Storia della sanità, capitolo XVI:
alla scoperta del Corpus Hippocraticum
di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |
Le circa sessanta opere che compongono il Corpus Hippocraticum sono generalmente attribuite a Ippocrate, così come l’Iliade è attribuita ad Omero, ma in realtà non si sa quanti di esse possano essere state scritte dallo stesso Ippocrate: la maggior parte fu redatta all’incirca tra il 430 e il 330 a.C. ed è il risultato del lavoro di molti autori.
Il Corpus contiene testi assai eterogenei nel contenuto che possono essere così riassunti:
– nella sua metodologia clinica, basata sulla raccolta dei dati anamnestici (ad Ippocrate si deve l’uso medico del termine “anamnesi”), sull’osservazione dei sintomi e sullo studio del corpo umano;
– nel ritenere che la malattia, come fenomeno del corpo, abbia una spiegazione razionale e fisica, rifiutandone così l’interpretazione allora dominante, che la faceva risalire alla possessione demoniaca o allo sfavore degli dei;
– nella sua concezione olistica del corpo umano e del suo funzionamento, basata sulla teoria degli umori. I fondamenti della medicina ippocratica sono contenuti in circa sessanta opere scritte che costituiscono il cosiddetto “Corpus hippocraticum”;
– nell’avere considerato la centralità del rapporto medico-paziente, codificando nel suo famoso giuramento, una serie di norme che devono guidare il medico nel suo approccio al malato: a buon diritto quindi, Ippocrate può essere considerato anche il fondatore dell’etica medica.
Il filo conduttore che unisce questi testi è la convinzione che, come avevano dimostrato i filosofi ionici per gli eventi naturali, anche la salute e la malattia sono suscettibili di spiegazioni naturali, indipendenti da ogni influenza soprannaturale, in quanto l’uomo è governato dalle stesse leggi fisiche del resto del mondo e la medicina deve basarsi, di conseguenza, su una conoscenza empirica e razionale insieme del funzionamento del corpo umano. L’originalità della medicina ippocratica consiste anche nell’essere centrata sul paziente, anziché sulla malattia: il paziente non è più preda passiva della malattia di provenienza sovrannaturale, ma soggetto che interagisce con il medico e con il suo ambiente nel processo di superamento dello stato morboso, inteso come squilibrio, come turbamento, si direbbe in linguaggio moderno, dell’omeostasi dell’ambiente interno al corpo umano.
L’influenza di Anassimene di Mileto e Empedocle di AgrigentoIl concetto cardinale della medicina ippocratica espressa nel Corpus è quello che la salute corrisponde ad uno stato di equilibrio, il cui sovvertimento costituisce lo stato di malattia. Nel trattato De natura hominis viene precisato che la malattia consiste in un accumulo o in una diminuzione, localizzati o generalizzati, dei fluidi corporei o umori (dal greco chymoi). Questa teoria etiologica della malattia ha una duplice radice: empirica e filosofica. Era nota, infatti, l’importanza del sangue negli animali e della linfa nelle piante quali fonte di vita; altri fluidi diventavano visibili in caso di malattia, quali il muco in caso di affezione respiratoria o le feci liquide nella dissenteria. Filosoficamente, la teoria umorale rappresenta il tentativo di applicare alla natura umana la teoria dei quattro elementi che costituiscono la realtà, elaborata nel VI secolo a.C. da Anassimene di Mileto e perfezionata in seguito da Empedocle di Agrigento (492-430 a.C.). Medico (è fatta risalire a lui la scoperta del labirinto nell’orecchio interno), filosofo, statista e poeta, Empedocle, che espresse la sua concezione filosofica principalmente in un’opera in versi, sostiene che tutta la realtà che ci circonda, caratterizzata dalla mutevolezza, è composta da quattro elementi immutabili, o “radici” di tutte le cose: aria, acqua, fuoco e terra. La loro combinazione in proporzioni diverse dà origine a tutte le cose in un continuo e ciclico processo di assembramento e di disgregazione governato da due opposte forze di attrazione (amore) e di repulsione (odio). Si tratta di un impianto concettuale di tipo solistico, basato sul concetto di malattia come omeostasi interna da ripristinare e che considera il corpo umano come un tutto, come riconosciuto anche dai contemporanei. Scrive, infatti, Platone nel Fedro: “Ippocrate l’Asclepiade afferma che la natura del corpo può essere compresa solo come un tutto”.
Il perché del successo della medicina ippocraticaI quattro umori si dimostrarono straordinariamente versatili come sistema esplicativo e la teoria umorale, oltre a essere una buona teoria etiologica della malattia, è anche una teoria quadripartita della personalità, in quanto l’eccesso di uno dei quattro umori definisce sia la costituzione fisica che il carattere:
– il flemmatico, con eccesso di flegma, è grasso, lento, pigro e sciocco;
– il melancolico, con eccesso di bile nera, è magro, debole, pallido, avaro, triste;
– il collerico, con eccesso di bile gialla, è magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo, generoso e superbo,
– il tipo sanguigno, con eccesso di sangue, è rubicondo, gioviale, allegro, goloso e dedito ad una sessualità giocosa.
L’approccio ippocratico alla medicina riscosse subito un grande successo, non tanto per la sua efficacia (che per la verità non era poi così superiore alle pratiche tradizionali), ma per la capacità della sintesi ippocratica di riunire la mutevolezza degli innumerevoli e diversi morbi in uno schema unificante, così come i filosofi contemporanei cercavano di fare nei confronti dei fenomeni naturali: individuare leggi di funzionamento interne alla natura stessa, sottraendo il dinamismo del mondo e il funzionamento del corpo umano al capriccio di un intervento divino imprevedibile e fonte di angoscia, come appare dalle contemporanee opere di Sofocle e degli altri grandi tragici greci i cui personaggi sono perennemente preda di conflitti con forze inevitabilmente destinate a travolgerli.
Per collocare Ippocrate e le sue idee nel suo contesto storico, è utile ricordare che la sua esistenza si estese da Socrate a Platone, mentre Pericle, Euripide, Eschilo e Sofocle furono suoi contemporanei. La fama di Ippocrate quale fondatore di un “genere”, la medicina, si consolidò già nell’antichità, come risulta da quanto scrive Aulo Gellio nel suo Noctes Atticae (liber XVII). Evidentemente era un’epoca di grande fermento intellettuale in Grecia: fu uno di quei momenti di esplosione di energia intellettuale, nei quali si assiste all’erompere di idee rivoluzionarie, che segnano momenti di grande discontinuità con il passato e lasciano un’impronta duratura nella cultura della storia successiva, condizionandone profondamente il pensiero.
Posted on: 2020/09/28, by : admin