Storia della sanità, capitolo XVII:
Delphi, dallo sciamano all’oracolo

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Quando Giove liberò due aquile ai confini estremi del mondo, per vedere quale fosse il centro della terra queste s’incontrarono a Delfi, sopra una pietra a forma di cupola, ornata da un rilievo a maglia di rete.

Oggi questa pietra, ritenuta l’Omphalòs, (l’ombelico del mondo), si può ammirare nel Museo Archeologico di Delfi, anche se sembra aver perso le sue grandi potenzialità terapeutiche. Questo luogo, alle pendici del monte Parnaso, a quota 570 metri, non distante dal golfo di Corinto, furono scelte, secondo la mitologia greca, dal dio Apollo quale sede del più famoso oracolo della storia, pressoché infallibile (o quasi) su tutte le materie, tant’è che le sue attività si protrassero per più di mille anni.

Là dove il dio Apollo uccise il serpente Pitone

Già attivo nell’età Micenea, era dedicato alla Dea della terra Gea che da una fenditura del terreno, vi faceva sentire il suo respiro emanando esalazioni vulcaniche in grado di procurare lievi stordimenti a chi le avesse respirate. In seguito, verso l’800 a.C, fu innalzato il primo tempio in pietra dove, vuole la leggenda, Apollo giovinetto vi affrontò e uccise il mostruoso serpente Pitone, introducendovi il proprio culto. Il culto perdurò fino alla seconda metà del VII sec. a.C. ai tempi di Giuliano, l’ultimo imperatore a richiedere i servizi dell’oracolo nel 360 d. C. Pochi anni dopo l’imperatore Teodosio I, con una serie di editti, decretò la fine dei culti pagani e nel 394, la chiusura definitiva del santuario. Di sicuro, l’oracolo una previsione l’azzeccò: rendendosi conto che ormai era finita confidò agli emissari dell’imperatore queste parole: “Dite al re che sono crollate le corti sfarzose, Febo non abita più qui, non ha più lauro oracolare né sorgente che favella; l’acqua parlante si è ammutolita”. Con il declino si persero anche le rappresentazioni nel grande teatro e le competizioni nel stadio dove ogni quattro anni, si svolgevano i giochi pitici che seguivano di tre anni le olimpiadi: ottimi espedienti per distrarre quelli che non avevano ricevuto una risposta soddisfacente. Se non riusciva a curare sicuramente obbligava i pellegrini a riflettere: sull’architrave del portale campeggiava il celebre motto ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ (gnōthi seautón) “conosci te stesso” e che tanto ispirò Socrate. All’interno del santuario ardeva il fuoco eterno (alimentato solo da ceppi di abete e foglie di alloro) e soprattutto si riusciva a contattate direttamente Zeus.

La magìa della sacerdotessa e il “marketing” alla greca, le ragioni del successo…

Un’antica leggenda riferisce che alcuni pastori inalarono i fumi delle acque della zona e furono colti da mistiche visioni profetiche: il che portò infine alla costruzione di un santuario. Un recente studio riportato dal Journal of the Geological Society of America (N°29 agosto 2001) rileva come siano state riscontrate ancora oggi tracce di emanazioni composti da idrocarburi gassosi provenienti da strati profondi di roccia calcarea bituminosa. Ad essere colpite non erano solo le persone, ma anche gli animali e ciò dava al luogo un che di magico cui nessuno poteva sottrarsi. Un dio che intercedeva con l’Olimpo, qualche effetto allucinogeno, un buon marketing ed il successo mediatico di Delphi era cosa fatta. Ed infatti la sacerdotessa, detta Pizia, chiamata ad officiare le sessioni oracolari era seduta su un trespolo, probabilmente d’oro, posto sopra una crepa da cui si sprigionavano esalazione presumibilmente in grado d’indurre visioni mistiche. Pizia era il diminutivo di pitonessa, in ricordo del serpente custode del tempio dedicato alla Madre terra, ucciso da Apollo, per far posto al suo tempio, ed ovviamente doveva essere vergine e dedicarsi totalmente alla missione di far da voce all’oracolo. I fumi e la masticazione di foglie di alloro (o altre foglie) garantivano l’effetto delirante, ed infatti si teneva sempre un Pizia di riserva, caso mai la prescelta avesse inalato troppi fumi, ma la vera capacità era quella d’interpretare queste allucinazioni in oracoli credibili. In ogni caso era l’interprete a sbagliare, la sacerdotessa parlava nel nome di dio e quindi infallibile per antonomasia.

