazie a fondi pubblici gli fu predisposto un apposito locale detto “taberna medicinae”, chiamata più semplicemente “Medicatrina”. I metodi di Archagatos, però, non dovevano essere dei migliori, dal momento che venne apostrofato come carnifex, a causa del suo tentativo d’introdurre le prime tecniche operatorie basate soprattutto nel bruciare e tagliare le carni dei suoi pazienti. Plinio decisamente non subiva il fascino di questi guaritori che così li definiva: “I medici sperimentano nuove cure su di noi a nostro rischio e pericolo, ci usano come cavie facendoci degli esperimenti, ed il dottore è l’unica persona a non essere punita per omicidio”. Archagatos fu espulso con ignominia, dopo essere stato linciato.
L’acceso scontro fra tradizionalisti ed esterofili
Non si dimentichi che, agli esterofili, facevano da contrappeso i difensori delle tradizioni romane, tra cui Mario Porcio Catone (detto Catone il Censore), che sconsigliavano apertamente di affidarsi a illusorie speranze solo perché arrivavano da distante. E come in tutti i tempi per denigrare qualcuno il meglio era ipotizzare un complotto, in questo caso organizzato dai medici greci per vendicarsi della conquista romana. Non si dimentichi che per i greci, i romani erano poco più che dei barbari e sperimentare su di loro le nuove tecniche, facendosi pure pagare per fare da cavie, doveva essere il massimo del divertimento. Ad Archagatos, s’ispirò Plauto, nei Menaechmi, dove, per la prima volta nella letteratura latina, compare il medicus. Se a Roma Archagatos ebbe poco successo, la sua fama era destinata a perdurare nel tempo e a propagarsi in terre lontanissime. Il ritrovamento nel deserto egiziano di un papiro greco palesa, inconfondibilmente, che dopo oltre 250 anni dalla sua morte, i suoi rimedi erano ancora prescritti dai medici del periodo imperiale. Il papiro riporta una richiesta di consulto che un medico di nome Chairas rivolge ad un collega Dionysos per avere informazioni sulla composizione delle pomate e degli unguenti con poteri cicatrizzanti scoperti da Archagatos per gestire i decorsi post operatori.
Posted on: 2020/10/27, by : admin