E gli oracoli non disdegnavano interventi di politica

Erodoto riferì che in molte occasioni i pellegrini sentirono direttamente la voce del dio, che a volte parlava con il dialetto ionico, altre in dorico, ma il più delle volte con suoni che solo alcuni eletti erano in grado d’interpretare e questi “interpreti” provenivano sempre dalle famiglie aristocratiche di Delphi. Questi traduttori sicuramente disponevano di un alto livello culturale, di buon senso condito con un’innata capacità degli oracoli di dire quello che la gente vuole sentirsi dire, ma si sviluppò anche una capacità di mediazione che secoli dopo sarebbero tornate a chiamarsi dorotee. Come succede ogni volta che ci si trova a gestire il potere, si utilizzano tutti i mezzi a disposizione, religione compresa. Gli oracoli si occuparono delle più importanti questioni politiche, anche se non sempre in modo imparziale (parteggiavano per Sparta) e condizionarono spesso gli sviluppi delle colonie: nella fase della decadenza, non potendo più condizionare gli equilibri politici, l’attenzione ai problemi della salute dei postulanti divenne un importante filone per il mercato degli oracoli. D’altronde Delphi fu sempre aperto sia alle istituzioni che ai privati cittadini (solo uomini, le donne erano escluse) e testimoniò il passaggio alla decadenza nel momento in cui si passò dal ricercare grandi imprese (magari un po’ folli ma in grado di catalizzare entusiasmi) alla semplice rincorsa di soddisfazioni edonistiche, e la salute ne diventò il tramite. I rituali di purificazione, da sempre praticati, assunsero così una funzione terapeutica permettendo di neutralizzare la contaminazione (miasma) dalla quale si era vittime ed infatti la Pizia di turno si recava di buon mattino alla Fonte Castalia, dove si purificava, bevendo l’acqua della sorgente sacra Casotide e poi in processione si recava al tempio seguita dai sacerdoti e dai fedeli.

Dai semplici doni in natura all’introduzione del tariffario

Normalmente il malato veniva portato nel punto più oscuro della grotta, dove almeno poteva riposarsi e godere dei fumi che probabilmente fungevano da antidolorifico e permettevano di “sognare”: quando, seduto sulla sedia del ricordo, veniva riportato alla luce, si avvertiva un senso di rinascita accentuato dall’interpretazione delle sensazioni e delle percezioni acquisite durante la clausura. Prima della consultazione era ovviamente necessario portare delle offerte: inizialmente in natura, poi in denaro con tariffe correlate al tipo di prestazione ma prima di tutto era necessario un sacrificio preliminare dove a farne le spesa era generalmente una capra. Il povero animale veniva spruzzato con acqua fredda e se tremava allora era pronto per il sacrificio. Offerto il tributo stabilito, il supplicante presentava al sacerdote il proprio quesito scritto su una tavoletta; in processione con lo stesso sacerdote e la profetessa entravano nel tempio, dove adeguata attesa per mettersi in contatto con gli Dei si otteneva una risposta spesso dal significato controverso e non di rado enigmatico. In fin dei conti non era la risposta la vera essenza della cura, ma il fascino della cerimonia stessa a far guarire il postulante. In fin dei conti, a Delphi si è anticipato la moderna analisi psicologica che verte su diversi stati di coscienza (veglia, sogni, visioni) e sui loro contenuti in immagini.




Posted on: 2020/10/07, by :